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La realtà del Medio
Oriente. In Terra Santa c'era posto per tutti, ma i cristiani sono fuggiti in
massa
I cristiani costituivano una forza vitale del Medio Oriente. Dominavano il
Libano e occupavano posti chiave del movimento palestinese.
In Egitto, avevano un'importanza che andava oltre il loro numero. In Iraq,
controllavano le università e le professioni. Attraverso tutta le regione
costituivano un legame vitale con l'Occidente, un contrappeso alle tendenze
prevalenti.
Ma questa settimana, percorrendo la sua strada in Terra Santa, papa Benedetto
XVI si ritrova a parlare a una popolazione cristiana minacciata, in fuga, spinta
all'emigrazione dalla violenza politica, dalla mancanza di prospettive
economiche e dal sorgere del radicalismo islamico. Una regione che era cristiana
al 20 per cento un secolo fa, oggi lo è solo al 5 per cento, e continua a
calare.
Dal momento che è stato qui che Gesù ha camminato e la cristianità è nata, la
visita papale segnala un'eventualità che in molti considerano inquietante per la
religione più diffusa sulla terra, alla quale aderisce un terzo della
popolazione mondiale; e cioè, che i sacri santuari delle sue origini possano
diventare reliquie senza alcun legame con la gente che tra loro vive. "Temo la
scomparsa del cristianesimo in Iraq e nel Medio Oriente" ha dichiarato il
reverendo Jean Benjamin Sleiman, arcivescovo di Baghdad, in una frase che ha
avuto vasta eco nella regione.
Il Papa, in una messa tenuta martedì ai piedi del Monte degli Olivi, ha
ricordato "la tragica realtà" della "partenza di tanti membri della comunità
cristiana negli ultimi anni".
Poi ha detto: "Sono certo comprensibili le ragioni che hanno indotto molte
persone, e soprattutto i giovani, a emigrare. Questa decisione però porta con sé
un pesante impoverimento culturale e spirituale della città. Oggi voglio
ripetere quel che ho già detto in altre occasioni: in Terra Santa c'è posto per
tutti!".
Domenica, in Giordania, il Papa ha rivendicato i meriti dei cristiani nella
riconciliazione, sostenendo che la loro presenza in carne ossa ha attenuato il
conflitto e che il declino di questa presenza potrebbe portare a un inasprimento
degli estremismi.
Quando la mescolanza di credo e di stili di vita viene meno - questo il
significato del discorso papale - cresce l'ortodossia, come anche l'uniformità
dell'orizzonte culturale in una regione dove la tolleranza non è tra le virtù
più apprezzate.
Un operatore umanitario internazionale siriano ha raccontato: "Quando altri
arabi scoprono che sono cristiano, in molti restano scioccati che si possa
essere arabi e cristiani". L'operatore ha chiesto di mantenere l'anonimato per
non richiamare l'attenzione sulla propria fede. Il Medio Oriente adesso è,
ovviamente, in grandissima parte musulmano. Con l'eccezione di Israele, con i
suoi sei milioni di ebrei, non c'è paese dove l'Islam non prevalga. Inclusi
Libano, dove i cristiani costituiscono adesso un quarto della popolazione, e le
nazioni non-arabe di Iran e Turchia. I cristiani del posto si ritrovano con
l'alternativa di cogliere l'allarme o di restare zitti, non sapendo se
richiamare l'attenzione possa alleviare la situazione o aggravarla, forzando ad
andarsene quelli che sono rimasti.
Con l'Islam che spinge sul nazionalismo come forza centrale alla base della
politiche identitarie, i cristiani che giocavano un ruolo importante nelle varie
dispute politiche si sono trovati tagliati fuori.
E dato che la cultura islamica, specialmente nelle sue correnti più radicali,
spesso si dichiara in contrasto con l'Occidente, la cristianità è stata spesso
relegata al rango di cultura "nemica" o, per lo meno, "straniera". "Fin quando
non ci sarà una svolta secolare nel mondo arabo, non credo ci sia un futuro per
i cristiani qui" sostiene Sarkis Naoum, opinionista cristiano del quotidiano
libanese Al Nahar.
Proprio mentre alcuni oppositori del presidente Obama cercavano di squalificarlo
dicendo che era musulmano, in Turchia lo stesso accadeva al presidente Abdullah
Gul che veniva accusato di avere origini cristiane. Lo scorso dicembre, Gul ha
vinto una causa intentata contro un parlamentare che sosteneva quella accusa. Un
secolo fa c'erano milioni di cristiani in quella che è oggi la Turchia; adesso
sono 150 mila. C'è una casa in Turchia dove si crede che la Vergine Maria abbia
passato gli ultimi giorni della sua vita, eppure nel Parlamento o nelle forze
armate nazionali non c'è alcun membro cristiano, a eccezione di reclute in
servizio di leva.
La violenza contro i cristiani è cresciuta. Tra i palestinesi, l'Islam sta
giocando un ruolo senza precedenti nel definirne l'identità, specialmente a
Gaza, governata da Hamas. L'arrivo di Benedetto XVI a Gerusalemme, lunedì, ha
spinto un esponente radicale del governo di Gaza a esortare i governi arabi a
non dare il benvenuto al Papa a causa della lezione da lui tenuta nel 2006 in
relazione al Profeta. La ledership palestinese della sponda occidentale, più
secolare, tenta invece di includere i cristiani per allontanare i sentimenti
separatisti e arrestare il calo della popolazione. E' stata una battaglia persa.
Nel 1948, Gerusalemme era per un quinto cristiana. Oggi lo è al due per cento.
Rafiq Husseini, capo di stato maggiore del presidente Mahmoud Abbas, dice
dell'esodo dei cristiani: "Sarebbe veramente una cosa negativa se continuasse.
Il nostro compito, dal presidente in giù, è quello di mantenere la presenza dei
cristiani viva e in buona salute". A Betlemme, dove la Chiesa della Natività
segna il luogo dove si dice sia nato Gesù Cristo, i cristiani costituiscono
forse un terzo della popolazione, dopo secoli in cui erano l'80 per cento.
L'emigrazione è la prima scelta di chiunque abbia l'opportunità di partire, ed
esistono vaste comunità di
cristiani in Occidente in grado di accogliere questa gente. "Economia, economia,
economia" dice Fayez Khano, 63 anni, membro della comunità assira, spiegando le
ragioni del continuo esodo mentre intaglia statuine d'olivo nel negozio di
proprietà familiare in via Manger. I tre figli del signor Khano, ormai adulti,
vivono tutti a Dublino, e visto che gli affari vanno a rilento lui e sua moglie
dovrebbero raggiungerli tra sei mesi.
Lo stesso accade in Iraq. Degli 1,4 milioni di cristiani presenti ai tempi
dell'invasione americana, nel 2003, quasi la metà è fuggita; il dato è fornito
dai rapporti per il governo Usa e dalle comunità cristiane locali. Molti
cristiani vennero attaccati nelle fasi iniziali della guerra perché lavoravano
con gli americani, ma l'esodo ha acquistato forza quando i cristiani divennero
uno dei bersagli nella guerra di sette esplosa nel paese. Le chiese subirono
attacchi dinamitardi, e tanto i preti quanto i loro fedeli venivano assassinati.
Nel marzo del 2008, un arcivescovo è stato rapito e ucciso nella zona della
città settentrionale di Mosul.
In Egitto, dove il dieci per cento della popolazione è cristiana copta, il mondo
religioso è passato da
un atteggiamento che veniva definito come "il moderato islam egiziano" a uno
assai meno tollerante che si rifà all'islamismo saudita. In Arabia Saudita, le
chiese sono illegali. Nel resto della regione del Golfo, i cristiani sono
lavoratori stranieri privi della possibilità di avere un giorno la cittadinanza.
Tratto da The New York Times (Traduzione di Ethan Bronner)
© Copyright L'Occidentale, 18 maggio 2009
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