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Dal mondo
islamico accuse al Papa. False
Vittorio E. Parsi, su Avvenire 15
settembre 2006
Si cavalca l'equivoco. Strano
per dei credenti
Desta sconcerto e amarezza che le
parole di Benedetto XVI sull'Islam siano colte a pretesto per innescare una
polemica tanto goffa quanto infeconda. È amarezza per parole d'intelligenza e
d'amore tradite con versioni meschine e quasi volgari. È sconcerto per chi
arriva persino a contraffare pensieri e preoccupazioni, pur di dar ragione alle
proprie paure e ai propri immotivati pregiudizi. Con il metodo che avevamo già
visto sfruttato nella vicenda delle vignette blasfeme, ossia della propagazione
a onde concentriche di accuse per lo più inventate, sta in queste ore prendendo
piede qua e là nel mondo islamico un'offensiva anti-romana che è del tutto
immotivata.
Lo spunto per la riflessione
sviluppata nella sua lezione di martedì scorso all'Università, a Benedetto XVI
era stata offerta da un dialogo che l'imperatore Emanuele II ebbe con un
interlocutore persiano, circa l'irragionevolezza della diffusione della fede
mediante la violenza, da cui deriva la critica del concetto di guerra santa e di
Jihad. Riportando questo dialogo, svoltosi nel 1391, cioè quando la
cristianità era effettivamente sotto attacco anche militare da parte
dell'islam, il Papa richiamava proprio a quella «vastità della ragione» in
cui «invitiamo nel dialogo delle culture i nostri interlocutori», e in ciò
metteva in guardia dalle interpretazioni violente delle religioni che sono in
contrasto con la natura di Dio.
Che qualcuno possa capovolgere il
senso di questa perorazione così appassionata per cercare di arruolare
Benedetto XVI tra i membri di una immaginaria "schiera crociata"
impegnata a distruggere un mondo islamico perennemente assediato è
semplicemente incredibile. Che si voglia decontestualizzare il riferimento alle
parole di Emanuele II appare completamente velleitario e controfattuale.
Potremmo del resto dire che è
proprio nel nome del rapporto necessario fra fede e ragione che sta il primo
dialogo e che, ricorda Benedetto XVI, solo a partire da questo punto si può
cogliere l'importanza intrinseca del dialogo interreligioso. Detto altrimenti:
su che cos'altro potrebbe fondarsi il dialogo tra le fedi se non sulla ragione e
sulla ragionevolezza? Ciò non riduce la fede cattolica a un puro dato di
ragione, ne elimina piuttosto l'opposizione pretestuosa fra fede e ragione:
tipico di ogni fondamentalismo, compreso quello laico, e significativamente al
centro di questi attacchi di cui è fatto oggetto il Pontefice. Nel forte
richiamo al legame storico, per nulla accidentale ma semmai provvidenziale, tra
fede cristiana e Occidente, nel richiamo all'impronta storicamente decisiva che
il cristianesimo ha trovato in Europa, qualcuno vuole contro ogni evidenza
trovare un pretesto per un'inesistente provocazione. Un simile tentativo -
lasciatecelo dire - ci pare proprio una miseria, ed è destinato a ricadere su
chi, magari ingenuamente, lo attua.
Poche altre istituzioni come la
Chiesa hanno dimostrato un impegno costante, concreto e determinato nel
ricercare un autentico dialogo interreligioso. Poche altre istituzioni come la
Chiesa hanno mai tralasciato occasione per scongiurare la minaccia di un
conflitto di civiltà. In questo suo essere "anche" istituzione, sta
la forza della Chiesa, la sua paziente determinazione, la sua capacità di
esporsi al dialogo: disarmata, ma non per questo meno forte. Anzi.
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