Benedetto XVI e il suo sguardo sui
"Media"
Intervista al
Direttore della Rivista «Città Nuova». Fonte: Zenit 12 maggio 2008
Il Papa vede i media in
modo positivo. Lo esprime in questa intervista il giornalista
Michele Zanzucchi, direttore in Italia della rivista “Città Nuova”,
la pubblicazione dei Focolari.
Zanzucchi, che è docente di giornalismo alla Pontificia Università
Gregoriana e ha pubblicato una ventina di articoli sulla
comunicazione e circa trenta libri, tra cui "Tempi di guerra.
Cristiani a Baghdad" (Città Nuova, 2003), "L'Islam che non fa paura"
(San Paolo, 2005) e "Cristiani nelle Terre del Corano" (Città Nuova,
2007), sostiene che "l'identità del giornalista cristiano deve
essere forte".
Il giornalista è autore televisivo e radiofonico e membro della
Commissione internazionale di NetOne, www.net-one.org, una rete
internazionale di professionisti, studenti e operatori dei media
nata in Italia nel giugno 2000 e creata da Chiara Lubich, fondatrice
dei Focolari.
Il Pontefice sottolinea luci e ombre nella comunicazione. Si
potrebbe dire che è un Papa "ottimista", di fronte al fenomeno dei
media?
Zanzucchi: Benedetto XVI, come il suo predecessore, mi sembra che
manifesti uno sguardo altamente positivo sui mezzi di comunicazione,
“strumenti al servizio di un mondo più giusto e solidale”, per
citare una delle tante espressioni contenute
nel suo messaggio per
la 42ª Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali.
Emerge giorno dopo giorno la volontà del Papa di favorire un uso
appropriato, “al servizio della verità”, di tutti i media, in
particolare dei new media, che hanno in sé enormi potenziali
positivi, ma che nello stesso tempo ci fanno correre rischi finora
sconosciuti, per via dell'incredibile sviluppo tecnologico di cui
sono frutto.
Naturalmente, essendo i media dei semplici strumenti, il Papa non
cessa di mettere l'accento sul fatto che la possibilità di
utilizzarli positivamente è in primo luogo nelle mani dei
comunicatori che, quando riescono ad essere “coraggiosi e autentici
testimoni della verità”, contribuiscono a sviluppare “la comunione
tra le persone e i popoli”. Il 'realismo ottimista' del Papa non
finisce di stupirci e di aiutare i comunicatori ad evitare le
trappole del sensazionalismo e della fretta, della parzialità e
della superficialità.
Benedetto XVI suggerisce nel suo messaggio di cercare la verità per
condividerla. Come si fa?
Zanzucchi: È questo un invito rivolto in primo luogo a noi
comunicatori cristiani, giornalisti in particolare, che abbiamo il
compito, direi la missione, di cogliere nei fatti, nelle persone e
nelle cose, le tracce di quella verità prima che è Gesù Cristo, e le
tracce da lui lasciate nella Storia.
Se l'uomo è “assetato di verità”, come Benedetto XVI afferma, ai
media va il compito di offrirla, di metterla a disposizione nei modi
e nelle forme più consone e adeguate. È un lavoro di grande
responsabilità.
Il giornalista, per proporre attorno a sé squarci di verità, deve
sviluppare in sé quelle qualità che si può dire “vengono prima”
della verità: l'onestà, l'obiettività, la competenza, la ricerca
della veridicità. Così facendo, gli articoli che scriverà, i servizi
che girerà sapranno cogliere brani del cammino dell'uomo verso la
verità condividendoli poi con gli utenti del suo medium.
Più il giornalista sarà un vero professionista, deontologicamente
attento e culturalmente preparato, più le sue parole sapranno
costruire nel lettore, nel telespettatore, nel radioascoltatore
qualcosa che resta, che costruisce l'uomo e la società.
Quale effetto hanno i messaggi papali sulla Giornata Mondiale della
Comunicazione?
Zanzucchi: Non sono un'omelia, e nemmeno un insieme di buoni
propositi. Mi sembra che invece questi incisivi messaggi siano una
bussola con l'ago magnetizzato ben indirizzato al Nord.
Una bussola offerta ai comunicatori professionisti, a quelli
occasionali e agli utenti dei media – non solo cattolici, non solo
cristiani, non solo credenti –, affinché il loro turbinoso mondo
possa continuare ad avanzare sì velocemente, ma guardando alla
stella polare della comunicazione.
Stella che è il “bene comune”, il contributo necessario alla
creazione di una società sempre più umana, giusta e solidale.Una società più unita. Insomma, se le Giornate della comunicazione
sociale non avessero il messaggio papale, mancherebbe la più
autorevole indicazione della direzione di marcia da intraprendere.
Lei è un comunicatore: quale pensa che sia la nota distintiva del
giornalismo in chiave cristiana?
Zanzucchi: Il giornalista che opera da cristiano deve essere in
primo luogo… cristiano. Sì, sono importanti i messaggi che veicola,
i valori che propone, i fatti che sottolinea. Ma mi sembra che debba
essere un “testimone di Cristo” ancor prima di essere un
professionista.
In un mondo della comunicazione in cui troppo spesso si corre il
rischio di accrescere la distanza tra ciò che si scrive e ciò che si
vive, ecco che il giornalista cristiano col suo stesso essere, con
la sua deontologia, con la sua etica radicata nel Vangelo vissuto
può comunicare attorno a sé col suo essere prima ancora che con le
sue parole.
Che poi i giornalisti che si dicono cristiani debbano essere degli
eccellenti professionisti, questo è indispensabile, ovviamente.
Credo che la comunicazione giornalistica “cristiana” non dovrebbe
mai avere come solo fine quello di incrementare i budget o di fare
sensazionalismo; invece può e deve dare speranza, una speranza
realistica e ragionevole perché basata sulla reale presenza al mondo
dei cristiani.
L'identità del giornalista cristiano deve essere forte: è questa la
condizione per poter dialogare con la società.
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