angolo
 

Benedetto XVI al "Notre Dame of Jerusalem Center"
11 maggio 2009
 

è motivo di grande gioia per me incontrarvi questa sera. Desidero ringraziare Sua Beatitudine il Patriarca Fouad Twal per le sue gentili parole di benvenuto espresse a nome di tutti i presenti. Ricambio i calorosi sentimenti espressi e cordialmente saluto tutti voi e i membri dei gruppi ed organizzazioni che rappresentate.

“ Il Signore disse ad Abramo, ‘ Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò’... Allora Abramo partì...e prese la moglie Saràh” con sé (Gn 12,1-5). L’irruzione della chiamata di Dio, che segna gli inizi della storia delle tradizioni della nostra fede, venne udita nel mezzo dell’ordinaria esistenza quotidiana dell’uomo. E la storia che ne conseguì fu plasmata, non nell’isolamento, ma attraverso l’incontro con la cultura Egiziana, Hittita, Sumera, Babilonese, Persiana e Greca.

La fede è sempre vissuta in una cultura. La storia della religione ci mostra che una comunità di credenti procede per gradi di fedeltà piena a Dio, prendendo dalla cultura che incontra e plasmandola.
Questa stessa dinamica si riscontra in singoli credenti delle tre grandi tradizioni monoteistiche: in sintonia con la voce di Dio, come Abramo, rispondiamo alla sua chiamata e partiamo cercando il compimento delle sue promesse, sforzandoci di obbedire alla sua volontà, tracciando un percorso nella nostra particolare cultura.

Oggi, circa quattro mila anni dopo Abramo, l’incontro di religioni con la cultura si realizza non semplicemente su un piano geografico. Certi aspetti della globalizzazione ed in particolare il mondo dell’internet hanno creato una vasta cultura virtuale il cui valore è tanto vario quanto le sue innumerevoli manifestazioni. Indubbiamente molto è stato realizzato per creare un senso di vicinanza e di unità all'interno dell’universale famiglia umana. Tuttavia, allo stesso tempo, l'uso illimitato di portali attraverso i quali le persone hanno facile accesso a indiscriminate fonti di informazioni può divenire facilmente uno strumento di crescente frammentazione: l’unità della conoscenza viene frantumata e le complesse abilità di critica, discernimento e discriminazione apprese dalle tradizioni accademiche ed etiche sono a volte aggirate o trascurate.

La domanda che poi sorge naturalmente è quale contributo porti la religione alle culture del mondo che contrasti la ricaduta di una così rapida globalizzazione. Mentre molti sono pronti a indicare le differenze tra le religioni facilmente rilevabili, come credenti o persone religiose noi siamo posti di fronte alla sfida di proclamare con chiarezza ciò che noi abbiamo in comune.

Il primo passo di Abramo nella fede, e i nostri passi verso o dalla sinagoga, la chiesa, la moschea o il tempio, percorrono il sentiero della nostra singola storia umana, spianando la strada, potremmo dire, verso l’eterna Gerusalemme (cfr Ap 21,23). Similmente ogni cultura con la sua specifica capacità di dare e ricevere dà espressione all'unica umana natura. Tuttavia, ciò che è proprio dell’individuo non è mai espresso pienamente attraverso la cultura di lui o di lei, ma piuttosto lo trascende nella costante ricerca di qualcosa al di là. Da questa prospettiva, cari Amici, noi vediamo la possibilità di una unità che non dipende dall’uniformità. Mentre le differenze che analizziamo nel dialogo inter-religioso possono a volte apparire come barriere, tuttavia esse non esigono di oscurare il senso comune di timore riverenziale e di rispetto per l'universale, per l'assoluto e per la verità che spinge le persone religiose innanzitutto a stabilire rapporti l’una con l’altra. E’ invece la partecipata convinzione che queste realtà trascendenti hanno la loro fonte nell’Onnipotente e ne portano tracce – quell’Onnipotente che i credenti innalzano l’uno di fronte all’altro, alle nostre organizzazioni, alla nostra società e al nostro mondo. In questo modo, non solo noi possiamo arricchire la cultura ma anche plasmarla: vite di religiosa fedeltà echeggiano l’irrompente presenza di Dio e formano così una cultura non definita dai limiti del tempo o del luogo ma fondamentalmente plasmate dai principi e dalle azioni che provengono dalla fede.

La fede religiosa presuppone la verità. Colui che crede è colui che cerca la verità e vive in base ad essa. Benché il mezzo attraverso il quale noi comprendiamo la scoperta e la comunicazione della verità differisca in parte da religione a religione, non dobbiamo essere scoraggiati nei nostri sforzi di rendere testimonianza al potere della verità.

Insieme possiamo proclamare che Dio esiste e che può essere conosciuto, che la terra è sua creazione, che noi siamo sue creature, e che egli chiama ogni uomo e donna ad uno stile di vita che rispetti il suo disegno per il mondo. Amici, se crediamo di avere un criterio di giudizio e di discernimento che è divino nella sua origine e destinato a tutta l’umanità, allora non possiamo stancarci di portare tale conoscenza ad influire sulla vita civile. La verità deve essere offerta a tutti; essa serve a tutti i membri della società. Essa getta luce sulla fondazione della moralità e dell’etica, e permea la ragione con la forza di andare oltre i suoi limiti per dare espressione alle nostre più profonde aspirazioni comuni. Lungi dal minacciare la tolleranza delle differenze o della pluralità culturale, la verità rende il consenso possibile e mantiene ragionevole, onesto e verificabile il pubblico dibattito e apre la strada alla pace.
Promuovendo la volontà di essere obbedienti alla verità, di fatto, allarga il nostro concetto di ragione e il suo ambito di applicazione e rende possibile il dialogo genuino delle culture e delle religioni di cui c’è oggi particolarmente bisogno.
Ciascuno di noi qui presenti sa, pure, comunque che la voce di Dio viene udita oggi meno chiaramente, e la ragione stessa in così numerose situazioni è divenuta sorda al divino. E, però, quel “vuoto” non è vuoto di silenzio. Al contrario, è il chiasso di pretese egoistiche, di vuote promesse e di false speranze, che così spesso invadono lo spazio stesso nel quale Dio ci cerca. Possiamo noi allora creare spazi, oasi di pace e di riflessione profonda, in cui si possa nuovamente udire la voce di Dio, in cui la sua verità può essere scoperta all’interno dell’universalità della ragione, in cui ogni individuo, senza distinzione di luogo dove abita, o di gruppo etnico, o di tinta politica, o di credenza religiosa, può essere rispettato come persona, come un essere umano, un proprio simile? In un’epoca di accesso immediato all’informazione e di tendenze sociali che generano una specie di monocultura, la riflessione profonda che contrasti l’allontanamento della presenza di Dio rafforzerà la ragione, stimolerà il genio creativo, faciliterà la valutazione critica delle consuetudini culturali e sosterrà il valore universale della credenza religiosa.

Cari amici, le istituzioni e i gruppi che voi rappresentate s’impegnano nel dialogo interreligioso e nella promozione di iniziative culturali in un vasto ambito di livelli. Dalle istituzioni accademiche – e qui voglio fare speciale menzione delle eccezionali conquiste dell’Università di Betlemme – ai gruppi di genitori in difficoltà, da iniziative mediante la musica e le arti all’esempio coraggioso di madri e padri ordinari, dai gruppi di dialogo alle organizzazioni caritative, voi quotidianamente dimostrate la vostra convinzione che il nostro dovere davanti a Dio non si esprime soltanto nel culto ma anche nell’amore e nella cura per la società, per la cultura, per il nostro mondo e per tutti coloro che vivono in questa terra. Qualcuno vorrebbe che noi crediamo che le nostre differenze sono necessariamente causa di divisione e pertanto al più da tollerarsi. Alcuni addirittura sostengono che le nostre voci devono semplicemente essere ridotte al silenzio. Ma noi sappiamo che le nostre differenze non devono mai essere mal rappresentate come un’inevitabile sorgente di frizione o di tensione sia tra noi stessi sia, più in largo, nella società. Al contrario, esse offrono una splendida opportunità per persone di diverse religioni di vivere insieme in profondo rispetto, stima e apprezzamento, incoraggiandosi reciprocamente nelle vie di Dio. Sospinti dall’Onnipotente e illuminati dalla sua verità, possiate voi continuare a camminare con coraggio, rispettando tutto ciò che ci differenzia e promuovendo tutto ciò che ci unisce come creature benedette dal desiderio di portare speranza alle nostre comunità e al mondo. Dio ci guidi su questa strada!


© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana

------------------------------------------------
Sull'intervento dello sceicco Taysir Al-Tamimi al "Notre Dame of Jerusalem Center"

di Mirko Testa

GERUSALEMME, lunedì, 11 maggio 2009 (ZENIT.org). Padre Federico Lombardi, S.I., Direttore della Sala Stampa vaticana, ha commentato negativamente l'intervento fuori programma dello sceicco Taysir Al-Tamimi, che questo lunedì sera, durante l'incontro svoltosi presso il "Notre Dame of Jerusalem Center”, ha pronunciato parole d'accusa nei confronti d'Israele.
 
Dopo il discorso del Pontefice, lo sceicco Al-Tamimi, Presidente del Tribunale Supremo palestinese, scelto come delegato palestinese per il dialogo interreligioso, si è avvicinato al podio pronunciando un discorso in arabo, accolto con proteste degli esponenti ebraici presenti che minacciavano di abbandonare l'aula.
L'esponente islamico ha affermato all'inizio: “do il benvenuto a sua Santità, il Papa, nella città di Gerusalemme, la capitale eterna della Palestina politica, nazionale e spirituale”.
Subito dopo, nonostante i ripetuti interventi del Patriarca Latino di Gerusalemme, Sua Beatitudine Fouad Twal, Al-Tamimi ha proseguito dicendo che “da quando Israele ha occupato Gerusalemme, nel 1967, ha trasgredito tutte le leggi religiose e civili, ha distrutto le case, ha occupato le terre e vi ha edificato case per gli israeliani, cacciando via migliaia dei suoi abitanti originari”.
“Israele – ha continuato – ha fatto di Gerusalemme una prigione, vietando ai musulmani e ai cristiani di accedervi e vietando le preghiere nelle sue chiese e moschee”.
“Ha scavato sotto la Moschea di Al-Aqsa con l'intento di distruggerla per edificare la sinagoga al suo posto, rubando da essa anche i monumenti archeologici – ha affermato –. Ha scavato le tombe dei morti. Ha picchiato i credenti che pregavano e ha picchiato anche i monaci nella Chiesa della Risurrezione a Pasqua”.
“Per quanto riguarda la questione di Gaza – ha detto Al-Tamimi –, Israele non ha rispettato i diritti umani: una mancanza di rispetto dei diritti umani come mai era accaduto prima in questo secolo”.
“Santità – ha aggiunto –, vi supplico nel nome dell'Unico Dio, di condannare questi crimini, di far pressione sul Governo israeliano per fermare le offensive contro il popolo palestinese, di liberare le migliaia di detenuti nelle prigioni dell'occupazione, di distruggere il muro di separazione etnica, di rimuovere gli insediamenti e di ridare le terre occupate ai loro legittimi proprietari”.
Al-Tamimi ha quindi chiesto al Santo Padre di intercedere “per arrivare ad una pace giusta che riconosca pieni diritti al popolo palestinese nella sua libertà e indipendenza, e permettere ai rifugiati di far ritorno alle case che sono stati obbligati ad abbandonare, così da ricreare uno Stato libero per il popolo palestinese con Gerusalemme come sua capitale eterna”.
“Gerusalemme – ha concluso – è una parte importantissima della vita di oltre un miliardo e mezzo di musulmani e di oltre due miliardi di cristiani, e tutti loro devono difendere Gerusalemme e la sua identità”.
Il Papa, che non ha potuto ascoltare la traduzione del discorso, è rimasto seduto fino alla fine accennando di tanto in tanto un sorriso imbarazzato, conscio del clima teso suscitato dall'intervento dell'esponente islamico.
“L'intervento dello sceicco Taysir Al-Tamimi – ha commentato padre Lombardi – non era previsto dagli organizzatori dell'incontro. In un evento dedicato al dialogo, tale intervento è stato una negazione del dialogo”.
“Ci si augura – ha aggiunto – che questo incidente non comprometta la missione del Papa diretta a promuovere la pace e il dialogo tra le religioni, come egli ha chiaramente affermato in molti discorsi di questo viaggio”.
“Ci si augura anche che il dialogo interreligioso nella Terra Santa non venga compromesso da questo incidente”, ha poi concluso.
In una dichiarazione, Aviv Shiron, portavoce del Ministero degli Esteri israeliano, ha detto che “è una vergogna che lo sceicco Taysir Al-Tamimi abbia approfittato di un incontro interreligioso finalizzato a promuovere il dialogo e la comprensione tra cristiani, ebrei e musulmani con l'intento di incitare contro Israele”.
Dura la reazione anche del Ministro incaricato della visita del Papa in Israele, Stas Misezhnikov, secondo il quale “la provocazione dello sceicco offende, in primo luogo e principalmente, Papa Benedetto XVI che è venuto in Terra Santa per promuovere la pace e l'unità tra i popoli della regione e di tutti gli uomini di fede”.
“Israele – ha continuato – condanna le parole di odio pronunciate dallo sceicco, che invece di promuovere la pace e la coesistenza ha scelto di piantare i semi della divisione e dello scontro tra israeliani e palestinesi e tra ebrei, musulmani e cristiani”.
“E' una vergogna che siano stati gli estremisti a rappresentare i palestinesi e i musulmani in questo importante evento in presenza della Santa Sede”, ha detto infine.
Parlando con i giornalisti, il Direttore generale del Gran Rabbinato di Israele, Oded Wiener, ha detto che si è trattato di “un grave gesto” che ha creato “grande imbarazzo anche nella Santa Sede”, e “ancora più grave è stato il fatto che mons. Twal, che era responsabile della preparazione dell'incontro, gli abbia concesso la parola”.

[Con informazioni di Tony Assaf, Mariaelena Finessi e Mercedes de la Torre]

© Copyright Zenit
 

| home |

| inizio pagina |

   
angolo