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Benedetto XVI - Udienza del 20 settembre 2006

Pubblichiamo il passo relativo al discorso di Ratisbona. Coraggio nel parlare, umiltà e verità nel far chiarezza, senza perdere autorevolezza.

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Un'esperienza particolarmente bella è stata per me in quel giorno tenere una prolusione davanti a un grande uditorio di professori e di studenti nell'Università di Regensburg, dove per molti anni ho insegnato come professore. Con gioia ho potuto incontrare ancora una volta il mondo universitario che, durante un lungo periodo della mia vita, è stato la mia patria spirituale. Come tema avevo scelto la questione del rapporto tra fede e ragione. Per introdurre l'uditorio nella drammaticità e nell'attualità dell'argomento, ho citato alcune parole di un dialogo cristiano-islamico del XIV secolo, con le quali l'interlocutore cristiano - l'imperatore bizantino Manuele II Paleologo - in modo per noi incomprensibilmente brusco - presentò all’interlocutore islamico il problema del rapporto tra religione e violenza. Questa citazione, purtroppo, ha potuto prestarsi ad essere fraintesa. Per il lettore attento del mio testo, però, risulta chiaro che non volevo in nessun modo far mie le parole negative pronunciate dall'imperatore medievale in questo dialogo e che il loro contenuto polemico non esprime la mia convinzione personale. La mia intenzione era ben diversa: partendo da ciò che Manuele II successivamente dice in modo positivo, con una parola molto bella, circa la ragionevolezza che deve guidare nella trasmissione della fede, volevo spiegare che non religione e violenza, ma religione e ragione vanno insieme. Il tema della mia conferenza – rispondendo alla missione dell’Università – fu quindi la relazione tra fede e ragione: volevo invitare al dialogo della fede cristiana col mondo moderno ed al dialogo di tutte le culture e religioni. Spero che in diverse occasioni della mia visita - per esempio, quando a Monaco ho sottolineato quanto sia importante rispettare ciò che per gli altri è sacro (1) - sia apparso con chiarezza il mio rispetto profondo per le grandi religioni e, in particolare, per i musulmani, che “adorano l’unico Dio” e con i quali siamo impegnati a “difendere e promuovere insieme, per tutti gli uomini, la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà” (Nostra Aetate, 3). Confido quindi che, dopo le reazioni del primo momento, le mie parole nell'Università di Regensburg possano costituire una spinta e un incoraggiamento a un dialogo positivo, anche autocritico, sia tra le religioni come tra la ragione moderna e la fede dei cristiani.

(1) Pubblichiamo i punti salienti dell'omelia del Papa, pronunciata a Monaco il 10 settembre:

[...] Il fatto sociale e il Vangelo non si possono scindere tra loro così facilmente. Dove portiamo agli uomini soltanto conoscenze, abilità, capacità tecniche e strumenti, là portiamo troppo poco. Allora sopravvengono ben presto i meccanismi della violenza, e la capacità di distruggere e di uccidere diventa la capacità prevalente, la capacità per raggiungere il potere – un potere che una volta o l'altra dovrebbe portare il diritto, ma che non ne sarà mai capace. In questo modo ci si allontana sempre di più dalla riconciliazione, dall'impegno comune per la giustizia e l'amore. I criteri, secondo i quali la tecnica entra a servizio del diritto e dell'amore, si smarriscono; ma è proprio da questi criteri, che tutto dipende: criteri che non sono soltanto teorie, ma che illuminano il cuore portando così la ragione e l'agire sulla retta via.

Le popolazioni dell'Africa e dell'Asia ammirano le prestazioni tecniche dell’Occidente e la nostra scienza, ma al contempo si spaventano di fronte ad un tipo di ragione che esclude totalmente Dio dalla visione dell'uomo, ritenendo questa la forma più sublime della ragione, da imporre anche alle loro culture. La vera minaccia per la loro identità non la vedono nella fede cristiana, ma invece nel disprezzo di Dio e nel cinismo che considera il dileggio del sacro un diritto della libertà ed eleva l'utilità a supremo criterio morale per i futuri successi della ricerca. Cari amici, questo cinismo non è il tipo di tolleranza e di apertura culturale che i popoli aspettano e che tutti noi desideriamo! La tolleranza di cui abbiamo urgente bisogno comprende il timor di Dio – il rispetto di ciò che per altri è cosa sacra. Questo rispetto per ciò che gli altri ritengono sacro presuppone tuttavia che noi stessi impariamo nuovamente il timor di Dio. Questo senso di rispetto può essere rigenerato nel mondo occidentale soltanto se cresce di nuovo la fede in Dio, se Dio sarà di nuovo presente per noi ed in noi.

La nostra fede non la imponiamo a nessuno. Un simile genere di proselitismo è contrario al cristianesimo. La fede può svilupparsi soltanto nella libertà. Facciamo però appello alla libertà degli uomini di aprirsi a Dio, di cercarlo, di prestargli ascolto. Noi qui riuniti chiediamo al Signore con tutto il cuore di pronunciare nuovamente il suo "Effatà!", di guarire la nostra debolezza d'udito per Dio, per il suo operare e per la sua parola, di renderci capaci di vedere e di ascoltare. Gli chiediamo di aiutarci a ritrovare la parola della preghiera, alla quale ci invita nella liturgia e la cui formula essenziale ci ha insegnato nel Padre nostro. 

Il mondo ha bisogno di Dio. Noi abbiamo bisogno di Dio. Di quale Dio abbiamo bisogno? Nella prima lettura, il profeta si rivolge a un popolo oppresso dicendo: “La vendetta di Dio verrà” (vgl 35,4). Noi possiamo facilmente intuire come la gente si immaginava tale vendetta. Ma il profeta stesso rivela poi in che cosa essa consiste: nella bontà risanatrice di Dio. E la spiegazione definitiva della parola del profeta, la troviamo in Colui che è morto per noi sulla Croce: in Gesù, il Figlio di Dio incarnato che qui ci guarda così insistentemente. La sua “vendetta” è la Croce: il “No” alla violenza, “l’amore fino alla fine”. È questo il Dio di cui abbiamo bisogno. Non veniamo meno al rispetto di altre religioni e culture, non veniamo meno al profondo rispetto per la loro fede, se confessiamo ad alta voce e senza mezzi termini quel Dio che alla violenza ha opposto la sua sofferenza; che di fronte al male e al suo potere innalza, come limite e superamento, la sua misericordia. A Lui rivolgiamo la nostra supplica, perché Egli sia in mezzo a noi e ci aiuti ad essergli testimoni credibili. Amen!
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