Istanbul come Djerba e
Casablanca. I terroristi islamici hanno voluto colpire un modello di
convivenza tra musulmani ed ebrei. Che proprio in Turchia, all'epoca
dell'impero ottomano, raggiunse picchi salienti di tolleranza ed
efficienza. Testimoniato dalla presenza di circa 400 mila ebrei, molti
dei quali fuggiti dall'inquisizione cattolica in Spagna dopo la «reconquista»
nel 1492. E, più recentemente, dalla persecuzione dei nazisti in
Germania. Le autobomba contro le sinagoghe di Istanbul confermano ancora
una volta come l'antiebraismo sia il più solido collante ideologico in
grado di cementare l'unità degli estremisti islamici. Non è un caso
che nel 1998 Osama Bin Laden diede vita al «Fronte internazionale
islamico per la Guerra santa contro gli ebrei e i crociati». Una sigla
che è un programma di odio e di violenza razziale e confessionale.
La storia della
convivenza tra ebrei e musulmani in Turchia può essere rappresentata da
una vicenda reale dei giorni nostri. Il Corriere aveva
raccontato, lo scorso 3 settembre, la testimonianza di frate Antuan, un
giovane turco musulmano convertito al cattolicesimo e che si appresta a
diventare sacerdote nell'ordine dei Cappuccini proprio qui in Italia.
Ebbene ieri, dopo aver
ascoltato le tragiche notizie degli attentati di Istanbul, ha voluto
ricordarci un fatto emblematico. «Quando ero ancora musulmano, ho
potuto studiare all'università grazie a una borsa di studio concessami
da Uzeyir Garih, un ricco imprenditore ebreo» dice frate Antuan.
Garih era il presidente dell'Alarko Holding, un colosso con interessi
nei campi delle costruzioni, dell'energia e della produzione tessile. «E'
un uomo che ha dedicato la sua vita per il bene dei turchi. Ha fatto
molto per promuovere il successo dei giovani, indipendentemente dalla
loro religione - prosegue frate Antuan - mi diceva: noi ebrei
siamo in Turchia da 500 anni. Ci sentiamo più turchi degli altri
turchi. Io non ho dubbi che questo sia il sentimento condiviso
dall'insieme della comunità ebraica».
Ebbene, il 25 agosto 2001, Garih è stato assassinato da un estremista
islamico mentre usciva da un cimitero musulmano dove si era raccolto in
preghiera davanti alla tomba dello sceicco Küçük (Piccolo) Hüseyin
Efendi, un «santo» venerato dalla comunità mistica sufi dei Nasqbandi
e a cui lo stesso Garih era devoto. Frate Antuan ammette che «Garih
non mi ha aiutato soltanto a studiare ma anche a fare la scelta di vita
che mi ha portato a cambiare la mia religione. Mi diceva: "Fai
quello che pensi sia giusto e ciò ti renderà felice. In un modo o
nell'altro servirai lo stesso il nostro Paese». Fa proprio
riflettere la singolare storia di questo ricco ebreo che aiuta i
connazionali musulmani, prega sulla tomba di un «santo» musulmano
prima di essere ucciso da un fanatico islamico.
Al pari di Garih molti ebrei hanno legato indissolubilmente la loro vita
alla storia della crescita e del progresso della Turchia. Intanto
prendiamo atto della loro importante consistenza numerica. Si calcola
che tra il 1520 e il 1530 a Istanbul ci fossero 1.647 famiglie ebraiche
a fronte di 9.517 famiglie musulmane. A Salonicco, all'epoca parte
dell'impero ottomano, le famiglie ebraiche erano più del doppio di
quelle musulmane, 2.645 a fronte di 1.229. Salonicco era la città con
il maggior numero di ebrei in Europa. Nel XVI secolo tutta la
pubblicazione ebraica veniva stampata tra Istanbul e Salonicco. Di fatto
la Turchia sorpassava la Polonia come centro culturale dell'ebraismo
mondiale.
Nel XIX secolo anche gli ebrei, al pari dei greci e degli armeni, furono
sottoposti al sistema del millet, le comunità protette che, in cambio
di una tassa, avevano diritto a organizzarsi in modo autonomo sul piano
delle leggi in materia di questioni religiose e di statuto personale.
Gli ebrei divennero una millet sotto l'autorità del Hahambashi, il
rabbino capo, stabilito e riconosciuto con decreto imperiale ottomano.
Di fatto le comunità straniere e le minoranze confessionali sono state
le protagoniste del cambiamento sociale e della modernizzazione della
Turchia. In un elenco del 1912, compaiono i nomi di 40 banchieri attivi
a Istanbul. Tra loro 12 erano greci, 12 armeni, 8 ebrei e 5 europei. Un
analogo elenco di agenti di cambio comprende 18 greci, 6 ebrei, 5 armeni
e neppure un turco. Il contributo culturale degli ebrei fu rilevante
nella medicina, nel teatro e nella stampa. Furono probabilmente gli
stampatori ebrei, che di fatto monopolizzavano il mercato a causa del
divieto religioso a utilizzare i caratteri turchi e arabi, a stampare le
prime copie del Corano in turco quando nel 1727 un firmano imperiale
revocò tale divieto.
Oggi gli ebrei in Turchia non superano le 30 mila unità. L'esodo di
massa si è avuto in concomitanza con le discriminazioni esplose alla
nascita degli Stati nazionali dopo la disgregazione dell'impero ottomano
e la successiva creazione dello Stato d'Israele. Tuttavia la Turchia,
insieme al Marocco e alla Tunisia, hanno continuato a caratterizzarsi
come isole di pacifica convivenza tra la maggioranza musulmana e la
minoranza ebraica.
Non è un caso che uno
degli obiettivi prioritari della folle e sanguinaria strategia del
terrore di Bin Laden sia di sabotare questa convivenza. Ciò è quanto
si proponeva con gli attentati contro la sinagoga di El Ghriba
sull'isola tunisina di Djerba (11 aprile 2002, 19 morti) e contro sedi e
simboli ebraici a Casablanca (16 maggio 2003, 43 morti tra cui 13
kamikaze islamici). In entrambi gli attentati è stato accertato un
legame tra i kamikaze islamici, estremisti occidentali convertiti
all'islam e dirigenti di Al Qaeda che hanno offerto addestramento
militare e indottrinamento ideologico. Anche i sanguinosi attentati alle
sinagoghe di Istanbul confermano la realtà tentacolare di Al Qaeda, una
struttura in cui le singole cellule distribuite nei più disparati Paesi
godono di una sostanziale autonomia sul piano organizzativo e operativo,
mantenendo un legame con il vertice sul piano ideologico e decisionale.
Ma soprattutto confermano la natura aggressiva, non reattiva, di questo
terrorismo islamico. A tutt'oggi si sentono voci che vorrebbero far
credere che gli ebrei vittime degli attentati di Istanbul, Djerba,
Casablanca, o anche gli italiani uccisi a Nassiriya, sarebbero la
conseguenza della presenza militare americana in Iraq o dell'occupazione
israeliana dei territori palestinesi. Dovrebbe essere invece chiaro che
questo terrorismo ideologicizzato, pregiudizialmente ostile agli ebrei e
all'Occidente, persegue una strategia indipendente di violenza e di
morte finalizzata ad annientare i «nemici». E tra i «nemici»
figurano anche tanti musulmani.