Nunzio Vaticano a
Mosca:
"Progressi con Russia e Patriarcato"
Nei
rapporti con gli ortodossi non si dovrebbe perdere tempo in sterili
ricerche su chi ha torto e chi ha ragione. Siamo chiamati a costruire una
fraternità reale.
Negli ultimi anni c’è stato “un sia pur piccolo progresso” nelle
relazioni tra la Santa Sede, la Russia e la Chiesa ortodossa russa. Lo
ritiene il nunzio apostolico in Russia, mons. Antonio Mennini, secondo il
quale per ciò che in particolare riguarda i rapporti con gli ortodossi
non si dovrebbe “perdere tempo in sterili ricerche su chi ha torto e chi
ha ragione. Siamo chiamati a costruire una fraternità reale. Non
lasciamoci paralizzare da esperienze infelici del passato”. Sono alcune
delle affermazioni che il diplomatico vaticano ha fatto in una lunga
intervista a Victor Khrul, direttore del giornale cattolico russo Svet
Evangelija (Luce del Vangelo), della quale AsiaNews propone
alcuni passi.
Quali mutamenti ritiene più importanti nella vita della Chiesa in
Russia negli ultimi tempi?
Mi rallegra che - così almeno mi sembra - vadano pian piano
migliorando le nostre relazioni con i fratelli ortodossi. Questo non
esclude che su questa strada ci attendano ancora parecchie difficoltà, ma
sappiamo che man mano si cammina, anche la strada si appiana. Sono
profondamente convinto che proprio il miglioramento dei rapporti tra le
diverse comunità cristiane aiuterà il cattolicesimo russo a conquistare
un proprio posto, dignitoso e riconosciuto da tutti, all’interno della
società.
Chiarisca per favore la situazione attuale delle relazioni che
intercorrono oggi fra Vaticano e Russia. Cosa ostacola
l’instaurarsi di relazioni diplomatiche a livello di ambasciata?
Senza scendere in particolari tecnici, posso dire che le relazioni
continuano a svilupparsi con molta positività, anche nei Forum
internazionali. Non mi sembra del tutto corretto dire che qualcosa o
qualcuno “ostacola” l’instaurarsi di relazioni diplomatiche piene.
Direi piuttosto, che per esse non esiste ancora una necessità obiettiva
pienamente convincente e riconosciuta da entrambe le parti. Dovendo
scegliere tra forma e contenuto, conviene accordare la preferenza a
quest’ultimo. Mi sembra che da questo punto di vista ci troviamo sulla
retta via, e la forma prima o poi si adeguerà al contenuto, cioè alla
realtà che rispecchia. In ogni caso, la Nunziatura lavora con tutte le
sue forze in questa direzione. Credo che questa posizione sia condivisa
anche dai nostri interlocutori al Ministero degli Esteri della Federazione
Russa.
Che cosa, a Suo avviso, ostacola l’attività ecumenica in Russia?
Quali passi concreti dei cattolici in Russia potrebbero, secondo Lei,
migliorare significativamente la situazione interconfessionale in Russia?
Mi sembra che il fondamento della collaborazione cristiana,
dell’amore fraterno tra cristiani deve essere la vita stessa, vissuta in
conformità al Vangelo. Per questo, mi sembra che la formulazione stessa
della sua domanda celi in sé un certo pericolo: l’espressione
“attività ecumenica” rischia un certo tecnicismo, che non tiene
presente la necessità di educare in sé e negli altri l’esigenza della
comunione cristiana, di superare la reciproca diffidenza e di conseguenza
la divisione... Il cristiano è chiamato a cercare innanzitutto i propri
errori. In un lungo conflitto in genere entrambe le parti hanno delle
responsabilità. In nome della carità, siamo sempre chiamati a tendere la
mano e a sorridere per primi. E magari dovremo farlo non una volta sola ma
più volte: d’altra parte, non esiste altra via, e non per “dovere
professionale”, bensì proprio per realizzare la vocazione cristiana a
cui siamo chiamati.
Siamo chiamati a costruire una fraternità reale. Non lasciamoci
paralizzare da esperienze infelici del passato, non facciamo come la
moglie di Lot, ascoltiamo piuttosto il Signore che ci dice ancora una
volta: “Ecco, io faccio nuova ogni cosa”.
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[Fonte: AsiaNews 10 marzo 2006]
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