È per me motivo di grande gioia questo incontro tradizionale d’inizio
d’anno, due settimane dopo la celebrazione della nascita del Verbo incarnato.
Come abbiamo proclamato nella liturgia: “Nel mistero adorabile del Natale, Egli,
Verbo invisibile, apparve visibilmente nella nostra carne, e generato prima dei
secoli, cominciò ad esistere nel tempo, per assumere in sé tutto il creato e
sollevarlo dalla sua caduta” (Prefazio II del Natale).
A Natale, quindi, abbiamo contemplato il mistero di Dio e quello della
creazione; mediante l’annuncio degli angeli ai pastori ci è giunta la buona
novella della salvezza dell’uomo e del rinnovamento dell’intero universo. Per
questa ragione, nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace di quest’anno,
ho invitato tutti gli uomini di buona volontà, ai quali gli angeli hanno
promesso giustamente la pace, a custodire il creato. Ed è in questo stesso
spirito che sono lieto di salutare ciascuno di Voi, in particolare coloro che
sono presenti per la prima volta a questa cerimonia.
Vi ringrazio sentitamente per i voti augurali, di cui si è fatto interprete il
vostro Decano, il Signor Ambasciatore Alejandro Valladares Lanza, e Vi rinnovo
il mio vivo apprezzamento per la missione che svolgete presso la Santa Sede.
Attraverso di Voi, desidero far giungere il mio cordiale saluto e augurio di
pace e prosperità alle Autorità e a tutti gli abitanti dei Paesi che Voi
degnamente rappresentate.
Il mio pensiero si estende, anche, a tutte le altre Nazioni della terra: il
Successore di Pietro mantiene le sue porte aperte a tutti e con tutti desidera
avere relazioni che contribuiscano al progresso della famiglia umana.
Da qualche settimana, sono state stabilite piene relazioni diplomatiche tra la
Santa Sede e la Federazione Russa: è questo un motivo di profonda soddisfazione.
Allo stesso modo, è stata molto significativa la visita che mi ha reso
recentemente il Presidente della Repubblica Socialista del Vietnam, Paese che è
caro al mio cuore e nel quale la Chiesa sta celebrando la sua plurisecolare
presenza con un Anno giubilare. Con tale spirito di apertura, nel corso del
2009, ho ricevuto numerose personalità politiche, provenienti da diversi Paesi;
ho anche visitato alcuni di essi e mi propongo in futuro, nella misura del
possibile, di continuare a farlo.
La Chiesa è aperta a tutti, perché – in Dio - esiste per gli altri! Pertanto
essa partecipa intensamente alle sorti dell’umanità, che in questo anno appena
iniziato, appare ancora segnata dalla drammatica crisi che ha colpito l’economia
mondiale e ha provocato una grave e diffusa instabilità sociale.
Con l’Enciclica Caritas in veritate ho invitato ad individuare le radici
profonde di tale situazione: in ultima analisi, esse risiedono nella mentalità
corrente egoistica e materialistica, dimentica dei limiti propri a ciascuna
creatura.
Oggi mi preme sottolineare che questa stessa mentalità minaccia anche il creato.
Ciascuno di noi, probabilmente, potrebbe citare qualche esempio dei danni che
essa arreca all’ambiente, in ogni parte del mondo.
Ne cito uno, tra i tanti, dalla storia recente dell’Europa: vent’anni fa, quando
cadde il Muro di Berlino e quando crollarono i regimi materialisti ed atei che
avevano dominato lungo diversi decenni una parte di questo Continente, non si è
potuto avere la misura delle profonde ferite che un sistema economico privo di
riferimenti fondati sulla verità dell’uomo aveva inferto, non solo alla dignità
e alla libertà delle persone e dei popoli, ma anche alla natura, con
l’inquinamento del suolo, delle acque e dell’aria?
La negazione di Dio sfigura la libertà della persona umana, ma devasta anche la
creazione! Ne consegue che la salvaguardia del creato non risponde in primo
luogo ad un’esigenza estetica, ma anzitutto a un’esigenza morale, perché la
natura esprime un disegno di amore e di verità che ci precede e che viene da
Dio.
Pertanto, condivido la maggiore preoccupazione che causano le resistenze di
ordine economico e politico alla lotta contro il degrado dell’ambiente. Si
tratta di difficoltà che si sono potute constatare ancora di recente durante la
XV Sessione della Conferenza degli Stati parte alla Convenzione delle Nazioni
Unite sui cambiamenti climatici, svoltasi dal 7 al 18 dicembre scorso a
Copenaghen. Auspico che, nell’anno corrente, prima a Bonn e poi a Città del
Messico, sia possibile giungere ad un accordo per affrontare tale questione in
modo efficace. La posta in gioco è tanto più importante perché ne va del destino
stesso di alcune Nazioni, in particolare, alcuni Stati insulari.
Occorre, tuttavia, che tale attenzione e tale impegno per l’ambiente siano bene
inquadrati nell’insieme delle grandi sfide che si pongono all’umanità. Se,
infatti, si vuole edificare una vera pace, come sarebbe possibile separare, o
addirittura contrapporre la salvaguardia dell’ambiente a quella della vita
umana, compresa la vita prima della nascita? E’ nel rispetto che la persona
umana nutre per se stessa che si manifesta il suo senso di responsabilità verso
il creato. Perché, come insegna S. Tommaso d’Aquino, l’uomo rappresenta quanto
c’è di più nobile nell’universo (cfr. Summa Theologiae, I, q.29, a.3). Inoltre,
come ho ricordato al recente Vertice Mondiale della FAO sulla Sicurezza
alimentare, “la terra può sufficientemente nutrire tutti i suoi abitanti”
(Discorso del 16 novembre 2009, 2), purché l’egoismo non porti alcuni ad
accaparrarsi i beni destinati a tutti!
Vorrei sottolineare ancora che la salvaguardia della creazione implica una
corretta gestione delle risorse naturali dei paesi, in primo luogo, di quelli
economicamente svantaggiati. Il mio pensiero va al Continente africano, che ho
avuto la gioia di visitare nel marzo scorso, recandomi in Camerun ed Angola, ed
al quale sono stati dedicati i lavori della recente Assemblea Speciale del
Sinodo dei Vescovi. I Padri sinodali hanno segnalato con preoccupazione
l’erosione e la desertificazione di larghe zone di terra coltivabile, a causa
dello sfruttamento sconsiderato e dell’inquinamento dell’ambiente (cfr.
Propositio n. 22). In Africa, come altrove, è necessario adottare scelte
politiche ed economiche che assicurino “forme di produzione agricola e
industriale rispettose dell’ordine della creazione e soddisfacenti per i bisogni
primari di tutti” (Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2010, 10).
Come dimenticare, poi, che la lotta per l’accesso alle risorse naturali è una
delle cause di vari conflitti, tra gli altri in Africa, così come la sorgente di
un rischio permanente in altre situazioni? Anche per questa ragione ripeto con
forza che, per coltivare la pace, bisogna custodire il creato! D’altra parte ci
sono ancora vaste estensioni di terra, per esempio in Afghanistan ed in alcuni
paesi dell’America Latina, dove purtroppo l’agricoltura è ancora legata alla
produzione di droga e costituisce una fonte non trascurabile di occupazione e di
sostentamento. Se si vuole la pace, occorre custodire il creato con la
riconversione di tali attività. Chiedo perciò alla comunità internazionale,
ancora una volta, che non si rassegni al traffico della droga ed ai gravi
problemi morali e sociali che essa genera.
Sì, Signore e Signori, la custodia del creato è un importante fattore di pace e
di giustizia! Fra le tante sfide che essa lancia, una delle più gravi è quella
dell’aumento delle spese militari, nonché quella del mantenimento o dello
sviluppo degli arsenali nucleari. Ciò assorbe ingenti risorse, che potrebbero,
invece, essere destinate allo sviluppo dei Popoli, soprattutto di quelli più
poveri. Confido, fermamente, che nella Conferenza di esame del Trattato di
Non-Proliferazione nucleare, in programma per il maggio prossimo a New York,
vengano prese decisioni efficaci in vista di un progressivo disarmo, che porti a
liberare il pianeta dalle armi nucleari. Più in generale, deploro che la
produzione e l’esportazione di armi contribuiscano a perpetuare conflitti e
violenze, come quelli nel Darfur, in Somalia e nella Repubblica Democratica del
Congo. All’incapacità delle parti direttamente coinvolte di sottrarsi alla
spirale di violenza e di dolore generata da questi conflitti, si aggiunge
l’apparente impotenza degli altri Paesi e delle Organizzazioni internazionali a
riportare la pace, senza contare l’indifferenza quasi rassegnata dell’opinione
pubblica mondiale. Non occorre poi sottolineare come tali conflitti danneggino e
degradino l’ambiente. Come, infine, non menzionare il terrorismo che mette in
pericolo un così gran numero di vite innocenti e provoca un diffuso senso di
angoscia? In questa solenne circostanza, desidero rinnovare l’appello che ho
lanciato il 1° gennaio durante la preghiera dell’Angelus a quanti fanno parte di
gruppi armati di qualsiasi tipo affinché abbandonino la strada della violenza e
aprano il loro cuore alla gioia della pace.
Le gravi violenze che ho appena evocato, unite ai flagelli della povertà e della
fame, come pure alle catastrofi naturali ed al degrado ambientale,
contribuiscono ad ingrossare le fila di quanti abbandonano la propria terra. Di
fronte a tale esodo, invito le Autorità civili, che vi sono coinvolte a diverso
titolo, ad agire con giustizia, solidarietà e lungimiranza. In particolare,
vorrei menzionare i Cristiani in Medio Oriente: colpiti in varie maniere, fin
nell’esercizio della loro libertà religiosa, essi lasciano la terra dei loro
padri in cui si è sviluppata la Chiesa dei primi secoli. È per offrire loro un
sostegno e per far loro sentire la vicinanza dei fratelli nella fede, che ho
convocato, per l’autunno prossimo, l’Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi
sul Medio Oriente.
Signore e Signori Ambasciatori, quelle che ho tracciato finora sono soltanto
alcune delle dimensioni connesse con la problematica ambientale. Tuttavia, le
radici della situazione che è sotto gli occhi di tutti, sono di ordine morale e
la questione deve essere affrontata nel quadro di un grande sforzo educativo,
per promuovere un effettivo cambiamento di mentalità ed instaurare nuovi stili
di vita. Di ciò può e vuole essere partecipe la comunità dei credenti, ma perché
ciò sia possibile, bisogna che se ne riconosca il ruolo pubblico.
Purtroppo, in alcuni Paesi, soprattutto occidentali, si diffondono, negli
ambienti politici e culturali, come pure nei mezzi di comunicazione, un
sentimento di scarsa considerazione, e, talvolta, di ostilità, per non dire di
disprezzo verso la religione, in particolare quella cristiana. E’ chiaro che, se
il relativismo è concepito come un elemento costitutivo essenziale della
democrazia, si rischia di concepire la laicità unicamente in termini di
esclusione o, meglio, di rifiuto dell’importanza sociale del fatto religioso.
Un tale approccio crea tuttavia scontro e divisione, ferisce la pace, inquina
l’“ecologia umana” e, rifiutando, per principio, le attitudini diverse dalla
propria, si trasforma in una strada senza uscita. Urge, pertanto, definire una
laicità positiva, aperta, che, fondata su una giusta autonomia tra l’ordine
temporale e quello spirituale, favorisca una sana collaborazione e un senso di
responsabilità condivisa. In questa prospettiva, io penso all’Europa, che con
l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona ha iniziato una nuova fase del suo
processo di integrazione, che la Santa Sede continuerà a seguire con rispetto e
con benevola attenzione. Nel rilevare con soddisfazione che il Trattato prevede
che l’Unione Europea mantenga con le Chiese un dialogo “aperto, trasparente e
regolare” (art. 17), auspico che, nella costruzione del proprio avvenire,
l’Europa sappia sempre attingere alle fonti della propria identità cristiana.
Come ho rimarcato durante il mio viaggio apostolico del settembre scorso nella
Repubblica Ceca, essa ha un ruolo insostituibile “per la formazione della
coscienza di ogni generazione e per la promozione di un consenso etico di fondo,
al servizio di ogni persona che chiama questo continente «casa»!” (Discorso alle
autorità civili e al corpo diplomatico, 26 settembre 2009).
Proseguendo nella nostra riflessione, è necessario rilevare che la problematica
dell’ambiente è complessa. Si potrebbe dire che è un prisma dalle molte
sfaccettature. Le creature sono differenti le une dalle altre e possono essere
protette, o, al contrario, messe in pericolo, in modi diversi, come ci mostra
l’esperienza quotidiana. Uno di tali attacchi proviene da leggi o progetti, che,
in nome della lotta contro la discriminazione, colpiscono il fondamento
biologico della differenza fra i sessi. Mi riferisco, per esempio, ad alcuni
Paesi europei o del Continente americano. “Se togli la libertà, togli la
dignità”, come disse S. Colombano (Epist. n.4 ad Attela, in S. Columbani opera,
Dublin 1957, p. 34.) Tuttavia, la libertà non può essere assoluta, perché l’Uomo
non è Dio, ma immagine di Dio, sua creatura. Per l’uomo, il cammino da seguire
non può quindi essere l’arbitrio, o il desiderio, ma deve consistere, piuttosto,
nel corrispondere alla struttura voluta dal Creatore.
La salvaguardia della creazione comporta anche altre sfide, alle quali non si
può rispondere che attraverso la solidarietà internazionale. Penso alle
catastrofi naturali, che durante l’anno scorso hanno seminato morti, sofferenze
e distruzioni nelle Filippine, in Vietnam, nel Laos, in Cambogia e nell’isola di
Taiwan. Come non ricordare poi l’Indonesia, e, più vicino a noi, la regione
dell’Abruzzo, scosse da devastanti terremoti? Di fronte a simili eventi non deve
venire meno l’aiuto generoso, perché la vita stessa delle creature di Dio è in
gioco. Ma la salvaguardia della creazione, oltre che della solidarietà, ha
bisogno anche della concordia e della stabilità degli Stati. Quando insorgono
divergenze ed ostilità fra questi ultimi, per difendere la pace debbono
perseguire con tenacia la via di un dialogo costruttivo. E’ quanto avvenne
venticinque anni or sono con il Trattato di Pace ed Amicizia fra Argentina e
Cile, che fu raggiunto grazie alla mediazione della Sede Apostolica. Esso ha
portato abbondanti frutti di collaborazione e prosperità, di cui ha beneficiato,
in qualche modo, l’intera America Latina. In questa stessa parte del mondo, sono
lieto del riavvicinamento intrapreso da Colombia ed Ecuador, dopo parecchi mesi
di tensione. Più vicino a noi, mi compiaccio dell’intesa conclusa tra Croazia e
Slovenia a proposito dell’arbitrato relativo alle loro frontiere marittime e
terrestri. Mi rallegro, altresì, dell’accordo tra Armenia e Turchia, in vista
della ripresa delle loro relazioni diplomatiche, ed auspico che attraverso il
dialogo, i rapporti fra tutti i Paesi del Caucaso meridionale migliorino.
Durante il mio pellegrinaggio in Terra Santa, ho richiamato in modo pressante
Israeliani e Palestinesi a dialogare e a rispettare i diritti dell’altro.
Ancora una volta levo la mia voce, affinché sia universalmente riconosciuto il
diritto dello Stato di Israele ad esistere e a godere di pace e sicurezza entro
confini internazionalmente riconosciuti. E che, ugualmente, sia riconosciuto il
diritto del Popolo palestinese ad una patria sovrana e indipendente, a vivere
con dignità e a potersi spostare liberamente. Mi preme, inoltre, sollecitare il
sostegno di tutti perché siano protetti l’identità e il carattere sacro di
Gerusalemme, la sua eredità culturale e religiosa, il cui valore è universale.
Solo così questa città unica, santa e tormentata, potrà essere segno e
anticipazione della pace che Dio desidera per l’intera famiglia umana! Per amore
del dialogo e della pace, che salvaguardano la creazione, esorto i governanti e
i cittadini dell’Iraq ad oltrepassare le divisione, la tentazione della violenza
e l’intolleranza, per costruire insieme l’avvenire del loro Paese. Anche le
comunità cristiane vogliono dare il loro contributo, ma perché ciò sia
possibile, bisogna che sia loro assicurato rispetto, sicurezza e libertà. Anche
il Pakistan è stato duramente colpito dalla violenza in questi ultimi mesi e
alcuni episodi hanno preso di mira direttamente la minoranza cristiana. Domando
che si compia ogni sforzo affinché tali aggressioni non si ripetano e i
cristiani possano sentirsi pienamente integrati nella vita del loro Paese.
Trattando delle violenze contro i cristiani, non posso non menzionare, peraltro,
i deplorevoli attentati di cui sono state vittime le Comunità copte egiziane in
questi ultimi giorni, proprio quando stavano celebrando il Natale. Per quanto
riguarda l’Iran, auspico che attraverso il dialogo e la collaborazione, si
raggiungano soluzioni condivise, sia a livello nazionale che sul piano
internazionale. Al Libano, che ha superato una lunga crisi politica, auguro di
proseguire sempre sulla via della concordia. Confido che l’Honduras, dopo un
periodo di incertezza e trepidazione, si incammini verso una ritrovata normalità
politica e sociale. E lo stesso mi auguro che si realizzi in Guinea ed in
Madagascar, con l’aiuto effettivo e disinteressato della comunità
internazionale.
Signore e Signori Ambasciatori, al termine di questo rapido giro d’orizzonte,
che, a motivo della brevità non può soffermarsi su tutte le situazioni pur
meritevoli di menzione, mi tornano alla mente le parole dell’Apostolo Paolo,
secondo cui “la creazione geme e soffre” e “anche noi… gemiamo interiormente” (
Rm 8,22-23). Sì, c’è tanta sofferenza nell’umanità e l’egoismo umano ferisce la
creazione in molteplici modi. Per questo l’attesa di salvezza, che tocca tutta
quanta la creazione, è ancor più intensa ed è presente nel cuore di tutti,
credenti e non credenti. La Chiesa indica che la risposta a tale anelito è il
Cristo, il “primogenito di tutta la creazione, perché in lui furono create tutte
le cose nei cieli e sulla terra” (Col 1,15-16). Fissando lo sguardo su di Lui,
esorto ogni persona di buona volontà ad operare con fiducia e generosità per la
dignità e la libertà dell’uomo. Che la luce e la forza di Gesù ci aiutino a
rispettare l’“ecologia umana”, consapevoli che anche l’ecologia ambientale ne
trarrà beneficio, poiché il libro della natura è uno ed indivisibile. E’ così
che potremo consolidare la pace, oggi e per le generazioni che verranno. Buon
Anno a tutti!
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