Inizio di una
nuova stagione di vita ecclesiale tra cattolici e ortodossi
All'inizio dell'anno
della fede che abbiamo stabilito di celebrare in memoria del
diciannovesimo centenario del martirio dei santi Apostoli Pietro e
Paolo, Noi, Paolo, Vescovo della Chiesa di Roma e Capo della Chiesa
Cattolica, pensando che sia Nostro dovere intraprendere tutto ciò
che può servire all'universale e santa Chiesa di Cristo,
incontriamo nuovamente il Nostro amatissimo Fratello Athenagora,
Arcivescovo ortodosso di Costantinopoli e Patriarca ecumenico, e
siamo animati dall'ardente desiderio di vedere realizzarsi la
preghiera del Signore: «Che essi siano uno come lo siamo noi. Io in
essi e tu in me: perché siano consumati nell'unità: e il mondo
conosca che tu mi hai mandato» (Gv 17,22-23).
Questo desiderio anima
una risoluta volontà di fare ogni cosa in Nostro potere per
avvicinare il giorno in cui sarà ristabilita piena comunione tra la
Chiesa d'Occidente e la Chiesa d'Oriente: perché cioè tutti i
cristiani si ricompongano in quell'unità che permetterà alla
Chiesa di testimoniare più efficacemente che il Padre ha inviato il
Figlio nel mondo perché in lui tutti gli uomini divengano figli di
Dio e vivano come fratelli nell'amore e nella pace.
Fermamente convinti che
non vi è sotto il cielo altro nome dato agli uomini per mezzo del
quale noi dobbiamo essere salvati (Cf At 4,12) e che possa
dare loro la fraternità e la pace, noi ascoltiamo attentamente il
messaggio che Giovanni, il discepolo prediletto, inviava da Efeso
alle Chiese dell'Asia: «Ciò che abbiamo visto ed inteso ve lo
annunciamo, affinché anche voi siate in unione con noi; e la vostra
comunione sia col Padre e con il suo figlio Gesù Cristo» (Gv
1,3).
Dio ci ha dato di
ricevere nella fede quello che gli Apostoli hanno visto, udito e
annunciato. Per mezzo del Battesimo «noi siamo uno in Cristo Gesù»
(Cf Gal 3,28). Inoltre, «in forza della successione
apostolica, il sacerdozio e l'Eucaristia ci uniscono ancora più
intimamente tra di noi» (Cf CONC. VAT. II, Decr. sull'ecumenismo Unitatis
redintegratio, n. 15). Siamo infatti uniti da comunione così
intima ed arcana che, partecipando ai doni che Dio fa alla sua
Chiesa, noi siamo messi in comunione col Padre, attraverso il
Figlio, nello Spirito Santo. Divenuti veramente figli nel Figlio (Cf
Gv 3,1-2), siamo divenuti, allo stesso tempo, per un motivo
reale e mirabile, fratelli degli altri uomini.
Poiché in ogni Chiesa
locale si opera questo mistero dell'amore divino, non è forse qui
l'origine di quell'espressione tradizionale, per cui le Chiese dei
vari luoghi cominciarono a chiamarsi tra di loro come sorelle? (Cf
Decr. sull'ecumenismo Unitatis redintegratio, n. 14)
Le nostre Chiese hanno vissuto per secoli come sorelle, celebrando
insieme i Concili Ecumenici che hanno difeso il deposito della fede
contro ogni alterazione.
Ora, dopo un lungo
periodo di divisione e incomprensione reciproca, il Signore,
malgrado le difficoltà che nel tempo passato sono sorte tra di noi,
ci dà la possibilità di riscoprirci come Chiese sorelle. Nella
luce di Cristo noi vediamo come sia urgente sormontare questi
ostacoli per arrivare a condurre a pienezza e perfezione la
comunione già così viva esistente tra di noi. Poiché da una parte
e dall'altra noi professiamo i dogmi fondamentali della fede
cristiana circa la Trinità del Verbo di Dio, incarnato da Maria
Vergine, dogmi definiti in Concili Ecumenici celebrati in Oriente (Decr.
sull'ecumenismo Unitatis redintegratio, n. 14), e poiché noi
abbiamo in comune veri Sacramenti e un Sacerdozio gerarchico,
bisogna prima di tutto che, servendo la nostra santa fede, noi
lavoriamo fraternamente per trovare insieme le forme adatte e
progressive per sviluppare e attualizzare, nella vita delle nostre
Chiese, la comunione che, sebbene imperfetta, già esiste.
Occorre, infine, da una
parte e dall'altra, con reciproci contatti, promuovere, approfondire
ed adeguare sia la formazione del clero, sia l'istruzione e la vita
del popolo cristiano. Attraverso il dialogo teologico, reso
possibile dal ristabilimento della carità fraterna, si tratta di
conoscersi e di rispettarsi e, pur nella legittima diversità delle
tradizioni liturgiche, spirituali, disciplinari e teologiche (Cf
Decr. sull'ecumenismo Unitatis
redintegratio, nn. 14-17), lavorare fino al momento in cui
riusciremo ad accordarci nella confessione profonda e sincera di
ogni verità rivelata. E bisogna badare, con la massima attenzione,
di «non imporre nulla... se non ciò che è necessario» (Cf At
15,28; Decr. sull'ecumenismo Unitatis redintegratio, n. 18)
per poter ristabilire e conservare la comunione e l'unità.
Mossi dalla speranza e
dalla carità, radicati in una continua preghiera, e insieme
desiderosi solo dell'unico necessario (Cf Lc 10,42), a cui
occorre subordinare ogni cosa, dobbiamo non solo continuare ma
intensificare il nostro cammino, nel nome del Signore.
25 luglio, dell'anno
del Signore 1967.
PAOLO PP. VI