Nel difendere la libertà religiosa la Chiesa difende l’uomo

Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant'Egidio, così commenta su Radio Vaticana le parole di Benedetto XVI, nell'Angelus di domenica 26 marzo 2006 sui cristiani perseguitati a causa della loro fede

Mai dimenticare quei cristiani che ancora oggi soffrono persecuzioni a causa della loro fede. Le parole di Benedetto XVI all’Angelus di ieri hanno destato particolare emozione. Il Papa si è rivolto “a quelle comunità che vivono nei Paesi dove la libertà religiosa manca o, nonostante la sua affermazione sulla carta, subisce di fatto molteplici restrizioni”. Il Pontefice ha anche esortato tutti i fedeli a non essere indifferenti, ma piuttosto a sentirsi vicini a quelle comunità cristiane che “versano in condizioni di più grande difficoltà e sofferenza”. Un passaggio, questo, sul quale si sofferma il prof. Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio:


R. - Io credo che questo faccia parte dell’egocentrismo in cui noi viviamo. E’ strano perché in un mondo globalizzato ci sono più possibilità di sapere, più possibilità di essere vicini, più possibilità di aiutare. Credo che la teologia di San Paolo dovrebbe diventare spiritualità vissuta del popolo cristiano cioè soffrire con le membra che soffrono. Penso ai cristiani in tante parti del mondo, difficili per la persecuzione, per mancanza di libertà, difficili per la povertà. Queste realtà devono essere presenti anche ai cristiani ricchi del mondo occidentale ai quali si deve ricordare che noi non abbiamo sofferto fino al sangue.

D. – Nella dichiarazione conciliare Dignitatis Humanae si afferma con forza che la libertà religiosa è un diritto inalienabile della persona umana. Questa conquista sembra però ancora di là da venire in alcune aree del mondo. In particolare, dove la maggioranza della popolazione è di fede musulmana. Dunque, cosa fare?

R. – Penso che questo problema della libertà religiosa sia il grande problema del tempo contemporaneo e penso che sia un punto molto difficile su cui sia necessario insistere. Oggi noi abbiamo capito che si è veramente credenti quando si è liberi di essere credenti, quando si può approfondire la propria fede! Questo è qualcosa che siamo chiamati anche a comunicare agli altri mondi culturali, agli altri mondi religiosi, non come un fatto che riguarda solo i cristiani ma come un fatto che rende il mondo migliore e il mondo più umano. Quando noi difendiamo la libertà religiosa, noi difendiamo l’uomo, non difendiamo solo l’interesse delle comunità cristiane.

D. – Il martire cristiano, come da ultimo insegna don Andrea Santoro, muore per gli altri. Quali frutti possono nascere dal sacrificio di questi testimoni straordinari dell’amore cristiano?

R. – I martiri cristiani non sono coloro che tolgono la vita agli altri, ma sono coloro che danno la vita agli altri. E pure essendo vittime della violenza, la loro morte parla di pace e parla di comprensione. Il martire si capisce non come una bandiera “contro”, ma il martire si capisce alla luce dell’Eucaristia cioè del sacrificio, del dono della vita perché gli altri vivano.

D. – Come lei sa, si parla molto in questo periodo, di diritto di reciprocità a proposito della libertà religiosa. In alcuni Stati, i cristiani non possono neanche leggere la Bibbia in pubblico. Come inquadrare dunque la questione?

R. – Gli Stati hanno dei doveri. Bisognerebbe insistere sui doveri degli Stati che partecipano alla comunità internazionale. Uno dei doveri degli Stati è proprio il rispetto della libertà religiosa. Penso che qui bisogna lavorare molto a diversi livelli di opinione pubblica, di chiese, di dirigenti politici, per far capire come un Paese che non rispetti la libertà religiosa dei suoi cittadini, è un Paese profondamente povero. Certo, siamo ancora lontani da questa presa di coscienza, però i problemi sono posti e non dobbiamo dimenticarli, non dobbiamo dimenticarli perché magari dobbiamo fare “affari” con uno Stato o perché è scomodo ricordarli.

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