Intervista concessa da Oriana Fallaci a Padre Andrzej
Majewski, caporedattore della televisione pubblica polacca (Telewizja Polska).
Prendendo spunto dai recenti attentati kamikaze di
Londra, Padre Andrzej ha chiesto alla scrittrice italiana di esporre la sua
opinione sull'immigrazione islamica in Europa, sul ruolo di Papa Benedetto XVI,
sulla guerra in Iraq e sul Corano. Il testo, riveduto e convalidato dalla
stessa Fallaci, apparirà sul prossimo numero del mensile edito dai gesuiti
polacchi Przeglad Powszechny (Rassegna Universale) di Varsavia, rivista di
cultura e problemi sociali.
I responsabili degli attacchi terroristici a Londra erano mussulmani nati
in Gran Bretagna o cittadini inglesi. Quindi potrebbero essere considerati
europei. Crede che per difendere il nostro continente e la civiltà
occidentale dovremmo esiliare tutti i mussulmani dell'Europa?
Per incominciare, non sono affatto europei. Non possono
essere considerati europei. O non più di quanto noi potremmo essere
considerati islamici se vivessimo in Marocco o in Arabia Saudita o in Pakistan
beneficiando della residenza o della cittadinanza. La cittadinanza non ha
niente a che fare con la nazionalità, e ci vuol altro che un pezzo di carta
su cui è scritto cittadino inglese o francese o tedesco o spagnolo o italiano
o polacco per renderci inglesi o francesi o tedeschi o spagnoli o italiani o
polacchi. Cioè parte integrante di una storia e di una cultura. Secondo me,
anche quelli con la cittadinanza sono ospiti e basta. O meglio: invasori
privilegiati. Poi una cosa è espellere gli allievi terroristi o gli aspiranti
terroristi, i clandestini, i vagabondi che vivono rubando o spacciando droga
o, meglio ancora, gli imam che predicando la Guerra Santa incitano i loro
fedeli a massacrarci. E una cosa è cacciare indiscriminatamente una intera
comunità religiosa. L'esilio è una pena che già nell'Ottocento l'Europa
applicava con le molle, e solo per qualche individuo. Ai nostri tempi si
applica soltanto per i re e le famiglie reali che hanno perso la partita. In
parole diverse, non si addice più alla nostra civiltà. Alla nostra etica,
alla nostra cultura. E l'idea di trasformarci paradossalmente da vittime in
tiranni, da perseguitati in persecutori, è per me inconcepibile. Mi fa
pensare ai trecentomila ebrei che nel 1492 vennero cacciati dalla Spagna, ai
pogrom di cui gli ebrei sono stati vittime nell'intero corso della loro
storia. Naturalmente, se volessero andarsene di loro spontanea volontà, non
piangerei. Anzi, accenderei un cero alla Madonna.
Nel saggio pubblicato giorni
fa dal Corriere della Sera, "Il nemico che trattiamo da amico",
addirittura glielo suggerisco. «Se siamo così brutti, così cattivi, così
spregevoli e peccaminosi» gli dico «se ci odiate e ci disprezzate tanto,
perché non ve ne tornate a casa vostra?». Il fatto è che se ne guardano
bene. Non ci pensano nemmeno. Ed anche se ci pensassero, come attuerebbero una
cosa simile? Attraverso un esodo uguale a quello con cui Mosè portò via gli
ebrei dall'Egitto e attraversò il Mar Rosso? Sono troppi, ormai. Calcolando
solo quelli che stanno nell'Unione Europea, sostengono i dati più recenti,
circa venticinque milioni. Calcolando anche quelli che stanno nei paesi fuori
dell'Unione Europea e nell'ex Unione Sovietica, circa sessanta milioni. Questa
è la loro Terra Promessa, mi spiego? Rispetto, tolleranza. Assistenza
pubblica, libertà a iosa. Sindacati, prosciutto, il deprecato prosciutto,
vino e birra, il deprecato vino e la deprecata birra. Blue jeans, licenza di
esercitare in ogni senso prepotenze che qui non vengono né punite né
rintuzzate né rimproverate. (Inclusa la licenza di buttare i crocifissi dalle
finestre). Protettori cioè collaborazionisti sempre pronti a difenderli sui
giornali e a impedirne l'espulsione nei tribunali.
Caro padre Andrzej, è
troppo tardi ormai per chiedergli di tornare a casa loro. Avremmo dovuto,
avreste dovuto, chiederglielo venti anni fa. Cioè quando già dicevo: «Ma
non lo capite che questa è un'invasione ben calcolata, che se non li fermiamo
subito non ce ne libereremo mai più?». In nome della pietà e del
pluriculturalismo, della civiltà e del modernismo, ma in realtà grazie ai
cinici accordi euro-arabi di cui parlo nel mio libro La Forza della Ragione,
invece, li abbiamo lasciati entrare. Peggio: avendo scoperto che non ci
piaceva più fare i proletari, cogliere i pomodori, sgobbare nelle fabbriche,
pulire le nostre case e le nostre scarpe, li abbiamo chiamati. «Venite, cari,
venite, ché abbiamo tanto bisogno di voi». E loro sono venuti. A centinaia,
a migliaia per volta. Uomini robusti e sbarbati, donne incinte, bambini.
Sempre seguiti dai genitori, dai nonni, dai fratelli, dalle sorelle, dai
cugini, dalle cognate, continuano a venire e pazienza se anziché persone
ansiose di rifarsi una vita lavorando ci ritroviamo spesso vagabondi. Venditori
ambulanti di inutilità, spacciatori di droga e futuri terroristi. O
terroristi già addestrati e da addestrare. Pazienza se fin dal momento in cui
sbarcano ci costano un mucchio di soldi. Vitto e alloggio. Scuole e ospedali.
Sussidio mensile. Pazienza se ci riempiono di moschee. Pazienza se si
impadroniscono di interi quartieri anzi di intere città. Pazienza se invece
di mostrare un po' di gratitudine e un po' di lealtà pretendono addirittura
il voto che in barba alla Costituzione le Giunte di Sinistra gli regalano a
loro piacimento. Pazienza se, per proteggere la Libertà, a causa loro
dobbiamo rinunciare ad alcune libertà. Pazienza se l'Europa diventa anzi è
diventata l'Eurabia. (...)
Caro padre Andrzej, io non so quel che accade in
Polonia. Ma nel resto dell'Europa, e per incominciare nel mio Paese, non
accade davvero quel che accadde a Vienna oltre tre secoli fa. Cioè quando i
seicentomila ottomani di Kara Mustafa misero sotto assedio la capitale
considerata l'ultimo baluardo del Cristianesimo, e insieme agli altri europei
(Francia esclusa) il polacco Giovanni Sobieski li respinse al grido di
«Soldati, combattete per la Vergine di Czestochowa». No, no. Qui accade
quello che oltre tremila anni fa accadde a Troia, cioè quando i troiani
apriron le porte della città e si portarono in casa il cavallo di Ulisse.
Sicché dal ventre del cavallo Ulisse si calò con i suoi commandos e gli
Achei distrussero tutto ciò che v'era da distruggere, scannarono tutti i
disgraziati che c'erano da scannare, poi appiccarono il fuoco e buonanotte al
secchio. Perbacco! Inascoltata e sbeffeggiata come una Cassandra, da anni
ripeto fino alla noia il ritornello «Troia brucia, Troia brucia». Ed oggi
ogni nostra città, ogni nostro villaggio, brucia davvero.
Esiliare? Macché
vuole esiliare. Oggi gli esuli siamo noi. Esuli a casa nostra. Come crede che
Papa Benedetto XVI dovrebbe reagire a questa situazione essendo il capo della
Chiesa Cattolica Apostolica Romana e il leader d'una religione che predica
pace, non-violenza, bontà? Senta, nel saggio "Il nemico che trattiamo da
amico" a un certo punto mi rivolgo direttamente a Ratzinger. Pardon, a
Papa Benedetto XVI. (Sa, io lo chiamo sempre Ratzinger e basta. Manco fosse un
mio ex professore o addirittura un mio ex compagno di scuola). E mi rivolgo a
lui confutando ciò che confutavo aWojtyla, pardon, a Papa Giovanni Paolo II.
Il Dialogo con l'Islam. «Santità» gli dico «Le parla una persona che La
ammira molto. Che Le vuole bene, che Le dà ragione su un mucchio di cose. Che
a causa di questo viene dileggiata coi nomignoli atea-devota, laica-baciapile,
liberal-clericale. Una persona, inoltre, che capisce la politica e le sue
necessità. Che comprende i drammi della leadership nonché i suoi
compromessi. E che rispetta l'intransigenza della fede.
Però il seguente
interrogativo glielo devo porre ugualmente: crede davvero che i mussulmani
accettino di dialogare coi cristiani, anzi con le altre religioni o con gli
atei come me? Crede davvero che possano cambiare, ravvedersi, smetterla di
seminar bombe?». E ora aggiungo: il terrorismo islamico non è un fenomeno
isolato, un fatto a sé stante. Non è una iniquità che si limita a una
minoranza esigua dell'Islam. (Peraltro una minoranza tutt'altro che esigua. Si
calcola che l'Europa disponga di ben quarantamila terroristi pronti a
scattare. E non dimentichiamo che dietro ogni terrorista c'è una
organizzazione precisa, una rete di contatti eccellenti, un oceano di soldi.
Ergo, quel numero "quarantamila" va moltiplicato almeno per cinque
anzi per dieci. E, stando alla matematica, così facendo s'arriva a
duecentomila o quattrocentomila).
Il terrorismo islamico è soltanto un volto,
un aspetto, della strategia adottata fin dai tempi di Khomeini (anzi fin dai
giorni dei cinici accordi euro-arabi) per attuare la globale offensiva
chiamata "Revival dell'Islam". Risveglio dell'Islam. Un risveglio
che ancora una volta mira a cancellare l'Occidente, la sua cultura, i suoi
principii, i suoi valori. La sua libertà e la sua democrazia. Il suo
Cristianesimo e il suo Laicismo. (Sissignori, anche il laicismo. Forse,
soprattutto il laicismo. Ma non l'avete ancora capito che il laicismo non può
coabitare con la teocrazia?!?). Un risveglio, insomma, che non si manifesta
soltanto attraverso le stragi ma attraverso il secolare espansionismo
dell'Islam. Un espansionismo che fino all'assedio di Vienna avveniva con gli
eserciti e le flotte dei sultani, i cavalli, i cammelli, le navi dei pirati, e
che ora avviene attraverso gli immigrati decisi a imporre la loro religione.
La loro prepotenza, la loro prolificità. E tutto ciò sfruttando la nostra
inerzia, la nostra debolezza, o la nostra buonafede. Peggio: la nostra paura.
Be': Papa Ratzinger, pardon, Benedetto XVI, lo sa meglio di me. Basta leggere
i suoi libri, conoscere ciò che scrive sull'Europa, capire l'allarme che
esprime nei riguardi dell'Europa, per concludere che lo sa meglio di me.
Meglio di tutti noi. Il guaio è che si trova in una situazione
difficilissima. Forse la più difficile che possa intrappolare un leader del
nostro tempo. Difficile da un punto di vista teologico e filosofico. Difficile
da un punto di vista politico e umano. Il fatto di stare a capo d'una Chiesa
che basa il suo credo sull'amore e sul perdono, anzitutto. Che in termini
ecumenici predica «ama-il-prossimo-tuo, quindi-pure-il-nemico-tuo-come te
stesso».
Poi il fatto di governare un'immensa comunità che, nei riguardi
dell'Islam, anche nei suoi ranghi gerarchici è divisa cioè arroccata su
opposte posizioni. Pensi alla Caritas che raccatta i clandestini e magari li
nasconde. Pensi ai frati Comboniani che con la sciarpa arcobaleno sulla tonaca
bianca gli distribuiscono simbolici permessi-di-soggiorno. Pensi ai preti che
sull'altare della loro chiesa permettono agli imam di celebrare il matrimonio
misto e berciare Allah-akbar, Allah-akbar. (Come è successo, per esempio, a
Torino). E infine il fatto d'essere l'immediato successore d'un Papa, Papa
Wojtyla, che a parlare di Dialogo è stato il primo. Che con il comunismo e
l'Unione Sovietica usava il pugno di ferro ma con l'Islam usava il guanto di
velluto. Che gli imam li invitava ad Assisi. Che l'ex terrorista e magnate di
terroristi Yasser Arafat lo riceveva in Vaticano. E che contro Bin Laden non
tuonava mai in modo diretto. (Padre Andrzej, mi dispiace dirlo a lei che è
polacco e che con questa intervista si rivolge ai polacchi: so bene quanto è
venerato Wojtyla in Polonia. E non a torto perché Wojtyla era un grand'uomo,
un grande leader. Ma, su quel punto, secondo me sbagliava). Be', Ratzinger
amava molto Wojtyla. Per stargli vicino, si sa, rinunciò perfino al desiderio
di invecchiare nella sua Baviera e tornare al lavoro che gli piaceva di più
cioè l'insegnamento. Inoltre lo sosteneva, lo consigliava. E si può forse
pretendere che di punto in bianco imbocchi un'altra strada, sconfessi il sogno
del dialogo?
Eppure io ho fiducia in Ratzinger, in Benedetto XVI. È troppo
intelligente per non rendersi conto che il Risveglio dell'Islam s'è
ingigantito come all'epoca dell'Impero Ottomano, e che col suo fondamentalismo
ha assunto i contorni d'un nuovo nazismo. Che dialogare o illudersi di poter
dialogare con un nuovo nazismo equivale a commettere lo stesso errore che
l'Inghilterra di Chamberlain e la Francia di Daladier commisero nel 1938.
Cioè quando, illudendosi di poter trattare Illudersi di poter dialogare con
l'Islam è ripetere lo stesso errore che Francia e Gran Bretagna commisero nel
1938 quando, illudendosi di poter trattare con Hitler, firmarono il Patto di
Monaco. Col comunismo e l'Unione Sovietica Papa Wojtyla usava il
pugno di ferro ma con l'Islam usava il guanto di velluto. Wojtyla era, sì, un
grand'uomo. Ma, secondo me, su quello sbagliava. Prima o poi (meglio prima che
poi) Papa Ratzinger riempirà il vuoto. Il suo volto è buono, il suo sorriso
è mite, ma i suoi occhi sono molto fermi. Molto risoluti. Joseph Ratzinger,
Papa Benedetto XVI, è tra i più acuti interpreti della crisi d'identità
europea.
Karol Wojtyla, Papa Giovanni Paolo II, sconfisse il comunismo e cercò
il dialogo con l'Islam Il Corano, libro sacro dell'Islam, ordina il Jihad, la
Guerra santa, contro i «cani infedeli» con Hitler, Francia e Inghilterra
firmarono il Patto di Monaco e un anno dopo si ritrovarono con la Polonia
invasa dai nazisti.
È un uomo davvero raziocinante, Benedetto XVI. Guardi
come affronta, lui, l'irresolubile problema di conciliare la fede con la
ragione. Capisce benissimo che nei riguardi dell'Islam il laicismo ha perso il
treno! Che i laici a parole ma non a fatti sono mancati all'appuntamento loro
offerto dalla Storia. Che soprattutto a Sinistra si sono messi dalla parte del
nemico. Un nemico deciso ad estendere la sua ideologia teocratica all'intero
pianeta. Altrettanto bene capisce che, mancando all'appuntamento loro offerto
dalla Storia, quei laici hanno aperto una voragine. Hanno creato un vuoto da
riempire. Non a caso penso che prima o poi, (meglio prima che poi), lui lo
riempirà. Il suo volto è buono, il suo sorriso è mite, ma i suoi occhi sono
molto fermi. Molto risoluti. Questo non significa aizzare Crociate, guerre di
religione: l'accusa che mi rivolgono gli imbecilli in malafede. Non significa
vendersi al Vaticano, tradire il laicismo. (Il mio laicismo, padre Andrzej, è
a prova di bomba. Non di convenienza). Non significa insomma mettersi al
servizio d'un Papa, invitarlo a sostenere il ruolo di Giovanni Sobieski che ai
suoi soldati urla «Combattete per la Vergine di Czestochowa». Non significa
chiedergli di indossare l'armatura cara ai suoi predecessori rinascimentali,
di sguainare la spada, tagliare la testa di chi la taglia a noi. E tanto meno
significa spingere all'orrore dei pogrom. Significa ricordare
all'intransigenza della fede che l'autodifesa è una legittima difesa. Non un
peccato. Significa sostenere che, quando è necessario, anche un sant'uomo
può fare la voce grossa. Comportarsi come Gesù Cristo che al Tempio perde la
pazienza e rovescia le bancarelle dei mercanti, magari gli tira anche un bel
pugno sul naso. E per me significa scegliere bene il proprio alleato.
Per me
atea-cristiana (devota no ma cristiana sì) il Cristianesimo non è soltanto
una filosofia di prima qualità, un pensiero al quale ispirarmi, una radice
dalla quale non posso e non devo e non voglio prescindere. È anche un
alleato. Un compagnon de route. Di conseguenza, lo è pure chi lo interpreta
ai massimi livelli. Cioè chi lo rappresenta. Sa, nel mio caso non si tratta
di mischiare il sacro con il profano, il diavolo con l'acqua santa. Si tratta
di esercitare la razionalità. L'autodifesa che è legittima difesa, e la
razionalità.
Infatti la cosa che mi ha dato più conforto negli ultimi tempi
è stata l'intervista che l'acutissimo vescovo Rino Fisichella, il Rettore
dell'Università Lateranense, dette al Corriere della Sera a proposito del mio
sentirmi meno sola dacché leggo Ratzinger e Ratzinger è diventato Benedetto
XVI. Intervista che il Corriere pubblicò sotto il commovente titolo: "Ratzinger,
Oriana: l'incontro di due pensieri liberi". Più che un'intervista, una
sentenza. Un verdetto. «Non la stupisce» gli chiede subito l'intervistatore
«questa concordanza con il Papa da parte di una donna che si definisce
atea?». E Fisichella, pardon, il vescovo Fisichella, risponde: «Non mi
stupisce. Anzi mi conferma la possibilità, sempre offerta a tutti, d'un vero
incontro sulla base della Ragione. La Forza della Ragione è un titolo famoso
della Fallaci, ma anche un'espressione che ricorre negli scritti del teologo
Ratzinger. Come del resto ricorre nell'Enciclica Fides et Ratio di Giovanni
Paolo II». E quando l'intervistatore gli chiede quale sia il segreto di
quell'intesa sulla base della Ragione, risponde: «Nel caso della Fallaci e
del Papa che si incontrano nel giudizio sulla crisi dell'Europa e
dell'Occidente, il segreto sta nella Libertà. Sappiamo quanto la Fallaci
tenga alla sua autonomia di giudizio che è forse la qualità che più le ha
permesso di fare storia nel giornalismo e nella narrativa. E ugualmente
sappiamo quanto il teologo Ratzinger sia sempre stato libero dalle idee
ricevute nonché incurante del politically correct». Infine, alla domanda
che-dice-sulla-battuta-della-Fallaci "Se un'atea e un Papa sostengono la
medesima cosa, significa che in quella cosa dev'esserci qualcosa di
vero", risponde: «Dico che, se si pensa davvero, ci si incontra. Dico
che, se si va oltre le diverse forme di relativismo cui siamo abituati, se si
superano gli schematismi e i pensieri deboli, si arriva a un'unità profonda.
Anche se partiamo da luoghi diversi». Sacrosante parole a cui non ho da
aggiungere una virgola, e su cui tanti dovrebbero riflettere un po'.
(Non dico
quanto ho riflettuto io sulla geniale raccomandazione che Ratzinger rivolge ai
non credenti: "Comportatevi come se Dio esistesse, veluti si Deus daretur"...
Si stancherebbero troppo. Ma una pensatina, sì).
Qual è la sua opinione
sulla guerra contro il terrorismo attualmente condotta dagli Stati Uniti?
Senta, padre Andrzej: un mese prima che scoppiasse la guerra in Iraq scrissi
per lo Wall Street Journal e per il Corriere della Sera un articolo intitolato
"La Rabbia, l'Orgoglio, e il Dubbio". Articolo dove, insieme a molte
altre cose per cui sono stata messa alla gogna anzi crucifissa, dicevo questo:
«E se l'Iraq diventasse un secondo Vietnam? E se dalla sconfitta di Saddam
Hussein nascesse una Repubblica Islamica dell'Iraq cioè una copia della
Repubblica Islamica dell'Iran khomeinista? La libertà e la democrazia non si
possono regalare come due pezzi di cioccolata. Specialmente in un paese, in
una società, che di quei concetti ignora il significato. La Libertà bisogna
conquistarcela. E per conquistarcela bisogna sapere cos'è. Bisogna capirla,
bisogna volerla. La democrazia, ovvio, lo stesso. Forse mi sbaglio, ma gli
iracheni io li lascerei bollire nel loro brodo». Sbagliavo?Temo di no.
D'accordo, provo conforto a vedere che Saddam Hussein è caduto dal trono con
la sua banda. Provo soddisfazione, anzi un goccio di sia pur perplessa
speranza, a pensare che anche ignorando cos'è la democrazia tanti iracheni e
tante irachene siano andati a votare. Ma, visto il prezzo che stanno pagando e
che stiamo pagando, visti i morti che a entrambi ci costa, continuo a credere
che sarebbe stato meglio lasciarli bollire nel loro brodo. In Iraq gli Stati
Uniti si sono impantanati come si impantanarono in Vietnam.
Nel pantano il
cancro dell'antiamericanismo è diventato più velenoso quindi più pericoloso
del falso pacifismo che gli arcobalenisti sventolano da una parte sola. E per
capirlo basta un esempio che indigna: ad ogni strage di piccoli iracheni
assiepati intorno al Marine che distribuisce le caramelle, gli imbecilli in
malafede scrivono che «gli americani si fanno scudo dei bambini». Parole
che, inutile dirlo, aiutano non poco i Bin Laden e gli Zarqawi.
Quasi ciò non
bastasse, l'Iran di Khomeini è uscito allo scoperto imponendo le sue centrali
nucleari ed eleggendo presidente il bieco individuo che a Teheran capeggiò il
sequestro degli ostaggi americani presi all'Ambasciata. Il petrolio sale, e
con l'aiuto dell'Iran la Repubblica Isla - mica dell'Iraq incombe sempre di
più.
Detto questo, cioè ammesso che la frittata è ormai fatta, affermo che
attribuire il terrorismo alla guerra in Iraq è un errore anzi una frode per
ingannare gli stolti. Accidenti, l'Undici Settembre del 2001 la guerra in Iraq
non c'era. La guerra che l'Undici Settembre ci venne dichiarata ufficialmente
da Osama Bin Laden, invece, c'era già. Da decenni i figli di Allah
tormentavano l'Europa e l'America e Israele con le loro carneficine. Ricorda
quelle che anche in Italia subivamo ad opera degli Habbash e degli Arafat? Oh,
lo capisco a che cosa mira la sua domanda. Mira alla faccenda del ritirare le
truppe dall'Iraq. E le rispondo: non è imitando l'irresponsabile e
insopportabile Zapatero che il terrorismo islamico cesserà o diminuirà. Al
contrario. Ogni volta che un contingente si ritira, l'Europa dà un'altra
prova di debolezza, di paura. Ed oltre ad abbandonare gli iracheni nelle
grinfie di Al Qaeda e dell'Iran, ogni volta affondiamo la vanga dentro la
fossa che ci stiamo scavando con le nostre stesse mani. Per andarcene, per
tentar di rimediare alla frittata ormai fatta, ci vorrà tempo. E parecchio
cervello.
A suo avviso definire l'Islam "una religione di pace" e
dire che il Corano insegna la misericordia è una sciocchezza. Perché?
Perché a parte quattordici secoli di Storia, (secoli durante i quali l'Islam
non ha fatto che scatenar guerre ossia conquistare e sottomettere e
massacrare), lo dice il Corano. È il Corano, non mia zia, che chiama i
non-mussulmani «cani infedeli». È il Corano, non mia zia, che li accusa di
puzzare come le scimmie e i cammelli. È il Corano, non mia zia, che invita i
suoi seguaci a eliminarli. A mutilarli, lapidarli, decapitarli, o almeno
soggiogarli. Sicché se in Arabia Saudita ti fai beccare con una crocetta al
collo, un santino in tasca, una Bibbia in casa, finisci in galera o magari al
cimitero. E se in Sudan sei un povero africano o una povera africana che prega
la Madonna, finisci almeno coi ceppi ai polsi ed ai piedi cioè in stato di
schiavitù.
Ma volete mettervela in testa questa semplice, inequivocabile,
indiscutibile verità? Tutto ciò che i mussulmani fanno contro di noi e
contro sé stessi è scritto nel Corano. Richiesto o voluto dal Corano. La
Jihad o Guerra Santa. La violenza, il rifiuto della democrazia e della
libertà. L'allucinante servitù delle donne. Il culto della Morte, il
disprezzo della Vita.
E non mi risponda come i furbacchioni del presunto Islam
Moderato, non mi dica che il Corano ha versioni varie e diverse. Gira e
rigira, in ogni versione la sostanza è la stessa. E dove si nasconde, in
quella sostanza, la "religione di pace"? Dove si nasconde "la
misericordia di Allah"?
Io non la capisco la deferenza con cui voi
cattolici vi riferite al Corano. Io non lo capisco l'ossequio che manifestate
verso Maometto. Manco Cristo e Maometto fossero due amiconi che bisbocciano
insieme in Paradiso o nel Djanna. Non lo capisco il vostro insistere con la
scappatoia del Dio Unico.
Domenica 17 luglio, in una chiesetta della provincia
di Varese, un parroco ha invitato un bambino mussulmano a pregare Allah poi ha
concluso la Messa dichiarando quasi minacciosamente ai fedeli: «E badate bene
che chi non vuole chiamare Padre anche Allah, non è degno di recitare il
Pater Noster». Ma come?!? Allah non ha nulla a che fare col Dio del
Cristianesimo. Nulla. Non è un Dio buono, non è un Dio Padre. È un Dio
cattivo. Un Dio Padrone. Gli esseri umani non li tratta come figli. Li tratta
come sudditi, come schiavi. E non insegna ad amare: insegna a odiare. Non
insegna a rispettare: insegna a disprezzare. Non insegna ad essere liberi:
insegna a ubbidire.
Basta leggere le Sure sui cani-infedeli per rendersene
conto. Ad esempio le quattro in base alle quali, nel lercio libretto scritto
dal mussulmano (naturalizzato italiano) che butta i crocifissi dalla
finestra e che definisce la Chiesa cattolica "un'associazione a
delinquere" (ma nessuno lo processa), i mussulmani vengon sollecitati a
castigare la Fallaci cioè ad eliminarla. No, no, il nostro primo nemico non
è Bin Laden. Non è Zarqawi. Non sono i terroristi e i tagliateste. Il nostro
primo nemico è quel libro. Il libro che li ha intossicati.
Ecco perché dico
che il dialogo con l'Islam è impossibile e respingo la fandonia dell'Islam
Moderato, cioè l'Islam che ogni tanto si degna di condannare le stragi però
alle condanne aggiunge sempre un "se" o un "ma". Ecco
perché la convivenza col nemico che trattiamo da amico è una chimera, e la
parola "integrazione" è una bugia. Ecco perché illudersi di poter
trattare con loro equivale a firmare il Patto di Monaco con Hitler, a ripetere
l'errore di Chamberlain e di Daladier. Ecco perché parlo sempre di nazismo
islamico e mi rifaccio a Churchill che diceva: «verseremo lacrime e sangue».
Ecco perché sostengo che il loro nazismo non è una questione di razza, di
etnia: è una questione di religione. Giuridicamente, infatti, molti sono
davvero nostri concittadini. Gente nata in Inghilterra, in Francia, in Italia,
in Spagna, in Germania, in Olanda, in Polonia, eccetera. Individui cresciuti
come inglesi, francesi, italiani, spagnoli, tedeschi, olandesi, polacchi,
eccetera. Giovani che hanno studiato o studiano nelle nostre scuole medie e
nelle nostre università, che parlano bene le nostre lingue, che giocano a
football o a cricket e frequentano le discoteche e le palestre. Che non di
rado bevono il vino e la birra e la vodka. Che sembrano davvero inseriti nella
nostra società. A colpo d'occhio lo sembrano, sì. Non portano nemmeno la
barba.
Intanto, però, trattano le loro donne (e anche le nostre) come le
trattano. Le picchiano, le umiliano, a volte le ammazzano. E, quando mettono
piede in moschea, si fanno ricrescere la barba. Ascoltano l'imam che predica
la Jihad, studiano cioè imparano a memoria il Corano, e paf! Diventano
aspiranti terroristi poi allievi terroristi poi militanti terroristi. Mentre
quelli che non lo diventano, i cosiddetti moderati, farfugliano i loro ambigui
"se" o "ma" o "però". (E in Israele pretendono
addirittura di modificare l'inno e la bandiera).
Padre Andrzej, a me le
statistiche sono antipatiche. Tuttavia non possono essere ignorate, e
dall'inchiesta che dopo la strage di Londra è stata condotta per il Daily
Telegraph risulta che il 24% dei mussulmani inglesi ammette di "provar
simpatia per i sentimenti e i motivi che hanno portato alla strage del 7
luglio". Il 46% dei moderati capisce "perché quegli ex sbarbati si
comportano in tal modo". Il 32% ritiene "che i mussulmani debbano
porre fine alla decadente civiltà Occidentale". Il 14% confessa "di
non sentirsi in dovere d'avvertire la polizia se sanno che è in preparazione
un attentato, e ancor meno se un imam incita alla Guerra Santa". Quasi
non bastasse, da un rapporto governativo indicato come "The Next London
Bombing" risulta che in Gran Bretagna vi sono sedicimila mussulmani
impegnati in attività terroristiche, e che la metà dei giovani mussulmani
intervistati si dicono "ansiosi di passare alla violenza per eliminare la
nostra immorale società".
Per giudicare senza statistiche basta leggere
ciò che è emerso dall'arresto del terrorista di cittadinanza inglese e
nazionalità etiope o eritrea Hamdi Issac: arrestato a Roma dov'era vissuto
per cinque anni insieme alla numerosa famiglia. E dove anche i suoi fratelli
con regolare Permesso di Soggiorno sono finiti in carcere per rilascio di
passaporti falsi a scopo terroristico. Ma lo sa che in Italia quell'Issac
c'era arrivato (con falso passaporto somalo) come "rifugiato
politico"? Lo sa che a Londra aveva abitato sei anni a spese dello Stato
Britannico da cui riceveva sussidi anche per l'alloggio? Lo sa che la
cittadinanza britannica gliela avevano data senza batter ciglio e senza
accorgersi che il suo nome era falso? Lo sa che insieme agli altri tre (anche
loro naturalizzati cittadini britannici, anche loro mantenuti col sussidio
statale) e insieme al suo boss Muktar Said Ibrahim (anche lui naturalizzato
cittadino britannico, anche lui mantenuto col sussidio statale) confezionava
esplosivi cui si divertiva ad aggiungere chiodi e bulloni e lamette per far
più male? («Ma lui dice che non voleva uccidere nessuno. Voleva fare
soltanto un'azione dimostrativa» ha dichiarato la fascinosa avvocatessa che
lo Stato italiano gli ha fornito a spese dei contribuenti).
Padre Andrzej, le
dà fastidio udire certe cose: vero? Le ripugna vedere in tanti nostri ospiti
una nuova Hitler-Jugend che applica il suo Mein Kampf: vero? E trova eccessivo
che in loro io veda un pericolo per l'Occidente e il resto dell'umanità:
vero? Allora le rammento che a installare il nazismo in Germania, in Europa,
non fu l'intero popolo tedesco. Fu la non esigua minoranza di sciagurati che
al profeta Adolf Hitler guardava come i terroristi di oggi guardano al profeta
Maometto. E se crede che sia ingiusto darne la colpa a una religione anzi a un
libro, pensi al ragazzo americano che i Marines catturarono coi Talebani
durante la guerra in Afghanistan. Americano, ripeto. Californiano. Losangelino
con la pelle bianca come il bianco dell'uovo sodo, e di educazione
laico-cristiana. Non marocchino o tunisino o saudita o senegalese o somalo.
Con la pelle scura. Ma un giorno quel losangelino aveva messo piede in
moschea, aveva detto: «Mammy, daddy, voglio studiare il Corano». Poi era
andato in Pakistan, il Corano se l'era imparato a memoria, il cervello se
l'era fatto lavare dagli imam, ed era finito coi Talebani a Kabul.
Padre
Andrzej, è questa la mia risposta al suo ultimo perché. E so bene che a
dargliela rinforzo il rischio di andare in galera per reato di opinione
mascherato con l'accusa di "vilipendio all'Islam". So bene che
insieme alla galera rischio la vita cioè sfido ancora di più la nuova
Hitler-Jugend che vorrebbe ammazzarmi. So altrettanto bene che neanche noi
siamo stinchi di santo. Che nella nostra Storia anche noi ne abbiamo combinate
di cotte e di crude. Ma oggi il pericolo non siamo noi. Sono loro. È il loro
libro. E visto che nessuno lo dice, visto che qualcuno deve dirlo, lo dico io.
Col che saluto i polacchi che attraverso la sua traduzione ci hanno seguito.
Saluto Lei, e la ringrazio d'avermi ascoltato.