Sono
lieto di poter intervenire a questo incontro di studio di Camaldoli,
che rappresenta uno dei pochi luoghi e momenti di riflessione del
nostro tempo in cui ci si sforza di ripensare in maniera aperta e
senza pregiudizi il tema dell’agire politico nel contesto europeo e
mondiale con un rigoroso riferimento alla Parola di Dio.
Il mio
intervento vuole sottolineare appunto una delle premesse fondamentali
per questo ripensamento. Esso si riallaccia a un «sogno» che avevo
espresso durante il secondo Sinodo dei vescovi europei: il sogno cioè
che attraverso una familiarità sempre più grande degli uomini e
delle donne europee con la sacra Scrittura, letta e pregata da soli,
nei gruppi e nelle comunità, si ravvivasse quella esperienza del
fuoco nel cuore che fecero i due discepoli sulla strada di Emmaus (cf.
Lc 24,32). E aggiungevo che, anche per la mia esperienza, mi sentivo
certo che la Bibbia letta e pregata, in particolare dai giovani,
sarebbe stata il libro del futuro del continente europeo.
Riprendo
ora questo tema partendo anzitutto da un’icona biblica, quella
descritta da libro degli Atti degli Apostoli al capitolo 16,6-9. Suona
così:
«Attraversarono
quindi la Frigia e la regione della Galazia, avendo lo Spirito Santo
vietato loro di predicare la parola nella provincia di Asia. Raggiunta
la Misia, si dirigevano verso la Bitinia, ma lo Spirito di Gesù non
lo permise loro; così, attraversata la Misia, discesero a Troade.
Durante la notte apparve a Paolo una visione: gli stava davanti un
Macedone e lo supplicava: “Passa in Macedonia e aiutaci!”. Dopo
che ebbe avuto questa visione, subito cercammo di partire per la
Macedonia, ritenendo che Dio ci aveva chiamati ad annunziarvi la
parola del Signore».
Il
brano è anzitutto caratterizzato da un accumulo di nomi geografici,
di regioni dell’Asia Minore, che vogliono dare un’idea generale
dello svolgimento della seconda missione di Paolo, quella iniziata
subito dopo il concilio di Gerusalemme (At 15,36).
Non è
facile orientarsi in tale elenco di regioni dell’Asia. La direzione
di marcia di Paolo è in ogni caso verso Ovest, con varie digressioni.
Ma il tutto è raccontato con estrema rapidità per farci arrivare a
ciò che sta a cuore al narratore: il passaggio della Parola in
Europa.
Paolo
ha la certezza che Dio lo sta guidando e, invece di lasciarsi prendere
dall’impazienza o dalla frustrazione per quello zigzagare nelle
province dell’Asia, intuisce che egli si trova di fronte a un
disegno provvidenziale. Esso gli diventa chiaro quando a Troade,
durante la notte, ha la visione di un macedone, che lo supplica:
«passa in Macedonia e aiutaci».
È
chiaro che questo macedone sta per un popolo, per una nazione, che
chiede soccorso. Possiamo perciò dire che l’inizio dell’evangelizzazione
dell’Europa da parte di Paolo viene presentato come l’attuazione
di un disegno provvidenziale di salvezza. È Dio che ha guidato gli
avvenimenti. Probabilmente già altri cristiani erano arrivati a Roma
o altrove. Tuttavia l’unico inizio dell’evangelizzazione dell’Europa
che ci viene descritto solennemente è quello presentato qui in Atti
16,6-9. Da quel momento la parola di Dio sarà proclamata di regione
in regione fino agli angoli più remoti del continente europeo e a
seguito di ciò anche i libri delle sacre Scritture entreranno
fortemente nella cultura e nella mentalità dei popoli europei.
Come
nota uno studioso protestante contemporaneo (Giorgio Girardet, Bibbia
perché, Claudiana, Torino 1993, 196) «è difficile
sottovalutare il peso che la Bibbia ha avuto nella formazione e nell’elaborazione
della civiltà occidentale, nella sua filosofia, nelle sue dottrine
politiche, nell’etica e nella concezione del mondo: cioè per molti
aspetti che rendono l’Occidente originale e diverso da altre culture
e civiltà. Per oltre un millennio, dal IV ad almeno il XVII secolo,
la Bibbia è stata il testo base della cultura sia religiosa sia
secolare, dal quale si attingevano le verità da credere e spesso le
norme da seguire e che, con la sua presenza nelle cattedrali, nei
monasteri, nelle scuole e nella letteratura popolare, ispirava
intellettuali, scrittori e artisti, influenzava la mentalità dei
popoli europei e ne plasmava il linguaggio. Nata dall’incontro fra
il mondo greco-romano e quello ebraico-biblico, la civiltà
occidentale ha ricevuto dal primo i fondamenti della filosofia e delle
arti, del diritto e della scienza; dal secondo le basi della religione
e dell’etica, il senso della storia, la priorità della coscienza e
un contributo originale alla laicità della politica. A questo si deve
aggiungere un apporto della cultura ebraica post-biblica spesso
indiretto e questo nonostante i suoi due millenni di esistenza come
comunità perseguitata».
Dal
canto suo Giovanni Paolo II ha affermato in molte occasioni che «la
cultura europea non potrebbe essere compresa fuori dal riferimento al
cristianesimo (…) Plasmata dalla parola di Dio, l’Europa ha svolto
nella storia del mondo un ruolo unico, e la sua cultura ha fortemente
contribuito al progresso dell’umanità. Il dinamismo della fede
cristiana ha suscitato, nella cultura europea, una creatività
straordinaria. La storia del mondo è ricca di civiltà scomparse, di
culture brillanti il cui splendore si è da tempo estinto, mentre la
cultura europea si è continuamente rinnovata e arricchita in un
dialogo talvolta scomodo, spesso conflittuale, ma sempre fecondo con
il Vangelo; questo stesso dialogo è fondamento della cultura
europea» (Discorso al Simposio pre-sinodale su
«Cristianesimo e cultura in Europa: memoria, coscienza, progetto»,
31 ottobre 1991).
E
ancora: «Della buona novella del Vangelo sono vissuti in Europa nel
succedersi dei secoli, fino al giorno d’oggi, i nostri fratelli e le
nostre sorelle. La ripetevano i muri delle chiese, delle abbazie,
degli ospedali e delle università. La proclamavano i volumi, le
sculture e i quadri, l’annunziavano le strofe poetiche e le opere
dei compositori. Sul Vangelo venivano poste le fondamenta dell’unità
spirituale dell’Europa» (Omelia per il millennio del martirio di
sant’Adalberto, Gniezno, 3 giugno 1997).
Nella vita
frammentata
Se
questa è la storia del passato, a partire da qui noi ci chiediamo
anzitutto in quale situazione si trovi oggi il cristianesimo in Europa
e più in generale quali siano le condizioni spirituali del continente
europeo. Il tema ci porterebbe lontano, ma voglio solo accennare ad
alcune caratteristiche tipiche del cristianesimo nel nostro continente
oggi. Parlando di cristianesimo mi riferisco qui in generale a tutte
le Chiese cristiane presenti in Europa, prescindendo per il momento
dal problema ecumenico. Alcuni problemi esistenziali sono infatti
comuni in Europa un po’ a tutte le confessioni. Sottolineo tra i
molti i quattro seguenti.
Il
primo potrebbe essere descritto come la frammentazione o la
parcellizzazione della vita. Essa è causata dalle diversità tra
luogo di residenza, luogo di studio, luogo di lavoro, luogo di svago,
con una conseguente dispersione degli orari familiari, come pure dalla
molteplicità delle appartenenze. Si appartiene insieme alla Chiesa e
alla squadra di calcio, al partito e al sindacato, alla categoria
lavorativa e alla categoria sociale, al gruppo di volontariato e alla
compagnia del tempo libero: ma spesso non si appartiene in profondità
a nessuno di questi ambiti e si vive in una grande e solitaria
soggettività. Vi sono dunque all’apparenza esterna molteplici
appartenenze, ma molte di esse sono sbiadite e parecchie sono anche in
contrasto tra loro. In Europa sono sempre meno i luoghi dove si
conduce un tipo di vita contrassegnato dalla stabilità e dall’omogeneità
delle relazioni. Tale frammentazione opera una divisione nella vita
che la rende più faticosa. Per questo la gente è sempre più
nervosa, stanca, divorata dalla fretta, bisognosa di stimoli e di
eccitazioni crescenti. Basta considerare la differenza esistente tra
la concezione del tempo quotidiano in Europa e la concezione del tempo
in Africa o in altri paesi del terzo mondo.
In
secondo luogo il cristiano europeo vive convivenze logoranti e
dirompenti. Designo con questa espressione la contiguità, nel
mondo europeo, di ambienti vitali improntati ancora alla fede e
ambienti vitali segnati da laicismo e indifferentismo. Per cui un
cristiano dei nostri tempi può vivere magari per qualche ora alla
settimana in un ambiente di tradizione religiosa ancora sentita e per
tante altre ore in ambienti professionali o pubblici nei quali il nome
di Dio è assente, la fede non influisce per nulla sulla vita e
prevalgono modelli pratici di azione difformi dal Vangelo. La
comunicazione di massa riflette per lo più l’ambito dell’indifferentismo
e dell’agnosticismo. Così il credente vive la grossa fatica di
passare, magari più volte al giorno, dall’uno all’altro ambito,
ciò che determina un crescente logoramento religioso e spirituale.
Come è
stato ripetuto più volte nei simposi dei vescovi europei, l’Europa
non si può ritenere del tutto secolarizzata. Specialmente in alcune
regioni permangono ambiti e luoghi vitali con residui più o meno
importanti di cristianesimo. Tuttavia viviamo un po’ tutti in una
mistura di ambiti che confondono e smarriscono molte persone. C’è
poi da dire che la parrocchia tradizionale perlopiù non è stata
abituata a preparare i suoi fedeli al passaggio continuo da un ambito
all’altro.
Una
terza caratteristica è rappresentata da appartenenze parziali,
soggettivismo ed ecletticismo. A proposito di questa, mi permetto di
richiamare un’inchiesta sui valori europei che è stata aggiornata
periodicamente in questi anni. Vi si propone una divisione tipologica
secondo diverse categorie di persone rispetto al loro legame con una
Chiesa. Utilizzo un’immagine che a mio avviso illustra il senso dell’inchiesta:
l’immagine dell’albero. Ci sono i cristiani della linfa, i
cosiddetti impegnati, coloro che partecipano abbastanza da vicino alle
iniziative della parrocchia. Ci sono i cristiani del midollo, che
frequentano la messa con qualche regolarità, che contribuiscono
magari economicamente alle necessità della Chiesa, però non
collaborano direttamente alla costruzione della comunità. Ci sono poi
i cristiani della corteccia, che vivono marginalmente rispetto alla
comunità cristiana. In numero crescente ci sono gli allontanati della
prima generazione, cioè coloro che sono stati educati cristianamente
ma da tempo hanno abbandonato la Chiesa. Ci sono infine i lontani
della seconda generazione, pure in crescendo, che non sono stati
educati cristianamente, non hanno mai avuto alcun contatto serio con
la Chiesa e perlopiù non sono neppure battezzati. È interessante
notare che la percentuale delle diverse categorie è assai diversa da
nazione a nazione. In Italia per esempio i cristiani della linfa sono
calcolati all’8%, i cristiani del midollo al 44%, quelli della
corteccia al 33%. In Francia i cristiani della linfa sarebbero il 7%,
i cristiani del midollo il 12%, quelli della corteccia il 45%, mentre
il fenomeno dei lontani di seconda generazione, per ora poco presenti
in Italia, caratterizza la Francia in misura assai maggiore.
Ovviamente tali statistiche hanno valore relativo. Ma è chiaro che in
Europa convivono tipologie religiose diversissime, da cui derivano
forme di appartenenza spesso soltanto parziale alla Chiesa o di
adesione parziale alla stessa fede, con un crescente ecletticismo e
soggettivismo in campo religioso.
Un
quarto aspetto è di origine più recente. Esso non riguarda soltanto
il dialogo ecumenico, che in Europa ha segnato in questi ultimi
decenni grandi progressi ed è uno dei fattori che contribuiscono al
risveglio spirituale dell’Europa e alla capacità di dialogo a
livello europeo e mondiale, ma si riferisce al fatto nuovo della
presenza in Europa di un numero sempre più grande di seguaci di altre
religioni, soprattutto musulmani. Il problema della capacità di
convivenza, del dialogo reciproco, della collaborazione e del rispetto
per le varie religioni, della ricerca di valori comuni si pone dunque
sempre più fortemente, se vogliamo evitare o la ghettizzazione di
questi gruppi o lo scontro di religioni e di civiltà. Ci si domanda
dunque che cosa sono chiamati a fare i cristiani rispetto a questa
situazione. Giovanni Paolo II afferma a questo proposito: «Oggi,
dinanzi alla moltiplicazione di correnti intellettuali, alla
diversità di concezione della vocazione dell’uomo e anche alle
delusioni di innumerevoli contemporanei, è importante che il dialogo
prosegua nella chiarezza e nel mutuo rispetto tra i discepoli di
Cristo e i loro fratelli e sorelle di altre convinzioni» (Discorso
al Simposio presinodale, 31 ottobre 1991). E ancora: «Il
traguardo di un’autentica unità del continente europeo è ancora
lontano. Non ci sarà l’unità dell’Europa fino a quando essa non
si fonderà nell’unità dello spirito» (Omelia a Gniezno, 3
giugno 1997).
È
dunque importante suscitare nei fedeli una profonda unità interiore
di vita, convinzioni radicate, una coerenza tra fede pensata e fede
vissuta e insieme una capacità di apertura, di dialogo, di
valorizzazione dell’altro che permetta di guardare al futuro come a
un futuro di pace e di collaborazione. Si pone dunque la domanda: come
aiutare i nostri fedeli in questo cammino che appare sempre più
arduo? Come educarli a vivere i loro valori e a esprimerli in maniera
comprensibile ed efficace in un contesto così movimentato e
difficile?
Il libro che
educa
torna
su
È in
questo quadro che emerge il significato e l’importanza educativa
della sacra Scrittura per il futuro del continente europeo. Una delle
esperienze che maggiormente mi hanno accompagnato in questi anni non
solo nei miei contatti con gli episcopati e le comunità cristiane
europee ma anche nelle missioni pastorali svolte in tante altre parti
del mondo è che la Bibbia può essere a buon diritto considerata come
il grande libro educativo dell’umanità.
Lo è
anzitutto come libro letterario, perché è un libro che crea un
linguaggio comunicativo, narrativo e poetico di straordinaria
efficacia e bellezza, un linguaggio che sta alla base di alcune almeno
delle nostre lingue moderne europee, in particolare della lingua
inglese e della lingua tedesca, nate insieme con le grandi traduzioni
bibliche. Ma molte tracce dell’influsso del linguaggio biblico sono
facilmente reperibili anche nella storia della nostra lingua italiana
e di molte altre lingue parlate in Europa.
Ma la
Bibbia è un grande libro educativo non solo come libro letterario, ma
anche come libro sapienziale, che esprime la verità della condizione
umana in una forma così efficace, così attraente, così incisiva che
ogni persona umana, di qualunque continente e cultura, può sentirsi
specchiata almeno in qualche parte di essa. Ne ho fatto l’esperienza
anche in questi decenni predicando sul testo biblico in tanti
continenti e a tante culture diverse del nostro pianeta.
La
Bibbia è inoltre un grande libro educativo anche come libro
narrativo, perché descrive le vicende di un popolo nell’ambito di
altri popoli attraverso un cammino progressivo di liberazione, di
presa di coscienza, di crescita di responsabilità del soggetto
individuale, fornendo un paradigma storico valido per l’intera
storia dell’umanità.
Ma la
Bibbia è per i cristiani di tutte le confessioni un libro educativo
in particolare perché libro dello Spirito Santo, che muove il cuore
al vero e al bene, che descrive le condizioni del cammino umano verso
l’autenticità intellettuale, morale e religiosa, che stimola ogni
energia positiva e smaschera le trappole e gli infingimenti che
ostacolano il raggiungimento della verità e della libertà della
persona.
Essa è
infine un grande libro educativo perché mette al centro Dio
educatore, come ho cercato di descrivere in una delle mie lettere
pastorali che porta appunto il titolo Dio educa il suo popolo
(1987), dove richiamo le coordinate fondamentali del cammino che Dio
ha fatto percorrere a Israele. Si tratta di un processo personale e
insieme comunitario, graduale e progressivo, con momenti di rottura e
salti di qualità, conflittuale, energico, progettuale e liberante,
inserito nella storia, realizzato con l’aiuto di molteplici
collaboratori, compiuto in maniera esemplare nella vita di Gesù,
inserito nei cuori mediante l’azione dello Spirito Santo nell’uomo
interiore (Programmi pastorali diocesani 1980-1990, EDB, Bologna
1990, 405-478). Questo processo è illuminante anche per ogni cammino
educativo dei nostri tempi ed è capace di stimolare potentemente ogni
attività di formazione non solo religiosa ma anche umana e civile,
come pure una sana disponibilità al dialogo anche con altre culture e
religioni.
Di qui
nasce anche il mio auspicio per il futuro dell’Europa, auspicio che
ho espresso nell’ultimo Sinodo europeo, che cioè la Bibbia divenga
il libro del futuro dell’Europa e dell’intero pianeta.
Di fronte a Dio
che parla torna
su
Ma come
valorizzare in pratica questa potenza educativa della Bibbia e farla
giungere alla gente semplice, alle grandi masse anche nelle nostre
metropoli, aiutandole a superare le difficoltà sopra descritte della
frammentazione della vita, delle convivenze dirompenti, delle
difficoltà del dialogo interculturale e interreligioso?
Per
quanto riguarda la mia esperienza pastorale, esprimo la seguente
risposta: tra i mezzi che possono maggiormente aiutare i cristiani che
vivono nel mondo contemporaneo a raggiungere quell’unità di vita e
quella capacità di orientamento che è premessa a un vivere sociale
costruttivo, v’è certamente l’esercizio paziente, metodico,
tendenzialmente quotidiano della lectio divina.
Con il
termine lectio divina intendo la capacità di mettersi di
fronte una pagina della Scrittura per leggerla in spirito di fede e di
preghiera, così da smascherare le insidie della mentalità
contemporanea e giungere a leggere tutte le realtà secondo la mente e
il cuore di Dio.
Mi
rifaccio per questo all’ultimo capitolo (VI) della costituzione Dei
Verbum del Vaticano II. In essa si raccomanda che tutti i fedeli
abbiano accesso, anche diretto, alla sacra Scrittura; che la leggano
frequentemente e volentieri; che imparino a pregare su di essa, per
conoscere autenticamente Gesù Cristo.
Tale
progetto è qualcosa di nuovo nella storia della Chiesa, perché
suppone una situazione culturale non presente nei secoli precedenti.
Anzitutto la capacità della massa della gente di leggere e di
meditare; inoltre la disponibilità a essere educati a un esercizio
personale di riflessione e di preghiera, al di là del semplice
ascolto di una predica. Mentre in una condizione culturale più
omogenea i segni del divino presenti nell’ambiente quotidiano
insieme con la predicazione e la catechesi domenicale potevano
apparire sufficienti per la formazione di cristiani adulti, oggi non
è più così. Non a caso dunque il Concilio ha proposto la lectio
divina tendenzialmente per tutti, almeno come meta pastorale da
raggiungere.
Non
entro nella metodologia della lectio, che è stata approfondita
in questi anni e che supera l’ambito della mia esposizione. Mi preme
tuttavia insistere sul fatto che non è lectio divina il solo
prendere ogni tanto in mano, da soli o in piccoli gruppi, qualche
pagina della Bibbia. La lectio è un esercizio ordinato,
metodico, non casuale, fatto in un clima di silenzio di preghiera, con
una lettura idealmente continua di tutta la Bibbia, secondo il modello
che la liturgia ci propone nel triplice ciclo delle letture domenicali
e nel duplice ciclo delle letture feriali. La lectio è dunque
un atto che si compie nella Chiesa e in comunione con una Chiesa, ma
con un’attivazione della soggettività orante e intelligente di
ciascuno.
Essa
non sostituisce né la catechesi né altre iniziative di insegnamento
e di aggiornamento culturale che aiutano un cristiano a divenire
adulto nella fede. Tuttavia la lectio fa qualcosa che i
discorsi, le prediche le catechesi non possono sempre fare: pone cioè
ciascuno con la sua coscienza e responsabilità di fronte a Dio che
parla, che invita, che chiama, che consola o rimprovera, il tutto in
un’atmosfera di preghiera e di dialogo, di umile richiesta di
perdono, di domanda di luce, con la disposizione a lasciarci guidare
dallo Spirito Santo per realizzare l’offerta della propria vita.
Voglio
sottolineare che la lectio divina, così vissuta, propizia
quella unità interiore, quella profondità di convinzioni, quella
coerenza pratica di vita che contrasta con le forze di frammentazione
operanti nella moderna società. È davvero un rimedio divino
provvidenziale per il nostro tempo.
Le
indicazioni del Vaticano II sull’accesso diretto alla Bibbia da
parte dei fedeli non devono dunque essere disattese. Nel mondo
occidentale ci troviamo in un contesto pubblico che prescinde da Dio,
in cui il mistero di Dio è quasi assente nei segni esteriori della
vita della società. Siamo minacciati da un’aridità interiore che
rischia di soffocare le coscienze, di non lasciar più emergere nell’esperienza
quotidiana il senso e il gusto del Dio vivente. Solo se alimentiamo la
nostra fede con un contatto personale con la Parola, riusciremo a
passare indenni attraverso il deserto spirituale della società
contemporanea. Come si esprime Giovanni Paolo II, «più che mai l’Europa
ha bisogno di ritrovare la sua identità spirituale, incomprensibile
senza il cristianesimo (…) La ricostruzione dell’Europa esige
dunque anzitutto questo sforzo per renderla nuovamente cosciente della
sua identità tutta intera, della sua anima» (Discorso a un Simposio
sulla pastorale familiare in Europa, 26 novembre 1982).
Sono
persuaso che il principio della lectio divina può ispirare
tutta un’azione e un programma pastorale nelle grandi metropoli
europee. Ci sono oggi molte premesse culturali e spirituali che
possono far diventare la lectio parte di un programma organico.
Essa può essere il luogo che suscita e vivifica iniziative valide per
il cammino di una comunità cristiana.
Un atteggiamento
dialogante torna
su
Vorrei
da ultimo ancora ricordare l’importanza della familiarità dei
cristiani con la Scrittura per affrontare il dialogo interreligioso e
interculturale. Tutta la Scrittura è pervasa da questo dialogo,
perché essa racconta la storia del popolo di Dio che è entrato via
via in contatto con nuove culture e correnti di pensiero e in parte le
ha assorbite, in parte ha operato su di esse un discernimento
illuminante.
Un
atteggiamento dialogante, rispettoso e insieme cosciente dei propri
valori e delle proprie certezze è dunque quell’atteggiamento che la
Scrittura promuove e che è tanto necessario per un dialogo fruttuoso
in Europa con le altre religioni e con le altre culture. Vorrei anche
sottolineare come, per esperienza personale, anche il dialogo con i
non credenti, che ho proposto in questi anni a Milano con la
cosiddetta «Cattedra dei non credenti» ci ha fatto comprendere che
il terreno della Bibbia è quello di più facile confronto anche con
coloro che non credono in Dio o che sono in qualche modo in ricerca.
Ritengo
dunque che la sacra Scrittura sia davvero il libro del futuro dell’Europa.
Se vogliamo costruire un’unità di popoli cosciente dei propri
valori e capace di promuovere dialogo, giustizia e pace nel mondo
intero possiamo con sicurezza rifarci a quel libro che rappresenta
tanta parte nella storia dei popoli europei, a partire da quel momento
in cui Paolo accolse la richiesta di aiuto del Macedone e venne in
Europa a portare il messaggio del Vangelo.
Concluderò
perciò con le parole del mio grande predecessore e vescovo europeo s.
Ambrogio, che parlando della fortuna e della prosperità di una
città, che le è assicurata anzitutto da una moltitudine di uomini
giusti («Quam beata civitas, quae plurimos iustos habet!»), afferma:
«Come dunque tutta la città è consolidata e resa più prospera
dalla presenza di persone sagge o è rovinata dalla loro scomparsa,
così un discorso austero e pieno di senile prudenza è in grado di
rendere salda l’anima e ferma la mente di ciascuno. Se riusciamo
inoltre a utilizzare copiosamente la lettura dei testi sacri, vero e
proprio senato di numerosi insegnamenti e di buoni consigli, essa
rende addirittura perpetua la stabilità di quella città che è nel
cuore di ciascuno» (De Cain et Abel, II,3,12).