Eccellenza,
È con grande piacere che la accolgo in Vaticano e che accetto le Lettere
Credenziali che la nominano Ambasciatore straordinario e plenipotenziario di
Turchia presso la Santa Sede. La ringrazio per i saluti che ella mi trasmette da
parte del Presidente Ahmet Necdet Sezer, e la prego di volergli trasmettere i
miei migliori auguri, insieme al governo ed al popolo turco, e di rassicurarli
sulle mie preghiere per la nazione in questi tempi incerti e difficili sul piano
economico.
La mia visita nel vostro paese, nel 1979, mi ha permesso di scoprire in prima
persona una società che si misurava con le questioni più complesse riguardanti
la sua identità in un mondo in cambiamento e che mostrava che è possibile per
i popoli vivere in insieme in quello che voi definite spirito di comprensione e
conciliazione tra culture diverse. La mia visita mi ha altresì permesso di
rendere omaggio ad un paese che, come ella ha sottolineato, ha partecipato il
larga misura allo sviluppo del cristianesimo. È qui che S. Paolo è nato e che
egli stesso ed altri apostoli hanno predicato il Vangelo: è qui che un
considerevole numero di Padri della Chiesa, nel corso dei successivi secoli,
hanno sviluppato la tradizione apostolica; ed è qui che i primi Concili hanno
preso decisioni fondanti per la definizione della fede cristiana. Questa
memorabile visita mi ha lasciato un sentimento di profonda stima non solo per il
passato della Turchia, ma anche per ciò che la nazione ha compiuto più
recentemente.
Nel corso dell'ultimo millennio, le
relazione tra la Turchia e la Santa Sede non sono state sempre pacifiche.
Fortunatamente, il XX secolo ha visto nuovi tentativi di intessere relazioni
costruttive, fondate sulla fiducia ed il rispetto, che hanno perfino manifestato
l'esigenza che io ho definito "purificazione della memoria". Il
bisogno di una simile purificazione è evidente ovunque, perché in tante parti
del mondo vediamo che le ferite del passato persistono di generazione in
generazione. Segni incoraggianti di una nuova cordialità sono apparsi fin dalla
visita in Vaticano del Presidente degli Affari religiosi, che sono stato felice
di accogliere il 16 giugno 2000, e delle celebrazioni a Istanbul nel mese di
dicembre dello scorso anno, in onore del mio venerato predecessore Giovanni
XXIII, alle quali ella ha fatto riferimento.
Occasioni altamente simboliche come queste contribuiscono a rafforzare la volontà
della Turchia e della Santa Sede ad operare insieme per il bene della Comunità
internazionale. I recenti avvenimenti hanno dimostrato con chiarezza che tale
cooperazione è tanto più necessaria in quanto nuovi conflitti, molti dei quali
hanno luogo nella vostra regione, si aggiungono agli antichi. In un'epoca in cui
esiste un rischio crescente di tensione tra le diverse tradizioni culturali e
religiose, il suo paese ha un ruolo fondamentale da svolgere.
La Turchia è situata geograficamente e culturalmente tra Oriente ed Occidente,
ed è la prima ragione per cui essa può essere un ponte importante. Si tratta
di una società a maggioranza musulmana, profondamente segnata dalla grande
eredità religiosa e culturale trasmessa nei primi secoli nel corso dei periodi
seleucidi ed ottomani. Ma la Turchia si volge anche verso l'Occidente in ragione
delle sue radici cristiane, ed esistono comunità d'immigrati turchi in numerosi
paesi occidentali, come pure comunità cristiane nella stessa Turchia. L'antico
rapporto con l'Occidente cristiano e l'Oriente musulmano, più intenso e
complesso che si voglia riconoscere, continua in Turchia. È per questo che, in
un'epoca in cui la causa della pace deve essere servita promuovendo il dialogo
tra le culture religiose del mondo, in particolare tra l'islam e il
cristianesimo, la Comunità internazionale guarda con speranza al suo paese.
Ma la Turchia è anche per sua propria definizione uno Stato laico, nel quale
la cultura islamica si è aperta alle spinte della modernizzazione,
tradizionalmente associate all'Occidente, che hanno portato ad una distinzione
tra la religione e la politica, il sacro ed il secolare, facendo della Turchia
quel che lei stessa ha qualificato sintesi tra Oriente ed Occidente. Ma la
distinzione non può significare separazione totale: la sua nazione è ben
situata per servire una società che edifica ponti tra la religione e la
politica. Perché se la distinzione diviene una separazione, la dimensione
trascendente sparisce dalla vita pubblica. Ed è allora che appare il
totalitarismo, col suo abituale disprezzo per la libertà e la dignità umane.
Per uno Stato laico, la sfida consiste nell'essere davvero aperto alla
trascendenza: cioè fondarsi su una visione della persona umana creata a
immagine di Dio e portatrice dunque di diritti inalienabili ed universali.
Esistono infatti alcuni diritti che sono universali, perché sono radicati nella
natura della persona umana, piuttosto che sulle particolarità di una cultura.
Fra i diritti più fondamentali è
inclusa la libertà di religione, che va al di là tanto della libertà di
praticare la religione quanto della sua scelta; perché la religione non può
essere relegata alla sfera puramente privata. In uno Stato laico aperto alla
trascendenza, la libertà religiosa include anche il diritto a che i valori
personali siano rapportati alla vita pubblica, nella convinzione che questi
valori contribuiscono allo sforzo comune in vista dell'edificazione di una
società realmente aperta a tutte le dimensioni della persona umana.
In Turchia i cattolici rappresentano una piccola minoranza. Essi non vedono
alcuna contraddizione tra l'essere cattolici e turchi e attendono con
impazienza, come me, di veder riconosciuto lo statuto giuridico della Chiesa.
Essi sono certi che nella loro patria, continueranno a trovare il rispetto per
le minoranze che è "la pietra di paragone per un'armoniosa convivenza
sociale e l'indice della maturità civile raggiunta da un Paese e dalle sue
istituzioni" (Messaggio per la Giornata mondiale della Pace 1989, 12, ORLF
n.. 51 del 20 dicembre 1988). Anche questo è un aspetto per cui la Turchia può
servire da ponte, sottolineando chiaramente che le giustificate preoccupazioni
per l'unità nazionale non sono in contraddizione con il rispetto per i diritti
delle persone e delle comunità. Al contrario, è questo rispetto, assicurato
dalla legge, che è la più sicura garanzia della coesione e della sicurezza di
una nazione.
Eccellenza, mentre ella si assume le
sue responsabilità nel seno della comunità diplomatica accreditata presso la
Santa Sede, le porgo i miei migliori auguri per il successo della sua importante
missione, certo che essa rafforzerà ulteriormente le buone relazioni che
esistono tra noi. Le assicuro che i diversi uffici della Curia romana saranno
sempre pronti ad assisterla. Su di lei e sull'amato popolo turco, invoco
l'abbondanza delle Benedizioni di Dio onnipotente.