Nel giorno del mio compleanno e del mio
Battesimo, il 16 aprile, la liturgia della
Chiesa ha posto tre segnavia che mi indicano
dove porta la strada e che mi aiutano a
trovarla.
In primo luogo, c’è la memoria di santa
Bernadette Soubirous, la veggente di Lourdes;
poi, c’è uno dei Santi più particolari della
storia della Chiesa, Benedetto Giuseppe Labre; e
poi, soprattutto, c’è il fatto che questo giorno
è sempre immerso nel Mistero Pasquale, nel
Mistero della Croce e della Risurrezione, e
nell’anno della mia nascita è stato espresso in
modo particolare: era il Sabato Santo, il giorno
del silenzio di Dio, dell’apparente assenza,
della morte di Dio, ma anche il giorno nel quale
si annunciava la Risurrezione.
Bernadette Soubirous, la ragazza semplice del
Sud, dei Pirenei – tutti la conosciamo e la
amiamo. Bernadette è cresciuta nella Francia
illuminista del XIX secolo, in una povertà
difficilmente immaginabile. La prigione, che era
stata abbandonata perche troppo insalubre,
diventò, alla fine – dopo qualche esitazione –,
la dimora della famiglia, nella quale ella
trascorse l’infanzia. Non c’era la possibilità
di avere formazione scolastica, solo un po’ di
catechismo per la preparazione alla Prima
Comunione. Ma proprio questa fanciulla semplice,
che nel suo cuore era rimasta pura e schietta,
aveva il cuore che vede, era capace di vedere la
Madre del Signore e in Lei il riflesso della
bellezza e della bontà di Dio. A questa
fanciulla Maria poteva mostrarsi e attraverso
lei parlare al secolo e oltre il secolo stesso.
Bernadette sapeva vedere, con il cuore puro e
genuino. E Maria le indica la sorgente: lei può
scoprire la sorgente, acqua viva, pura e
incontaminata; acqua che è vita, acqua che dona
purezza e salute. E attraverso i secoli, ormai,
quest’acqua viva è un segno da parte di Maria,
un segno che indica dove si trovano le sorgenti
della vita, dove possiamo purificarci, dove
troviamo ciò che è incontaminato. In questo
nostro tempo, in cui vediamo il mondo in tanto
affanno, e in cui prorompe la necessità
dell’acqua, dell’acqua pura, questo segno è
tanto più grande. Da Maria, dalla Madre del
Signore, dal cuore puro viene anche l’acqua
pura, genuina che dà la vita, l’acqua che in
questo secolo – e nei secoli che possono venire
– ci purifica e ci guarisce.
Penso che possiamo considerare quest’acqua
come un’immagine della verità che ci viene
incontro nella fede: la verità non simulata, ma
incontaminata. Infatti, per poter vivere, per
poter diventare puri, abbiamo bisogno che ci sia
in noi la nostalgia della vita pura, della
verità non travisata, di ciò che non è
contaminato dalla corruzione, dell’essere uomini
senza macchia. Ecco che questo giorno, questa
piccola Santa è sempre stata per me un segno che
mi ha indicato da dove proviene l’acqua viva di
cui abbiamo bisogno – l’acqua che ci purifica e
che dà la vita –, e un segno di come dovremmo
essere: con tutto il sapere e tutte le capacità,
che pure sono necessari, non dobbiamo perdere il
cuore semplice, lo sguardo semplice del cuore,
capace di vedere l’essenziale, e dobbiamo sempre
pregare il Signore affinché conserviamo in noi
l’umiltà che consente al cuore di rimanere
chiaroveggente – di vedere ciò che è semplice ed
essenziale, la bellezza e la bontà di Dio – e di
trovare così la sorgente dalla quale viene
l’acqua che dona la vita e purifica.
Poi c’è Benedetto Giuseppe Labre, il pio
pellegrino mendicante del XVIII secolo che, dopo
diversi tentativi inutili, trova finalmente la
sua vocazione di pellegrinare come mendicante –
senza niente, senza alcun appoggio e non tenendo
per sé nulla di quel che riceveva se non ciò di
cui aveva assolutamente bisogno – pellegrinare
attraverso tutta l’Europa, a tutti i santuari
dell’Europa, dalla Spagna fino alla Polonia e
dalla Germania fino alla Sicilia: un Santo
veramente europeo! Possiamo anche dire: un Santo
un po’ particolare che, mendicando, vagabonda da
un santuario all’altro e non vuole fare altro
che pregare e con ciò rendere testimonianza a
quello che conta in questa vita: Dio. Certo, non
rappresenta un esempio da emulare, ma è un
segnavia, un dito teso verso l’essenziale. Egli
ci mostra che Dio da solo basta; che al di là di
tutto ciò che può esserci in questo mondo, al di
là delle nostre necessità e capacità, quello che
conta, l’essenziale è conoscere Dio. Egli da
solo basta. E questo «solo Dio», egli lo indica
a noi in modo drammatico. E al tempo stesso,
questa vita realmente europea che, da santuario
a santuario, abbraccia l’intero Continente
europeo rende evidente che colui che si apre a
Dio non si estranea dal mondo e dagli uomini,
bensì trova fratelli, perché da parte di Dio
cadono le frontiere, solo Dio può eliminare le
frontiere perché grazie a Lui siamo tutti solo
fratelli, facciamo parte gli uni degli altri;
rende presente che l’unicità di Dio significa,
al contempo, la fratellanza e la riconciliazione
degli uomini, l’abbattimento delle frontiere che
ci unisce e ci guarisce. Così egli è un Santo
della pace proprio in quanto è un Santo senza
alcuna esigenza, che muore povero di tutto
eppure benedetto con ogni cosa.
E poi, infine, c’è il Mistero Pasquale.
Nello stesso giorno in cui sono nato, grazie
alla premura dei miei genitori, sono anche
rinato dall’acqua e dallo Spirito, come abbiamo
appena ascoltato nel Vangelo. In primo luogo,
c’è il dono della vita che i miei genitori mi
hanno fatto in tempi molto difficili, e per il
quale li devo ringraziare. Ma non è scontato che
la vita dell’uomo in sé sia un dono. Può
veramente essere un bel dono? Sappiamo che cosa
incombe sull’uomo nei tempi bui che si troverà
davanti – anche in quelli più luminosi che
potranno venire? Possiamo prevedere a quali
affanni, a quali terribili eventi potrà essere
esposto?
È giusto dare la vita così, semplicemente? È
responsabile o è troppo incerto? È un dono
problematico, se rimane a se stante. La vita
biologica di per sé è un dono, eppure è
circondata da una grande domanda. Diventa un
vero dono solo se, insieme ad essa, si può dare
una promessa che è più forte di qualunque
sventura che ci possa minacciare, se essa viene
immersa in una forza che garantisce che è un
bene essere uomo, che per questa persona è un
bene qualsiasi cosa possa portare il futuro.
Così, alla nascita va associata la rinascita,
la certezza che, in verità, è un bene esserci,
perché la promessa è più forte delle minacce.
Questo è il senso della rinascita dall’acqua e
dallo Spirito: essere immersi nella promessa che
solo Dio può fare: è bene che tu ci sia, e ne
puoi essere certo, qualsiasi cosa accada. Da
questa certezza ho potuto vivere, rinato
dall’acqua e dallo Spirito. Nicodemo chiede al
Signore: «Un vecchio può forse rinascere?». Ora,
la rinascita ci è donata nel Battesimo, ma noi
dobbiamo continuamente crescere in essa,
dobbiamo sempre di nuovo lasciarci immergere da
Dio nella sua promessa, per essere veramente
rinati nella grande, nuova famiglia di Dio che è
più forte di tutte le debolezze e di tutte le
potenze negative che ci minacciano. Perciò
questo è un giorno di grande ringraziamento.
Il giorno in cui sono stato battezzato, come
ho detto, era Sabato Santo. Allora si usava
ancora anticipare la Veglia Pasquale nella
mattinata, alla quale sarebbe seguito ancora il
buio del Sabato Santo, senza l’Alleluia. Mi
sembra che questo singolare paradosso, questa
singolare anticipazione della luce in un giorno
oscuro, possa essere quasi un’immagine della
storia dei nostri giorni. Da un lato, c’è ancora
il silenzio di Dio e la sua assenza, ma nella
Risurrezione di Cristo già c’è l’anticipazione
del «sì» di Dio, e in base a questa
anticipazione noi viviamo e, attraverso il
silenzio di Dio, sentiamo il suo parlare, e
attraverso il buio della sua assenza
intravvediamo la sua luce. L’anticipazione della
Risurrezione nel mezzo di una storia che si
evolve è la forza che ci indica la strada e che
ci aiuta ad andare avanti.
Ringraziamo il buon Dio perché ci ha donato
questa luce e lo preghiamo affinché essa possa
rimanere sempre. E in questo giorno ho motivo di
ringraziare Lui e tutti coloro che sempre di
nuovo mi hanno fatto percepire la presenza del
Signore, che mi hanno accompagnato affinché io
non perdessi la luce.
Mi trovo di fronte all’ultimo tratto del
percorso della mia vita e non so cosa mi
aspetta. So, però, che la luce di Dio c’è, che
Egli è risorto, che la sua luce è più forte di
ogni oscurità; che la bontà di Dio è più forte
di ogni male di questo mondo. E questo mi aiuta
a procedere con sicurezza. Questo aiuta noi ad
andare avanti, e in questa ora ringrazio di
cuore tutti coloro che continuamente mi fanno
percepire il «sì» di Dio attraverso la loro
fede.
Alla fine - Cardinale Decano - un cordiale
ringraziamento per le Sue parole di fraterna
amicizia, per tutta la collaborazione in tutti
questi anni. E un grande grazie a tutti i
collaboratori dei 30 anni in cui sono a Roma,
che mi hanno aiutato a portare il peso della mia
responsabilità. Grazie. Amen.