Il ruolo centrale della Parola nella
Chiesa e
l’animazione biblica della pastorale
Intervento
del Car. Martini al Congresso su «La Sacra Scrittura nella vita della
Chiesa»
a 40 anni dalla promulgazione della Costituzione Dogmatica sulla
Divina Rivelazione Dei Verbum.
Il titolo che mi è stato assegnato per descrivere il mio tema è
complesso. Esso consta di due parti (ruolo della Parola nella Chiesa e
animazione biblica della pastorale) il cui collegamento è dato come
evidente ma che non è così facile da esplicitare con rigore
scientifico.
Si potrebbe mettere in luce questo fatto riesprimendo il titolo con
alcune domande successive, come ad es.: Qual è il ruolo della Parola
di Dio nella Chiesa? Perché questo luogo è centrale (e non ostacola
altre centralità, in particolare quella di Cristo)? Quale relazione
tra questa centralità della Parola e il posto della Scrittura nella
Chiesa? Come animare con la Scrittura la vita quotidiana dei fedeli
nella loro dedizione al Regno di Dio? E ancora: quale la relazione di
tutto ciò con la Rivelazione, che dà il titolo al documento di cui
celebriamo il quarantesimo?
Come è ovvio, non posso approfondire ciascuna di queste domande, che
sono già certamente state presenti agli oratori che mi hanno
preceduto. Ma le ho poste qui all'inizio perché appaia la complessità
e la vastità del tema. Io mi limiterò a sottolineare alcuni aspetti
pratici relativi soprattutto all'animazione biblica della pastorale.
Ovviamente il testo fondamentale di riferimento per questa trattazione
è la Costituzione dogmatica Dei Verbum del Concilio Vaticano
II. Tale Costituzione è già stata presentata nei suoi aspetti
teologici dal card. Kasper e nel suo cammino di ricezione in questi
quarant'anni da Mons. Onayekan. Mi limiterò dunque a sottolineare i
punti seguenti:
1.. Vorrei iniziare con un ricordo personale e con una testimonianza
del carissimo Papa defunto Giovanni Paolo II.
2.. Quali i problemi aperti al tempo della Dei Verbum?
3.. Come vennero affrontati dal Concilio?
4.. Quale la presenza della Scrittura nella vita della Chiesa al tempo
del Vaticano II?
5.. Quale il contributo della Dei Verbum alla presenza della
Scrittura nella Chiesa?
6.. Quali le conseguenze per l'animazione biblica dell'esercizio
pastorale, soprattutto per quanto riguarda la lectio divina(1) dei
fedeli?
1. RICORDO PERSONALE E TESTIMONIANZA DEL PAPA GIOVANNI PAOLO II
Mi piace cominciare la mia conversazione con un ricordo del carissimo
papa defunto Giovanni Paolo II. È un ricordo che mi riguarda
personalmente, poiché nel suo penultimo libro, dal titolo
"Alzatevi, Andiamo!", egli parla del vescovo come
"seminatore" e "servitore della parola " e dice (
pag. 36 ):
"Compito del vescovo, infatti, è di farsi servitore della
parola. Proprio come maestro egli siede sulla cattedra, quel seggio
posto emblematicamente nella Chiesa detta " Cattedrale".
Egli vi siede per predicare, per annunciare e per spiegare la parola
di Dio ". Il Papa aggiunge che ovviamente ci sono diversi
collaboratori del Vescovo nell'annuncio della Parola: i sacerdoti, i
diaconi, i catechisti, i maestri, i professori di teologia e un numero
sempre maggiore di laici colti e fedeli al Vangelo.
Ma prosegue (e questo mi tocca da vicino): "Tuttavia nessuno può
sostituire la presenza del Vescovo che si siede sulla Cattedra o che
si presenta all'ambone della sua chiesa vescovile e personalmente
spiega la parola di Dio a coloro che ha radunato attorno a sé.
Anch'egli, come lo scriba divenuto discepolo del regno dei cieli, è
simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e
cose antiche. Mi piace qui menzionare il cardinale Carlo Maria
Martini, arcivescovo emerito di Milano, le cui catechesi nella
cattedrale della sua città attiravano moltitudini di persone, alle
quali egli svelava il tesoro della parola di Dio. Il suo non è che
uno dei numerosi esempi che provano come sia grande nella gente da
fame della parola di Dio. Quanto è importante che questa fame venga
saziata! Sempre mi ha accompagnato la convinzione che se voglio
saziare negli altri questa fame interiore, occorre che, sull'esempio
di Maria, ascolti io per primo la parola di Dio e la mediti nel mio
cuore ".
Ho citato questa pagina perché mi ricorda momenti bellissimi vissuti
nella cattedrale di Milano, in particolare con migliaia e migliaia di
giovani in ascolto silenzioso della parola di Dio. E l'ho citata anche
per rendere omaggio alla memoria di Giovanni Paolo II, che gentilmente
ha voluto fare menzione di me in questo suo penultimo libro. Ma con ciò
intendo pure affermare che la possibilità che noi abbiamo oggi di
saziare abbondantemente la fame della parola di Dio di tanta gente è
anche frutto e merito del documento del Concilio di cui celebriamo i
quarant'anni, cioè della Dei Verbum.
2. QUALI ERANO I PROBLEMI APERTI A PROPOSITO DELLA SCRITTURA AL
TEMPO DEL CONCILIO?
Mi limiterò ad alcuni cenni, quanto basta per mettere in rilievo il
tema che ci interessa. Infatti scorrendo le cronache del tempo è
facile rendersi conto che almeno tre erano i problemi più sentiti
nell'ambito degli studi biblici e della presenza della Scrittura nella
Chiesa.
1. Il rapporto Tradizione - Scrittura. Questo tema era soprattutto
vivo nel mondo dell'Europa del Nord, nel quadro del dialogo tra
protestanti e cattolici. Si trattava di rispondere alla domanda se la
Chiesa ricava i suoi dogmi solo dalla Sacra Scrittura o anche da una
tradizione orale che contenga cose non dette dalla Scrittura.
Il Concilio di Trento, quattro secoli prima, aveva già discusso il
problema e aveva lasciato da parte la formula che era stata proposta,
cioè che le verità rivelate si ritrovano " partim in libri
scriptis ed partim in sine scripto traditionibus ", per una
formula che non pregiudicasse il problema, cioè: le verità rivelate
si trovano "in libri scriptis et sine scripto traditionibus":
quindi non "partim - partim" ma "et - et".
Il problema si ripresentava ora nella sua crudezza, in seguito a
discussioni accese da parte di studiosi recenti, cattolici e
protestanti. Il concilio ne trattò ampiamente. Ma non è mio compito
ricostruire qui la storia di tale problematica. Accennerò in seguito
soltanto alla soluzione a cui si giunse.
2. L'applicazione del metodo storico critico alla Sacra Scrittura e il
problema connesso dell'inerranza dei libri sacri. Si era avuto qualche
progresso rispetto alla dottrina molto rigida del passato col
riconoscimento della validità dei generi letterari, e questo grazie
all'Enciclica " Divino afflante Spiritu " del 1943. Ma la
questione restava ancora pendente, e il tutto era sfociato in una
esasperata polemica alla fine degli anni 50. Bersaglio di questa
polemica era soprattutto l'insegnamento del Pontificio Istituto
Biblico, accusato di non tenere conto della verità tradizionale dell'inerranza
dei libri sacri.
Il problema non toccava solo l'interpretazione della Scrittura, ma
anche il rapporto quotidiano dei fedeli con la Bibbia. Se si
obbligavano i fedeli a una interpretazione di tipo quasi
fondamentalistico dei libri sacri, non pochi di essi, soprattutto i più
colti e preparati, si sarebbero allontanati.
3. Tema molto vivo, che ci tocca particolarmente in questa relazione,
era anche quello del "movimento biblico", che da oltre
cinquant'anni stava favorendo una nuova familiarità con i testi sacri
e un approccio più spirituale alla Scrittura, intesa come fonte di
preghiera e di ispirazione per la vita. Ma si trattava di iniziative
un po' elitarie, sottoposte anche a sospetto e critica. Era importante
riconoscere ufficialmente quanto c'era di buono in questo movimento,
regolare questa nuova fioritura di iniziative, dare loro un posto
nella Chiesa, nel caso correggerle, valutando a fondo i pericoli di
deviazione ancora oggi ripetuti a proposito di questa lettura della
Bibbia da parte dei laici.
Questi dunque i grandi temi che agitavano l'animo dei Padri
conciliari. Non era in gioco invece il concetto di rivelazione, che si
rivelò poi di fatto determinante per l'impostazione dell'intera
Costituzione.
3. COME AVVENNE, NELL'AMBITO DEL CONCILIO, IL PROCESSO DI
CHIARIFICAZIONE RISPETTO A QUESTI TEMI, E SOPRATTUTTO RISPETTO AL
TERZO, CIOE' LA SACRA SCRITTURA NELLA VITA DELLA CHIESA?
Lo schema preparatorio su questi argomenti, a cura della commissione
apposita, fu proposto ai Padri il 14 novembre del 1962, col titolo
" Constitutio de fontibus Revelationis".
Quella prima seduta fu tempestosa. Il cardinale Liénart disse
semplicemente:" Hoc schema mihi non placet " Nello stesso
senso parlarono con forti critiche i cardinali Frings, Léger, Koenig,
Alfrinck, Ritter e Bea. In senso opposto parlarono invece altri Padri.
Fu così che si giunse con fatiche e tensioni al voto del 20 novembre,
in cui prevalse, con grande malumore di molti, la decisione di
continuare la discussione. Senonché il Papa Giovanni XXIII intervenne
con un gesto di grande saggezza, imponendo il ritiro dello schema per
affidarlo ad una nuova commissione per un rifacimento.
Da allora ebbe inizio un lungo lavoro che produsse, con alterne
vicende, numerose forme di testo, di cui l'ultima fu finalmente
accettata il 22 settembre 1965. Venivano tuttavia proposti ancora
numerosi "modi". Essi furono vagliati e inseriti nel testo
che fu sottoposto a votazione il 20 ottobre del 1965. Si arrivò così
alla votazione definitiva del novembre seguente, che registrò 2344
voti a favore e 6 voti contro.
Quali furono i punti maggiormente chiariti dalla nuova stesura, a cui
fu dato il titolo di "Costituzione dogmatica sulla divina
Rivelazione", o "Dei Verbum" dalle parole
iniziali, che furono inserite grazie a una proposta fatta nell'ultima
discussione (settembre 1965)? Ne ricordo cinque.
1. Il concetto di "rivelazione", che, come ho detto, non era
in questione all'inizio del Concilio, ma fu poi via via precisato
durante le discussioni e i rifacimenti del testo, fino ad essere
espresso come è ora al numero due della Costituzione, non più come
riferito a delle verità, ma anzitutto al comunicarsi di Dio stesso:
" Piacque a Dio nella sua bontà e sapienza rivelare se stesso e
far conoscere il mistero della sua volontà, mediante il quale gli
uomini per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, nello Spirito Santo
hanno accesso al Padre, e sono resi partecipi della divina natura
" (DV n.2). Questo chiarimento sulla natura della rivelazione
ebbe effetto positivo su tutto il testo, e favorì una ricezione
favorevole del documento.
2. Un concetto largo di Tradizione. Rispetto a quanto si era soliti
dire in precedenza, il Concilio presentava, nel testo definitivo della
Costituzione, un concetto ampio di Tradizione, che veniva espresso così:
" La Chiesa, nella sua dottrina, nella sua vita e nel suo culto,
perpetua e trasmette a tutte le generazioni tutto ciò che essa è,
tutto ciò che essa crede " (n.8). Veniva così affermata anche
l'unità di Tradizione e Scrittura, contro ogni tentativo di
separazione: " La sacra tradizione e la sacra scrittura sono
dunque strettamente tra loro congiunte e comunicanti. Poiché ambedue
scaturiscono dalla stessa divina sorgente, esse formano in certo qual
modo una cosa sola e tendono allo stesso fine. Infatti la sacra
scrittura è parola di Dio in quanto è messa per iscritto sotto
l'ispirazione dello Spirito divino" (n. 9).
Nel numero seguente si descrive il rapporto tra le tre grandezze:
Tradizione, Scrittura e Parola di Dio: " La sacra tradizione e la
sacra scrittura costituiscono un solo sacro deposito della parola di
Dio affidato alla Chiesa "
3. Di fronte alle discussioni sull'interpretazione della Scrittura e
soprattutto sulla assenza in essa di ogni errore, il Concilio
proponeva nella sua formulazione definitiva una concezione larga dell'inerranza.
Nel primo schema preparatorio si parlava di una inerranza " in
qualibet re religiosa vel profana". Il testo definitivo (n. 11 )
afferma che " i libri della Scrittura insegnano fermamente,
fedelmente e senza errore la verità che Dio per la nostra salvezza
volle fosse consegnata nelle Sacre Lettere ". Con questo venivano
messe a tacere molte oziose discussioni del passato sull'argomento.
Ma a noi interessa qui soprattutto il lavoro del Concilio dedicato
all'importanza e alla centralità della Sacra Scrittura nella vita
della Chiesa. Esso, nella sua stesura finale, recepisce le istanze
fondamentali del movimento biblico e promuove una familiarità orante
di tutti fedeli con tutta la Scrittura. Su questo tema il Concilo
lavorò per tutte le sessioni, sino all'ultima, con un susseguirsi di
riscrizioni del testo, di proposte e di emendamenti dell'ultima ora,
che rendono la storia di questo capitolo molto complessa e difficile a
descriversi. Mi limiterò ai punti fondamentali, partendo dalla
considerazione della situazione della Scrittura nella Chiesa cattolica
al tempo del Vaticano II.
4. QUALE LA PRESENZA DELLA SACRA SCRITTURA NELLA CHIESA AL TEMPO
DEL VATICANO II?
La situazione fino verso l'inizio del secolo ventesimo veniva talora
descritta con le parole di Paul Claudel, che affermava: "Il
rispetto verso la Sacra Scrittura è senza limiti: esso si manifesta
soprattutto con lo starne lontani!" (Cfr L'Ecriture Sainte,
in La Vie intellectuelle 16 [1948] 10). Anche se tali parole
sembrano esagerate, v'era tuttavia presso i cattolici una certa
lontananza, soprattutto dei laici, dal testo della Scrittura (anche se
molti erano i modi indiretti di contatto con il suo contenuto). Essa
si spiega con tanti motivi, non ultimo dei quali il fatto che fino
all'ottocento erano una minoranza quanti sapevano leggere e scrivere.
Ma la motivazione principale era quella di una certa diffidenza delle
Autorità ecclesiastiche verso la lettura della Bibbia da parte dei
laici. Essa era nata a seguito soprattutto della riforma protestante e
di altri movimenti in vigore fin dal medioevo, che promuovevano un
contatto diretto dei laici con la Scrittura, ma separando di fatto la
sua lettura dal contesto ecclesiale. Fino al Medioevo, infatti, non si
ha notizia di provvedimenti intesi a limitare l'accesso alle
Scritture, anche se il costo proibitivo dei manoscritti ne rendeva
difficile l'uso diretto ai fedeli. Si hanno notizie di vere e proprie
restrizioni a partire da alcuni Concili regionali, ad es. quello di
Tolosa del 1229 in occasione della lotta contro gli Albigesi e quello
di Oxford del 1408 in seguito al movimento di Wicleff.
Seguirono altre proibizioni in Inghilterra, in Francia e altrove.
Paolo IV nel 1559 e Pio IV nel 1564, promulgando l'indice dei libri
proibiti, vietarono pure di stampare e tenere Bibbie in volgare senza
uno speciale permesso. Ciò corrispondeva a un impedimento pratico per
molti laici ad accostarsi alla Bibbia intera in lingua volgare. Di
fatto si continuava a stampare solo la Volgata latina. Ad esempio in
Italia, dopo una prima traduzione italiana anteriore al concilio di
Trento, del 1471 (la cosiddetta Bibbia del Malermi) si dovette
arrivare alla fine del 1700, cioè alla traduzione di Antonio Martini,
per avere una Bibbia tradotta in italiano per i cattolici. Infatti nel
1757 erano state permesse in maniera generale le edizioni in volgare
tradotte dalla Volgata, purché approvate dalle competenti autorità e
munite di note. La Bibbia del Martini si basava appunto sulla Volgata
latina, mentre la prima versione cattolica dai testi originali apparve
in Italia solo nella prima metà del novecento.
Il movimento biblico caldeggiava invece un contatto diretto e una
familiarità orante di tutti i fedeli con l'intero testo della
Scrittura nella lingua del popolo, tradotta dai testi originali. Esso
voleva, nelle sue espressioni più mature, che la lettura avvenisse
nel quadro della tradizione della Chiesa, definita proprio nel senso
in cui l'avrebbe descritta la Dei Verbum, cioè la totalità di
ciò che la Chiesa trasmette nella sua vita, nel suo culto, nella sua
preghiera e nella sua dottrina. Non voleva essere un movimento solo
per alcune élites. Per questo occorreva superare non poche resistenze
e incomprensioni, che non sono del tutto scomparse neppure ora.
5. QUALE IL CONTRIBUTO DEL CONCILIO ALLA PRESENZA DELLA SCRITTURA
NELLA CHIESA?
Il Vaticano II tratta di questo tema soprattutto del capitolo VI della
Dei Verbum, che ha per titolo "La Sacra Scrittura nella
vita della Chiesa". Esso enuncia fin dall'inizio un principio
fondamentale (n. 21): " E' necessario che tutta la predicazione
ecclesiastica come la stessa religione cristiana sia nutrita e
regolata dalla Sacra Scrittura ". Dopo questa affermazione il
capitolo applica tale principio alle traduzioni nelle lingue moderne,
alla necessità dello studio profondo dei sacri testi da parte degli
esegeti, sottolinea l'importanza della Sacra Scrittura nella teologia
e finalmente raccomanda la lettura della Bibbia a tutti i fedeli. Dopo
aver infatti raccomandato la lettura della Scrittura a tutti i
chierici, in primo luogo ai sacerdoti, ai diaconi e ai catechisti, così
continua (n. 25): "Parimenti il santo Concilio esorta con forza e
insistenza tutti i fedeli, soprattutto i religiosi, ad apprendere la
'sublime scienza di Gesù Cristo' con la frequente lettura delle
divine Scritture".
Questa esortazione così pressante a tutti i fedeli, fondamentale per
il movimento biblico, corrisponde alla richiesta di molti Padri
conciliari. Venne aggiunta anche una frase incisiva di San Girolamo:
"L'ignoranza delle Scritture, infatti, è ignoranza di
Cristo". Il Concilio raccomanda perciò che tutti i fedeli
"si accostino volentieri al sacro testo.anche mediante quella che
viene chiamata "pia lettura" [oggi si suole chiamarla "lectio
divina", e su ciò ritorneremo]. Si aggiunge che " la
lettura della Sacra Scrittura dev'essere accompagnata dalla preghiera,
affinché possa svolgersi il colloquio tra Dio e l'uomo; poiché (e
qui si cita sant'Ambrogio)" gli parliamo quando preghiamo e lo
ascoltiamo quando leggiamo gli oracoli divini" (Sant'Ambrogio, De
officiis ministrorum, I, 20, 88).
Si tratta dunque di una lettura che potremmo chiamare
"spirituale", fatta cioè sotto l'impulso dello Spirito
santo, grazie al quale " tutta la Scrittura è ispirata da Dio e
utile per insegnare, convincere, correggere e formare alla
giustizia" (2 Tim 3,16). E una lettura che si lascia guidare da
quello Spirito di verità che guida "alla verità tutta
intera" ( Giovanni 16,13 ) e che "scruta ogni cosa, anche le
profondità di Dio"( 1 Cor 2,10). Vuol essere dunque una lettura
fatta nella Chiesa, nel solco della grande tradizione ecclesiastica,
nel quadro di tutte le verità di fede e in comunione con i pastori
della Chiesa.
6. QUALI LE CONSEGUENZE PER L'ANIMAZIONE BIBLICA DELL'ESERCIZIO
PASTORALE, SOPRATTUTTO PER QUANTO RIGUARDA LA LECTIO DIVINA DEI
FEDELI?
Nella mia esperienza di vescovo a Milano per oltre ventidue anni ho
avuto modo di vedere concretamente i frutti di tale preghiera fatta a
partire dalla Scrittura, soprattutto in moltissimi giovani e in tanti
adulti che hanno trovato in questa familiarità con la Bibbia la
capacità di orientare la loro vita secondo la volontà di Dio anche
nella grande città moderna e in un ambiente secolarizzato.
Molti fedeli impegnati e molti preti hanno trovato nella lettura
orante della Scrittura il modo per assicurare l'unità di vita in una
esistenza spesso frammentata e lacerata da mille diverse esigenze,
nella quale era essenziale trovare un punto fermo di riferimento.
Infatti il disegno di Dio presentatoci dalle Scritture, che ha il suo
culmine in Gesù Cristo, ci permette di unificare la nostra vita nel
quadro del disegno di salvezza.
La familiarità orante con la Bibbia ci aiuta inoltre ad affrontare
una delle più grandi sfide del nostro tempo, che è quella di vivere
insieme come diversi, non solo nella etnia ma pure nella cultura,
senza distruggersi a vicenda e anche senza ignorarsi, rispettandosi e
stimolandosi mutuamente per una maggiore autenticità di vita.
Questo vale anche per ogni cammino ecumenico e anche per l'incontro
tra le grandi religioni, che non deve portare né a conflitti né a
steccati, ma piuttosto deve spingere uomini e donne sinceramente
religiosi a comprendere i tesori degli altri e a far comprendere i
propri, così da invitare ciascuno a pervenire ad una maggiore verità
e trasparenza di fronte a Dio e alle sue chiamate.
Se mi interrogo sulle radici di questa esperienza, le trovo
principalmente nel fatto che di fronte alla Parola per mezzo della
quale "tutto è stato fatto" e senza della quale
"niente è stato fatto di tutto ciò che esiste" (Gv 1,3) e
nella quale siamo "stati rigenerati non da un seme corruttibile
ma immortale, cioè dalla Parola di Dio viva ed eterna" (1 Pt
1,23) noi ci riconosciamo nella nostra comune origine, dignità,
fratellanza e sorellanza fondamentale, al di là di tutte le ulteriori
divisioni.
Molti sono ovviamente i modi concreti per l'animazione biblica della
pastorale. Si tratta di lasciare spazio all'energia creativa dei
pastori e dei fedeli. Io potrei menzionare molte di queste esperienze,
come le settimane di meditazione serale in Duomo o nelle parrocchie su
un personaggio o su un libro biblico; le catechesi alla radio o alla
televisione dove rilevavo nella Diocesi una audience di centinaia di
migliaia di persone. Al limite anche la cosiddetta "Cattedra dei
non credenti", con cui si incontrava chi fosse in ricerca di
fede, aveva un suo riferimento al testo della Scrittura.
Qui vorrei soprattutto menzionare le esperienze di vera e propria
lectio divina, che sta un po' alla base di tutto e dà il metodo di
fondo per tutta l'animazione successiva. Il Concilio raccomanda tale
"lectio divina" a tutti i fedeli. Si tratta ovviamente di
una esperienza spirituale e meditativa e non propriamente esegetica.
Si tratta cioè di mettere di fronte al testo con una spiegazione
semplice che ne colga le valenze fondamentali e il messaggio
permanente e che valga ad interpellare chi legge e medita e a
spingerlo a pregare a partire dal testo che ha di fronte. Infatti la
Bibbia va vista non solo nei suoi contenuti e nelle sue affermazioni,
come un testo che dice qualcosa a qualcuno, ma anche come Qualcuno che
parla a chi legge e suscita in lui un dialogo di fede e di speranza,
di pentimento, di intercessione, di offerta di sé. Tale era la "lectio
divina" tradizionale nel primo millennio dell'éra cristiana,
quella che appariva come prevalente nelle omelie bibliche dei Padri
della Chiesa (penso alle spiegazioni bibliche di sant'Ambrogio a
Milano o a quelle di Agostino a Ippona): una lettura finalizzata a un
incontro con l'Autore della Parola, una lettura capace di plasmare e
orientare l'esistenza.
Personalmente mi sono sempre sforzato di far praticare anche ai più
semplici fedeli questo tipo di lettura della Bibbia, senza troppe
complicazioni di metodi. Non a caso ho promosso in Duomo a Milano le
scuole della Parola, che hanno insegnato a migliaia di giovani un
accostamento semplice e orante al testo sacro. Esistono infatti molti
modi di fare la "lectio", ma personalmente sono convinto che
occorre anzitutto insegnare alla gente un metodo semplice e
mnemonicamente ritenibile, che esprimo con la triade: lectio,
meditatio, contemplatio.
Per "lectio" intendo la lettura e rilettura del brano che ci
sta davanti (meglio se è quello della liturgia del giorno) cercando
di coglierne le scansioni (la struttura), le parole chiave, i
personaggi, le azioni e le loro qualifiche, collocandolo nel contesto
del libro biblico cui il brano appartiene e nel contesto sia
dell'intera Scrittura sia del proprio tempo (noi leggiamo questo testo
"oggi"!). Questo momento viene spesso trascurato perché si
ha già l'impressione di conoscere il testo e di averlo magari letto e
ascoltato molte volte. Ma esso va letto ogni volta come se fosse per
la prima volta e se analizzato in maniera semplice svelerà aspetti
finora rimasti nascosti o impliciti. Si tratta in sostanza di
rispondere alla domanda: che cosa dice questo testo?
Per "meditatio" intendo la riflessione sui messaggi del
testo, sui valori permanenti che esso ci trasmette, sulle coordinate
dell'agire divino che esso ci fa conoscere. Si tratta di rispondere
alla domanda: che cosa ci dice questo testo? quali messaggi e quali
valori ci comunica?
Per "contemplatio" o "oratio" intendo il momento
più personale della "lectio divina", quello nel quale io
entro in dialogo con Colui che mi parla attraverso questo testo e
attraverso l'intera Scrittura.
Mi pare evidente da questa descrizione che tale esercizio di lettura
biblica riporta tutti a quella Parola nella quale ritroviamo la nostra
unità e insieme scioglie i cuori analogamente a ciò che avveniva
nell'ascolto fatto dai due discepoli delle parole di Gesù nella
strada verso Emmaus: "Non ci ardeva forse il cuore nel petto
mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le
Scritture?" (Lc 24,32).
E' in questa linea dell'ardore del cuore concentrato sulla Parola che
è possibile sperare un rinnovamento della Chiesa al di là di quanto
non possano fare discussioni e consultazioni. Auspichiamo quindi che
si attui davvero come metodo pastorale in tutte le comunità cristiane
e presso tutti i fedeli ciò che ha proposto il Concilio Vaticano II
nella Dei Verbum : che tale modo di meditare e pregare a
partire dalla Scrittura divenga esercizio comune a tutti i cristiani,
anche perché esso costituisce un antidoto efficace all'ateismo
pratico della nostra società soprattutto in Occidente e un fermento
di comunione anche in rapporto alle grandi religioni dell'Est del
nostro pianeta. Tale insistenza della Chiesa sulla lectio divina è
continuata anche dopo il Concilio. Alla Dei Verbum infatti
hanno fatto seguito diversi documenti ufficiali importanti che hanno
sottolineato e approfondito alcuni aspetti della costituzione. Ne
ricordo alcuni: per quanto riguardo
l'interpretazione della Scrittura (cfr capitolo III della
Costituzione) va citato il documento della Pontificia Commissione
Biblica dal titolo "L'interpretazione della Bibbia nella
Chiesa ", 1993. Per il rapporto tra i due Testamenti ( cfr
capitoli terzo e quarto ) il documento della stessa Commissione
Biblica " Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia
cristiana ", 2001.
Numerose poi sono le insistenze per far sì che la Sacra Scrittura
abbia il posto centrale che le compete nella vita della Chiesa. In
questo contesto si moltiplicano le esortazioni alla "lectio
divina". L'istruzione della Pontificia Commissione Biblica del
1993 parlava della lectio come di una preghiera che nasce dalla
lettura della Bibbia sotto l'azione dello Spirito santo. Nel documento
programmatico per il terzo millennio Novo Millennio Ineunte il
Papa sottolinea la necessità (n. 39) "che l'ascolto della Parola
diventi un incontro vitale, nell'antica e sempre valida tradizione
della lectio divina, che fa cogliere nel testo biblico la
parola viva che interpella, orienta e plasma l'esistenza".
Andrebbero aggiunti il documento della Congregazione per la vita
consacrata (Ripartire da Cristo) e altri analoghi delle diverse
Congregazioni Romane e i documenti delle Conferenze episcopali dei
vari paesi (per esempio la C.E.I.). Si vede dunque come anche a
livello ufficiale i segni lanciati nel terreno della Chiesa dalla Dei
Verbum abbiano continuato a produrre frutti.
Vanno pure ricordati quegli aspetti che hanno ricevuto un
approfondimento da parte dei teologi e degli esegeti. Ricordo in
particolare il tema del rapporto tra rivelazione come comunicazione
divina e Scrittura. A questo proposito così si esprime un teologo in
uno scritto recente: "L'impressione di una certa astrazione che
può risultare oggi da una lettura integrale della Dei Verbum...
deriva dal fatto che il capitolo VI su ' La sacra scrittura nella vita
della Chiesa ' non struttura fino in fondo l'insieme della
costituzione e neppure veramente il concetto di rivelazione. E
tuttavia è proprio in questo capitolo che si raggiunge il principio
pastorale, assegnato come programma al Concilio da Giovanni XXIII. Qui
incontriamo uno dei principali problemi della recezione conciliare che
deve tenere conto del fatto che questo principio non è stato
mantenuto fino in fondo in tutti i documenti e che, a causa della loro
promulgazione tardiva, alcuni testi fondamentali e molto controversi,
come la Dei Verbum, non hanno potuto influenzare
sufficientemente la redazione dei documenti ecclesiologici adottati in
precedenza". (Christof Theobald, Il Regno, 2004, p. 790).
Si aprono perciò nuovi spazi di ricerca, a quarant'anni dalla Dei
Verbum, per una penetrazione più organica dei temi evocati da
questo testo conciliare e soprattutto per una azione pastorale che
faccia veramente risaltare il primato della Scrittura nella vita
quotidiana dei fedeli, nelle parrocchie e nelle comunità. Il futuro
della Costituzione è dunque nelle nostre mani, ma soprattutto nelle
mani di quello Spirito che avendo guidato i Padri conciliari in un
terreno delicato e difficile, guiderà anche oggi e domani noi tutti a
nutrirci della Parola per conformare ad essa la nostra vita.
________________________
(1)
Anche se la lettura orante della Bibbia
risale agli inizi del cristianesimo, il primo ad utilizzare
l’espressione “Lectio divina” è stato il teologo Origene
(circa 185-254), che affermava che per leggere la Bibbia con profitto
è necessario farlo con attenzione, costanza e preghiera. In seguito
la “Lectio divina” è diventata la colonna vertebrale della vita
religiosa. Le regole monastiche di Pacomio, Agostino, Basilio e
Benedetto avrebbero fatto di questa pratica, insieme al lavoro
manuale e alla liturgia, la triplice base della vita monastica. La
sistematizzazione della “Lectio divina” in quattro gradini
proviene dal XII secolo. Verso l’anno 1150 Guido, un monaco
certosino, scrisse un libretto intitolato “La scala dei monaci”,
in cui esponeva la teoria dei quattro gradini: lettura, meditazione,
preghiera e contemplazione. “Questa – affermava – è la scala
attraverso la quale i monaci salgono dalla terra in cielo”.
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