Dovrebbe essere ovvio, dalla confusione morale e
mentale del nostro tempo, che la presente crisi mondiale è qualcosa
di ben peggiore di un puro conflitto politico o economico. Va molto al
di là delle ideologie. È una crisi dello spirito umano. È uno
sconvolgimento totalmente morale della razza umana, che ha perso le
proprie radici religiose e culturali. In realtà, conosciamo solo
parzialmente le cause di questo sconvolgimento. Non possiamo fingere
di avere una piena comprensione di quello che sta accadendo in noi
stessi e nella nostra società. Ecco perché la nostra disperata fame
di soluzioni chiare e definite ci induce, a volte, in tentazione.
Semplifichiamo eccessivamente. Cerchiamo la causa del male e la
troviamo qua o là in una particolare nazione, categoria, razza,
ideologia e sistema. E scarichiamo su questo capro espiatorio tutta la
forza virulenta del nostro odio, misto di paura e angoscia,
sforzandoci di sbarazzarci del nostro terrore e della nostra colpa
distruggendo l'oggetto che abbiamo arbitrariamente scelto come
incarnazione di tutto il male. Lungi del curarci, questo è solo un
altro parossismo che aggrava la nostra malattia.
Il male morale nel mondo è dovuto all'alienazione dell'uomo della
verità più profonda, dalle fonti della vita spirituale interiore, e
alla sua alienazione da Dio. Coloro che si rendono conto di questo
tentano disperatamente di persuadere e illuminare i loro fratelli. Ma
siamo in una posizione radicalmente diversa dai primi cristiani, che
rivoluzionarono un mondo pagano essenzialmente religioso con il
messaggio di una religione nuova, di cui non si era mai sentito
parlare.
Noi, al contrario, viviamo in un mondo postcristiano irreligioso, in
cui il messaggio cristiano è stato ripetuto più e più volte,
finché è arrivato a sembrare vuoto di qualsiasi contenuto
comprensibile a orecchie che si chiudono alla parola di Dio prima
ancora che sia pronunciata. Nelle menti dei nostri contemporanei,
«cristiano» non è più identificato con «novità» e
«cambiamento», ma solo con la statica conservazione di strutture
antiquate.
Ma perché è così? È solo perché la novità spirituale del
cristianesimo si è logorata in venti secoli? Perché le persone hanno
già sentito il vangelo e sono stanche di esso? O è forse perché per
secoli il messaggio è stato travisato e contraddetto dalla condotta
degli stessi cristiani?
Bisogna ammettere che se il vangelo della pace non risuona più
convincentemente sulle labbra del cristiani, può essere proprio
perché essi hanno cessato di dare un esempio vivente di pace, unità
e amore. È vero, dobbiamo comprendere che la Chiesa non è mai stata
concepita come assolutamente perfetta sulla terra: è una Chiesa di
peccatori, carichi di imperfezioni. La pace e la carità cristiane
sono effettivamente basate su questa necessità di «portare i pesi
gli uni degli altri» e di accettare le infermità, che affliggono la
propria vita e quella degli altri. La nostra unità è una lotta
contro la divisione e la nostra pace si trova al cuore del conflitto.
Ma resta il fatto che una cristianità guerriera e battagliera non è
mai stata in grado di predicare il vangelo della carità e dalla pace
con piena convinzione o con pieno successo. Come ha affermato molto
giustamente il cardinale Newman, le più grandi vittorie della Chiesa
furono riportate tutte prima di Costantino, nei giorni in cui non
c'erano eserciti cristiani e quando il vero soldato cristiano era il
martire, la cui testimonianza a Cristo era non violenta. Furono i
martiri a conquistare Roma per Cristo con una conquista che è rimasta
stabile per venti secoli. Per quanto tempo riuscirono i crociati a
tenere Gerusalemme?
Questa è dunque la conclusione: il cristiano è tenuto a operare per
la pace lavorando contro la dissoluzione e l'anarchia globali. A causa
di ideologie nazionaliste e rivoluzionarie (perché il comunismo sta
in realtà sfruttando l'intenso nazionalismo dei popoli
sottosviluppati), uno spirito mondiale di confusione e di disordine
sta spezzando l'unità e l'ordine della società civilizzata.
È vero che viviamo in un'epoca di rivoluzione, e che la rottura e la
riforma nella società sono inevitabili. Ma il cristiano deve capire
che la sua missione non è di contribuire alle cieche forze
distruttive di annientamento che tendono a distruggere la civiltà e
insieme l'umanità. Deve cercare di costruire, piuttosto che
distruggere. Deve orientare i propri sforzi verso l'unità mondiale e
non verso la divisione mondiale. Chiunque promuova politiche di odio e
di guerra sta lavorando per la divisione e la distruzione
dell'umanità civilizzata. Non è più né ragionevole né giusto
lasciare tutte le decisioni a un'élite di potere largamente anonima
che ci sta conducendo tutti, nella nostra passività, alla rovina.
Dobbiamo farci sentire.
Ogni individuo cristiano ha la seria responsabilità di protestare
chiaramente ed energicamente contro orientamenti che inevitabilmente
conducono a crimini che la Chiesa disapprova e condanna. L'ambiguità,
l'esitazione e il compromesso non sono più ammissibili. Dobbiamo
trovare un modo nuovo e costruttivo per risolvere le dispute
internazionali.
La Chiesa desidera chiaramente che sia fatto ogni sforzo possibile per
l'abolizione della guerra, anche se la teoria della «guerra giusta»
e il diritto di legittima autodifesa rimangono intatti. Ma il richiamo
a questo diritto non deve accecarci rispetto al dovere molto più alto
e più urgente di lavorare con tutte le nostre forze per la pace.