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Papa Ratzinger prende l'Islam in
contropiede...
Massimo Introvigne, Il Giornale 27 settembre 2006
Molti incauti vaticanisti
credevano di sapere già alla vigilia che Benedetto XVI si sarebbe limitato a
parlare agli ambasciatori dei Paesi islamici di pace, amicizia e buoni
sentimenti. Non è andata così, e il Papa - la metafora non suoni irrispettosa
- ha preso tutti in un magnifico contropiede.
Anzitutto, l’evento stesso ha ricordato la strettissima unità nell’islam
fra politica e religione. Volendo dialogare con i protestanti, il Papa avrebbe
invitato dei vescovi e dei pastori, non gli ambasciatori della Danimarca o della
Gran Bretagna. Invece, per parlare con l’islam ha convocato gli ambasciatori
dei paesi a maggioranza islamica, ricordando agli ingenui con una pedagogia
visiva che le vere guide delle comunità islamiche sono i governanti, non i
predicatori o i docenti universitari. È vero, c’erano anche i rappresentanti
della Consulta per l’Islam italiano, ma anche la posizione di questi ultimi è
politica, perché sono stati scelti dal governo (Berlusconi), non dai musulmani
italiani.
Posto che religione e politica sono strettamente unite nell’islam, il Papa si
è rivolto a chi ha potere di decidere offrendo un dialogo dichiarato sì
indispensabile ma subordinato a due condizioni ben precise. La prima è che ci
si opponga a «ogni manifestazione di violenza», senza eccezioni. Il Papa sa
bene che tra i suoi interlocutori - stranieri e italiani - c'erano esponenti
fondamentalisti e ha in qualche modo fatto sua la strategia di Condi Rice del
Global Muslim Outreach, la «Mano tesa globale all’islam». Si dialoga anche
con i fondamentalisti non «radicali», cioè non violenti, purché ripudino il
terrorismo senza distinguo: il che significa dire no non solo a Bin Laden ma
anche ai terroristi che attaccano Israele.
Ma Benedetto XVI ha detto di più, andando in un certo senso oltre Ratisbona.
Per molti musulmani c’è una parola tabù che non va mai pronunciata:
«reciprocità». Sfruttando a loro vantaggio l’ideologia occidentale del
multiculturalismo, affermano che ogni cultura va giudicata secondo le sue
tradizioni. È quindi giusto che in Occidente i musulmani possano costituire
moschee e cercare nuovi fedeli, in coerenza con i principi occidentali di
libertà religiosa, così come è giusto che in Arabia Saudita i cristiani non
possano costruire chiese e nella gran parte del mondo islamico non possano fare
proselitismo, perché questo comanda la cultura islamica. Il relativismo moderno
permette ai musulmani di sostenere che non esistono diritti umani universali che
si impongano a tutti a prescindere dai contesti locali. Pertanto è normale che
la libertà religiosa protegga i musulmani a Roma ma non i cristiani in
Pakistan.
Qui invece è scattato il contropiede del Papa. Rispondendo implicitamente anche
a chi lo ha accusato di essere più duro di Giovanni Paolo II, Benedetto XVI ha
citato il suo predecessore che in un «memorabile» discorso del 1985 a
Casablanca aveva ricordato ai musulmani presenti e al re del Marocco che ci sono
diritti universali, la libertà di religione non si limita alla libertà di
culto ma comprende l’attività missionaria e la conversione, e il dialogo
esige «reciprocità in tutti i campi, soprattutto per quanto concerne le
libertà fondamentali e più particolarmente la libertà religiosa». La parola
che non si voleva fosse pronunciata è risuonata forte e chiara:
«reciprocità». I musulmani hanno dovuto incassare: si può attaccare una
citazione di Manuele II Paleologo, ma come prendersela con chi cita Giovanni
Paolo II, popolarissimo anche in molti paesi islamici?
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