è motivo di grande gioia per me incontrarvi questa
sera. Desidero ringraziare Sua Beatitudine il
Patriarca Fouad Twal per le sue gentili parole di
benvenuto espresse a nome di tutti i presenti.
Ricambio i calorosi sentimenti espressi e
cordialmente saluto tutti voi e i membri dei gruppi
ed organizzazioni che rappresentate.
“ Il Signore disse ad Abramo, ‘ Vattene dalla tua
terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo
padre, verso la terra che io ti indicherò’... Allora
Abramo partì...e prese la moglie Saràh” con sé (Gn
12,1-5). L’irruzione della chiamata di Dio, che
segna gli inizi della storia delle tradizioni della
nostra fede, venne udita nel mezzo dell’ordinaria
esistenza quotidiana dell’uomo. E la storia che ne
conseguì fu plasmata, non nell’isolamento, ma
attraverso l’incontro con la cultura Egiziana,
Hittita, Sumera, Babilonese, Persiana e Greca.
La fede è sempre vissuta in una cultura. La storia
della religione ci mostra che una comunità di
credenti procede per gradi di fedeltà piena a Dio,
prendendo dalla cultura che incontra e plasmandola.
Questa stessa dinamica si riscontra in singoli
credenti delle tre grandi tradizioni monoteistiche:
in sintonia con la voce di Dio, come Abramo,
rispondiamo alla sua chiamata e partiamo cercando il
compimento delle sue promesse, sforzandoci di
obbedire alla sua volontà, tracciando un percorso
nella nostra particolare cultura.
Oggi, circa quattro mila anni dopo Abramo,
l’incontro di religioni con la cultura si realizza
non semplicemente su un piano geografico. Certi
aspetti della globalizzazione ed in particolare il
mondo dell’internet hanno creato una vasta cultura
virtuale il cui valore è tanto vario quanto le sue
innumerevoli manifestazioni. Indubbiamente molto è
stato realizzato per creare un senso di vicinanza e
di unità all'interno dell’universale famiglia umana.
Tuttavia, allo stesso tempo, l'uso illimitato di
portali attraverso i quali le persone hanno facile
accesso a indiscriminate fonti di informazioni può
divenire facilmente uno strumento di crescente
frammentazione: l’unità della conoscenza viene
frantumata e le complesse abilità di critica,
discernimento e discriminazione apprese dalle
tradizioni accademiche ed etiche sono a volte
aggirate o trascurate.
La domanda che poi sorge naturalmente è quale
contributo porti la religione alle culture del mondo
che contrasti la ricaduta di una così rapida
globalizzazione. Mentre molti sono pronti a indicare
le differenze tra le religioni facilmente
rilevabili, come credenti o persone religiose noi
siamo posti di fronte alla sfida di proclamare con
chiarezza ciò che noi abbiamo in comune.
Il primo passo di Abramo nella fede, e i nostri
passi verso o dalla sinagoga, la chiesa, la moschea
o il tempio, percorrono il sentiero della nostra
singola storia umana, spianando la strada, potremmo
dire, verso l’eterna Gerusalemme (cfr Ap 21,23).
Similmente ogni cultura con la sua specifica
capacità di dare e ricevere dà espressione all'unica
umana natura. Tuttavia, ciò che è proprio
dell’individuo non è mai espresso pienamente
attraverso la cultura di lui o di lei, ma piuttosto
lo trascende nella costante ricerca di qualcosa al
di là. Da questa prospettiva, cari Amici, noi
vediamo la possibilità di una unità che non dipende
dall’uniformità. Mentre le differenze che
analizziamo nel dialogo inter-religioso possono a
volte apparire come barriere, tuttavia esse non
esigono di oscurare il senso comune di timore
riverenziale e di rispetto per l'universale, per
l'assoluto e per la verità che spinge le persone
religiose innanzitutto a stabilire rapporti l’una
con l’altra. E’ invece la partecipata convinzione
che queste realtà trascendenti hanno la loro fonte
nell’Onnipotente e ne portano tracce – quell’Onnipotente
che i credenti innalzano l’uno di fronte all’altro,
alle nostre organizzazioni, alla nostra società e al
nostro mondo. In questo modo, non solo noi possiamo
arricchire la cultura ma anche plasmarla: vite di
religiosa fedeltà echeggiano l’irrompente presenza
di Dio e formano così una cultura non definita dai
limiti del tempo o del luogo ma fondamentalmente
plasmate dai principi e dalle azioni che provengono
dalla fede.
La fede religiosa presuppone la verità. Colui che
crede è colui che cerca la verità e vive in base ad
essa. Benché il mezzo attraverso il quale noi
comprendiamo la scoperta e la comunicazione della
verità differisca in parte da religione a religione,
non dobbiamo essere scoraggiati nei nostri sforzi di
rendere testimonianza al potere della verità.
Insieme possiamo proclamare che Dio esiste e che può
essere conosciuto, che la terra è sua creazione, che
noi siamo sue creature, e che egli chiama ogni uomo
e donna ad uno stile di vita che rispetti il suo
disegno per il mondo. Amici, se crediamo di avere un
criterio di giudizio e di discernimento che è divino
nella sua origine e destinato a tutta l’umanità,
allora non possiamo stancarci di portare tale
conoscenza ad influire sulla vita civile. La verità
deve essere offerta a tutti; essa serve a tutti i
membri della società. Essa getta luce sulla
fondazione della moralità e dell’etica, e permea la
ragione con la forza di andare oltre i suoi limiti
per dare espressione alle nostre più profonde
aspirazioni comuni. Lungi dal minacciare la
tolleranza delle differenze o della pluralità
culturale, la verità rende il consenso possibile e
mantiene ragionevole, onesto e verificabile il
pubblico dibattito e apre la strada alla pace.
Promuovendo la volontà di essere obbedienti alla
verità, di fatto, allarga il nostro concetto di
ragione e il suo ambito di applicazione e rende
possibile il dialogo genuino delle culture e delle
religioni di cui c’è oggi particolarmente bisogno.
Ciascuno di noi qui presenti sa, pure, comunque che
la voce di Dio viene udita oggi meno chiaramente, e
la ragione stessa in così numerose situazioni è
divenuta sorda al divino. E, però, quel “vuoto” non
è vuoto di silenzio. Al contrario, è il chiasso di
pretese egoistiche, di vuote promesse e di false
speranze, che così spesso invadono lo spazio stesso
nel quale Dio ci cerca. Possiamo noi allora creare
spazi, oasi di pace e di riflessione profonda, in
cui si possa nuovamente udire la voce di Dio, in cui
la sua verità può essere scoperta all’interno
dell’universalità della ragione, in cui ogni
individuo, senza distinzione di luogo dove abita, o
di gruppo etnico, o di tinta politica, o di credenza
religiosa, può essere rispettato come persona, come
un essere umano, un proprio simile? In un’epoca di
accesso immediato all’informazione e di tendenze
sociali che generano una specie di monocultura, la
riflessione profonda che contrasti l’allontanamento
della presenza di Dio rafforzerà la ragione,
stimolerà il genio creativo, faciliterà la
valutazione critica delle consuetudini culturali e
sosterrà il valore universale della credenza
religiosa.
Cari amici, le istituzioni e i gruppi che voi
rappresentate s’impegnano nel dialogo interreligioso
e nella promozione di iniziative culturali in un
vasto ambito di livelli. Dalle istituzioni
accademiche – e qui voglio fare speciale menzione
delle eccezionali conquiste dell’Università di
Betlemme – ai gruppi di genitori in difficoltà, da
iniziative mediante la musica e le arti all’esempio
coraggioso di madri e padri ordinari, dai gruppi di
dialogo alle organizzazioni caritative, voi
quotidianamente dimostrate la vostra convinzione che
il nostro dovere davanti a Dio non si esprime
soltanto nel culto ma anche nell’amore e nella cura
per la società, per la cultura, per il nostro mondo
e per tutti coloro che vivono in questa terra.
Qualcuno vorrebbe che noi crediamo che le nostre
differenze sono necessariamente causa di divisione e
pertanto al più da tollerarsi. Alcuni addirittura
sostengono che le nostre voci devono semplicemente
essere ridotte al silenzio. Ma noi sappiamo che le
nostre differenze non devono mai essere mal
rappresentate come un’inevitabile sorgente di
frizione o di tensione sia tra noi stessi sia, più
in largo, nella società. Al contrario, esse offrono
una splendida opportunità per persone di diverse
religioni di vivere insieme in profondo rispetto,
stima e apprezzamento, incoraggiandosi
reciprocamente nelle vie di Dio. Sospinti
dall’Onnipotente e illuminati dalla sua verità,
possiate voi continuare a camminare con coraggio,
rispettando tutto ciò che ci differenzia e
promuovendo tutto ciò che ci unisce come creature
benedette dal desiderio di portare speranza alle
nostre comunità e al mondo. Dio ci guidi su questa
strada!
© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana
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Sull'intervento dello sceicco Taysir Al-Tamimi al
"Notre Dame of Jerusalem Center"
di Mirko Testa
GERUSALEMME, lunedì, 11 maggio 2009 (ZENIT.org).
Padre Federico Lombardi, S.I., Direttore della Sala
Stampa vaticana, ha commentato negativamente
l'intervento fuori programma dello sceicco Taysir
Al-Tamimi, che questo lunedì sera, durante
l'incontro svoltosi presso il "Notre Dame of
Jerusalem Center”, ha pronunciato parole d'accusa
nei confronti d'Israele.
Dopo il discorso del Pontefice, lo sceicco
Al-Tamimi, Presidente del Tribunale Supremo
palestinese, scelto come delegato palestinese per il
dialogo interreligioso, si è avvicinato al podio
pronunciando un discorso in arabo, accolto con
proteste degli esponenti ebraici presenti che
minacciavano di abbandonare l'aula.
L'esponente islamico ha affermato all'inizio: “do il
benvenuto a sua Santità, il Papa, nella città di
Gerusalemme, la capitale eterna della Palestina
politica, nazionale e spirituale”.
Subito dopo, nonostante i ripetuti interventi del
Patriarca Latino di Gerusalemme, Sua Beatitudine
Fouad Twal, Al-Tamimi ha proseguito dicendo che “da
quando Israele ha occupato Gerusalemme, nel 1967, ha
trasgredito tutte le leggi religiose e civili, ha
distrutto le case, ha occupato le terre e vi ha
edificato case per gli israeliani, cacciando via
migliaia dei suoi abitanti originari”.
“Israele – ha continuato – ha fatto di Gerusalemme
una prigione, vietando ai musulmani e ai cristiani
di accedervi e vietando le preghiere nelle sue
chiese e moschee”.
“Ha scavato sotto la Moschea di Al-Aqsa con
l'intento di distruggerla per edificare la sinagoga
al suo posto, rubando da essa anche i monumenti
archeologici – ha affermato –. Ha scavato le tombe
dei morti. Ha picchiato i credenti che pregavano e
ha picchiato anche i monaci nella Chiesa della
Risurrezione a Pasqua”.
“Per quanto riguarda la questione di Gaza – ha detto
Al-Tamimi –, Israele non ha rispettato i diritti
umani: una mancanza di rispetto dei diritti umani
come mai era accaduto prima in questo secolo”.
“Santità – ha aggiunto –, vi supplico nel nome
dell'Unico Dio, di condannare questi crimini, di far
pressione sul Governo israeliano per fermare le
offensive contro il popolo palestinese, di liberare
le migliaia di detenuti nelle prigioni
dell'occupazione, di distruggere il muro di
separazione etnica, di rimuovere gli insediamenti e
di ridare le terre occupate ai loro legittimi
proprietari”.
Al-Tamimi ha quindi chiesto al Santo Padre di
intercedere “per arrivare ad una pace giusta che
riconosca pieni diritti al popolo palestinese nella
sua libertà e indipendenza, e permettere ai
rifugiati di far ritorno alle case che sono stati
obbligati ad abbandonare, così da ricreare uno Stato
libero per il popolo palestinese con Gerusalemme
come sua capitale eterna”.
“Gerusalemme – ha concluso – è una parte
importantissima della vita di oltre un miliardo e
mezzo di musulmani e di oltre due miliardi di
cristiani, e tutti loro devono difendere Gerusalemme
e la sua identità”.
Il Papa, che non ha potuto ascoltare la traduzione
del discorso, è rimasto seduto fino alla fine
accennando di tanto in tanto un sorriso imbarazzato,
conscio del clima teso suscitato dall'intervento
dell'esponente islamico.
“L'intervento dello sceicco Taysir Al-Tamimi – ha
commentato padre Lombardi – non era previsto dagli
organizzatori dell'incontro. In un evento dedicato
al dialogo, tale intervento è stato una negazione
del dialogo”.
“Ci si augura – ha aggiunto – che questo incidente
non comprometta la missione del Papa diretta a
promuovere la pace e il dialogo tra le religioni,
come egli ha chiaramente affermato in molti discorsi
di questo viaggio”.
“Ci si augura anche che il dialogo interreligioso
nella Terra Santa non venga compromesso da questo
incidente”, ha poi concluso.
In una dichiarazione, Aviv Shiron, portavoce del
Ministero degli Esteri israeliano, ha detto che “è
una vergogna che lo sceicco Taysir Al-Tamimi abbia
approfittato di un incontro interreligioso
finalizzato a promuovere il dialogo e la
comprensione tra cristiani, ebrei e musulmani con
l'intento di incitare contro Israele”.
Dura la reazione anche del Ministro incaricato della
visita del Papa in Israele, Stas Misezhnikov,
secondo il quale “la provocazione dello sceicco
offende, in primo luogo e principalmente, Papa
Benedetto XVI che è venuto in Terra Santa per
promuovere la pace e l'unità tra i popoli della
regione e di tutti gli uomini di fede”.
“Israele – ha continuato – condanna le parole di
odio pronunciate dallo sceicco, che invece di
promuovere la pace e la coesistenza ha scelto di
piantare i semi della divisione e dello scontro tra
israeliani e palestinesi e tra ebrei, musulmani e
cristiani”.
“E' una vergogna che siano stati gli estremisti a
rappresentare i palestinesi e i musulmani in questo
importante evento in presenza della Santa Sede”, ha
detto infine.
Parlando con i giornalisti, il Direttore generale
del Gran Rabbinato di Israele, Oded Wiener, ha detto
che si è trattato di “un grave gesto” che ha creato
“grande imbarazzo anche nella Santa Sede”, e “ancora
più grave è stato il fatto che mons. Twal, che era
responsabile della preparazione dell'incontro, gli
abbia concesso la parola”.
[Con informazioni di Tony Assaf, Mariaelena Finessi
e Mercedes de la Torre]
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