Perché è così importante la visita del Papa in Terra Santa
José Luis Restan 27 aprile 2009

Sfide e difficoltà di una visita voluta profondamente da Benedetto XVI

A circa due settimane dalla storico viaggio di Benedetto XVI in Terra Santa, è bene vedere le sfide e le difficoltà che pone questa lunga visita profondamente voluta dal Papa. Sfide e difficoltà che il Patriarca latino di Gerusalemme, Fouad Twal, spiega in un’intervista pubblicata sul sito della Custodia di Terra Santa. Monsignor Twal è arabo e appartiene a una famiglia cristiana da secoli. Sebbene provenga dal corpo diplomatico, è conosciuto per la franchezza delle sue dichiarazioni e per la profonda esperienza che ha accumulato sulle vicissitudini delle piccole comunità cristiane in territori islamici.

Nella sua prima risposta il Patriarca non nasconde l’inquietudine che ha provocato in un primo momento ai leader cristiani della Terra Santa la conferma della data di questa visita.

A differenza di quanto successo nel 2000 con la visita di Giovanni Paolo II, ora non si nutre speranza per l’imminenza della pace (cosa che si è rivelata illusoria poco dopo la visita), anche perché sono ancora aperte le ferite della recente guerra a Gaza. In più, l’ascesa di Netanyahu al governo di Israele, sembra chiudere il ciclo inaugurato dagli accordi di Oslo.

Ora non c’è un percorso per la negoziazione e ogni passo del Papa deve essere calibrato al millimetro per le sue delicate ripercussioni politiche. Ma c’è un altro aspetto che preoccupa i leader cristiani. Gli ultimi mesi sono stati tormentati per quel che concerne le relazioni tra la Chiesa e il mondo ebraico. Questioni come la valorizzazione del pontificato di Pio XII, le preghiere del messale di Paolo VI o il recente uragano provocato dalle dichiarazioni negazioniste del vescovo lefebvriano Williamson, hanno avvelenato il clima delle relazioni ebraico-cristiane, che per Benedetto XVI sono un capitolo fondamentale del suo pontificato.

Il timore evidente è che la Santa Sede, mossa dal suo stesso desiderio di disarmare i malintenzionati, si lasci intrappolare in una ragnatela e il viaggio sia visto oltre il dovuto come orientato agli interessi di Israele.

Twal ammette l’esistenza di queste difficoltà, sebbene aggiunga che, una volta conosciuto il programma del viaggio (i momenti dedicati alla Giordania, ai territori palestinesi e a Israele), non si può non riconoscere che questo viaggio sarà una benedizione per tutti.

È evidente che in queste settimane il Papa ha preso nota dell’inquietudine di coloro che sono i principali destinatari della sua visita (i cristiani in Terra Santa) e ha dialogato intensamente con i pastori di quelle Chiese.

Con la stessa franchezza con cui riconosce i timori, Twal si impegna a fondo per smontarli. Il Papa era già stato invitato, e aveva mostrato fin dal principio il suo desiderio di visitare la terra di Gesù.

Aspettare un momento migliore per programmare la visita sarebbe una falsa soluzione, perché la regione non ha chiare prospettive di pace; attendere che la questione palestinese sia risolta vorrebbe dire posporre il viaggio sine die.

Proprio perché i tempi sono duri, conclude il Patriarca, «spero che il Santo Padre venga ad aiutarci a superare le difficoltà, a guardare più lontano; ci darà valore per restare fedeli alla nostra missione, alla nostra fede e al nostro senso di appartenenza a questa terra».

In effetti, poco tempo fa il Custode di Terra Santa, Padre Pizzaballa, spiegava che i cristiani della regione hanno bisogno del contatto con la presenza della Chiesa universale, per non restare chiusi nello stretto orizzonte dei duri problemi quotidiani. Il carisma del successore di Pietro, incarnato nella genialità propria di Benedetto XVI, sarà senza dubbio un aiuto prezioso in questa direzione.

Non è difficile comprendere le inquietudini e le angustie dei nostri fratelli in quella terra, stretti in una morsa tra un ambiente islamico, sempre più radicalizzato e soffocante, e un Israele chiuso in se stesso che non si libera di vecchi clichès sui cristiani. Tuttavia è ragionevole concedere, come ha fatto il Patriarca Twal, ampio credito alla saggezza e alla libertà del Papa.

Certamente Benedetto XVI vuol rimarcare il vincolo indissolubile tra la fede cristiana e la sua radice ebraica, e saprà farlo con parole libere, piene di amicizia ma in nessun caso politicamente corrette. Come ha riconosciuto anche Twal, «quanto più amichevole sarà la relazione della Santa Sede con Israele, meglio potrà intervenire a favore di tutti gli abitanti della Terra Santa, ebrei, musulmani e cristiani».

D’altro canto non mancherà la vicinanza del Papa alle sofferenze delle popolazioni palestinesi né la difesa delle sue giuste aspirazioni, aspetti questi che sono stati costanti nell’azione internazionale della Santa Sede.

Ma soprattutto, nel cuore del Papa è viva la sofferenza e la debolezza delle comunità cristiane tentate dalla sensazione di isolamento, dalla possibilità dell’emigrazione massiccia o di rinchiudersi nei propri problemi quotidiani. Esse sono la carne di una storia che ci lega direttamente a quel Gesù di cui Benedetto XVI sa spiegare come nessun altro il racconto della sua divina-umanità. Loro hanno la grande missione di mostrare la novità che introducono nella storia la misericordia e il perdono imparati da Gesù, morto e resuscitato. Una novità che è seme di pace e comprensione in una terra tormentata dal reciproco rancore.

In definitiva, non è strano che questo viaggio crei preoccupazioni tra i collaboratori del Papa, ma lui non poteva mancare a questo appuntamento. Troppi fili si annodano in quella benedetta e martirizzata regione. Vederlo lì e ascoltarlo spiegare il Vangelo nella terra su cui ha camminato il Signore sarà un bene per tutta l’umanità.


© Copyright Il Sussidiario, 27 aprile 2009

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