La stampa iraniana negativa verso il papa in Turchia
Darius Mirzai, su AsiaNews 1 dicembre 2006
Toni molto discreti, ma anche
negativi caratterizzano commenti e notizie della stampa iraniana verso il
viaggio del papa in Turchia.
Il
discorso di Regensburg e la polemica nata dalla citazione di Manuele II
Paleologo avevano riempito quasi tutte le prime pagine della stampa iraniana,
con toni da vittimismo o con titolo trionfanti (“Il Papa chiede scusa”). Erano
state organizzate alcune dimostrazioni di piazza “spontanee”, alcuni leader
hanno criticato l’”islamofobia” del Papa.
Solo l’ex presidente Kathami e il suo successore Ahmadinejad avevano
rinunciato a criticare quel discorso.
Adesso, la visita del sommo pontefice nella vicina Turchia occupa spazi molto
ridotti.
Gli editoriali, strettamente controllati dal Ministero della Cultura e
dell’Orientamento islamico, ricordano ancora Regensburg senza le precisazioni
fatte dal papa (le cosiddette “scuse”). L’impressione generale che viene data
dalla stampa è che Benedetto XVI è davvero “islamofobo”, anzi ancora di più.
Anche se papa Ratzinger ha rinunciato al titolo tradizionale di “Patriarca
d’Occidente”, la stampa iraniana lo considera alla stregua (o alleato) di Bush e
Blair – come se la politica anglo-americana fosse “cristiana” o come se la
Chiesa cattolica fosse soltanto occidentale. Il quotidiano riformista “Iran
News” parla di “relazioni islamo-cristiane al punto il più basso dal tempo delle
Crociate” e di una visita pontificia “controversa e clamorosa”, disprezzata
dalla società turca. Il giornale conservatore Tehran Times scrive in
prima pagina: “Dialogo con l’islam o alleanza cristiana contro i musulmani?”.
Entrambi i giornali sottolineano che la visita di Benedetto XVI serve a unire
di più i cristiani e a rafforzarli di fronte allo stato turco per avere più
spazio.
La perplessità della stampa iraniana verso l’ecumenismo cristiano e le accuse
sottili di una coalizione anti-islamica si possono interpretare in vari modi. Ma
forse c’è soprattutto un’amara gelosia: tra sunniti e sciiti non c’è ecumenismo
e tentativo di unione, ma una vera e propria guerra di religione tra musulmani,
come è evidente nel vicino Iraq. A Teheran la situazione non è migliore: vi sono
chiese e sinagoghe, ma i musulmani sunniti non hanno neppure una moschea. Per
coloro che non vogliono frequentare luoghi di culto clandestini, l’unica
possibilità di partecipare alla preghiera del venerdì è andare in un’ambasciata
straniera (Indonesia, Arabia Saudita). Per questo a diversi leader sciiti locali
non è piaciuta né la testimonianza fraterna fra cattolici e ortodossi, né il
discorso di Benedetto XVI sui diritti delle minoranze religiose.
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