Ratzinger e il "cappellano" teologo.
Un carteggio inedito
di Philipp Reisinger su Vita e Pensiero n.3/2007
L’austriaco Franz Michel Willam è oggi certamente
la personalità meno conosciuta tra gli autori citati da Benedetto XVI nella
prefazione del suo libro “Gesù di Nazaret”.
Chi era? E perché il papa lo ricorda? Solo a pochi è noto il carteggio,
conservato nel convento di Thalbach a Bregenz, in Austria, tra l’allora
professore universitario Joseph Ratzinger e Franz Michel Willam, di lui più
vecchio di 33 anni.
I due furono in stretto contatto in particolare negli anni 1967 e 1968. Uno
dei motivi era il libro di Willam “Vom jungen Roncalli zum Papst Johannes
XXIII. [Dal giovane Roncalli a papa Giovanni XXIII]”, edito nel 1967, e
l’articolo di Ratzinger “Was heißt Erneuerung der Kirche? [Cosa significa il
rinnovamento nella Chiesa?]” apparso un anno prima sulla rivista “Diakonia”.
In quest’ultimo testo si trova scritto: “La vera riforma è quella che si
occupa di ciò che è autenticamente cristiano, che si lascia provocare e
formare da esso”. La vera riforma, il vero rinnovamento richiede semplicità.
“Rinnovamento è semplificazione”: così Ratzinger sintetizzava efficacemente la
sua tesi.
Willam, che aveva scoperto e fatto emergere la semplicità come idea dominante
in papa Giovanni XXIII, riportava così – in una lettera al vescovo Paulus
Rusch – quello che per lui era il passaggio centrale dell’articolo di
Ratzinger:
“La teoria della semplicità trova in Joseph Ratzinger la seguente versione:
esiste la semplicità della comodità, che è la semplicità dell’imprecisione,
una mancanza di ricchezza, di vita e di pienezza. Ed esiste la semplicità
dell’origine, che è la vera ricchezza. Rinnovamento è semplicità, non nel
senso di una selezione o riduzione, bensì una semplificazione nel senso di un
diventar-semplice, del muoversi verso quella vera semplicità che è il mistero
dell’esistente”.
Il 22 maggio 1967 Willam scrive a Ratzinger:
“Ho svolto una ricerca sulle concordanze nei cinque volumi contenenti i
discorsi e i documenti del pontificato. Le parole ‘semplice’ e ‘semplicità’
sono le parole-chiave più ricorrenti in assoluto. Giovanni XXIII le intende
certamente nello stesso modo in cui le intende lei: studiare la cosa in
maniera precisa e porsi la domanda: come lo devo esprimere, in modo che la
gente capisca il risultato?”.
“In questi giorni ho ricevuto il suo libro su papa Giovanni XXIII. L’ho già
letto qua e là e lo trovo davvero emozionante”, è la risposta del professor
Ratzinger dopo aver ricevuto il volume.
Ratzinger, in quanto nuovo decano della Facoltà teologica di Tubinga, scrisse
una lunga e particolarmente benevola recensione del libro di Willam su
“Theologische Quartalschrift”, 6, 1968:
“Senza dubbio questo libro può essere definito come la pubblicazione sin qui
di gran lunga più importante per illuminare la figura di Giovanni XXIII. Allo
stesso tempo è di fondamentale importanza per la comprensione del Concilio
Vaticano II. Il libro si staglia ampiamente al di sopra della moltitudine di
ciò che è stato scritto in questi contesti, e ciò attraverso la completezza
delle sue informazioni e l’evidenza dei collegamenti. [...] L’autore, quindi,
merita un ringraziamento senza riserve per il suo paziente lavoro, e non
ultimo anche perché ha saputo dire molte cose in spazi contenuti”.
Willam fu davvero felice di questa recensione, e la citò in quasi tutte le
lettere che scrisse nelle settimane dopo la sua pubblicazione. A un amico
scrisse: “Si ha l’impressione che nel suo argomentare Ratzinger abbia in mente
diversi dialoghi avvenuti durante il Concilio Vaticano II, anche con non
cattolici come Oscar Cullmann”.
Willam nutrì una grande ammirazione per il professor Ratzinger e gli chiese
consiglio in molti frangenti, lasciandosi correggere e consigliare da lui con
semplicità, malgrado la rilevante differenza d’età. Nella già citata lettera,
del 22 maggio 1967, tra le altre cose egli chiedeva al professore aiuto per
una pubblicazione riguardante John Henry Newman, e concludeva la missiva con
un complimento commosso:
“Poiché non conosco alcun teologo che nel pensare sia vicino a Giovanni XXIII
quanto lei – la comune parola-chiave ‘semplicità’ lo testimonia oggettivamente
– rivolgo questa richiesta proprio a lei”.
La semplicità, così profondamente decisiva per Willam, si esprimeva anche nel
fatto che egli non si sentì mai chiamato a formulare una propria particolare
teologia. Piuttosto desiderò cogliere i segni dei tempi ed essere testimone
dell’eterno nel contesto di tutti i cambiamenti che avvenivano nell’arco della
sua vita.
Anche qui è visibile una comunanza con Ratzinger, il quale affermò una volta:
“Non ho mai cercato di fondare un particolare sistema, una teologia speciale.
Intendo semplicemente pensare insieme alla fede della Chiesa, e ciò significa
anzitutto pensare insieme ai grandi pensatori della fede. Non si tratta di una
teologia isolata e proveniente da me stesso, bensì di una teologia che si apre
nella maniera più allargata possibile al comune cammino di pensiero della
fede”.
Franz Michel Willam nacque il 14 giugno 1894 a Schoppernau nel Vorarlberg,
figlio di un calzolaio e barcaiolo, dunque in un contesto semplice. Col nonno
materno, il poeta patriottico Franz Michel Felder, condivideva non solo il
nome, ma anche l’amore per la propria patria e il proprio popolo, lo slancio
per la scrittura e la ricerca, nonché una miopia tendente quasi alla cecità.
Nel 1917 Willam venne ordinato sacerdote a Bressanone, e nel 1921 divenne
dottore in teologia. Dopo alcune esperienze pastorali, gli venne attribuito il
ruolo di cappellano ad Andelsbuch, dove fu attivo come pastore e come studioso
sino alla morte, il 18 gennaio 1981.
Ricercato e stimato da molti, lo scrittore, scienziato e antropologo volle
sempre essere chiamato “cappellano”, poiché questo nome esprimeva ciò che egli
era e volle sempre essere: un sacerdote e pastore.
La vita di Willam fu modesta e tra la gente, nonché profondamente radicata
nella tradizione cattolica. Nonostante vivesse nel solitario bosco di Bregenz,
egli rimase in continuo contatto col mondo scientifico della teologia, in
particolare con molti studiosi newmaniani. Era capace allo stesso modo di
discutere di agricoltura montana con le persone che incontrava nelle sue molte
passeggiate, così come, nel suo studio pieno di montagne di libri, di leggere
senza problemi autori inglesi, francesi, spagnoli, italiani, latini e greci
senza l’ausilio di un dizionario. Gli erano familiari moderni scienziati della
natura come Heisenberg al pari dei filosofi greci Platone e Aristotele.
Tra le altre cose, Willam riuscì a dimostrare che la gnoseologia di Newman
aveva derivazione aristotelica molto più che platonica. Questa teoria –
all’inizio fortemente osteggiata nella cerchia degli esperti – venne più tardi
universalmente accettata, e il semplice cappellano divenne così uno
specialista newmaniano di riconosciuto successo.
L’opera di Willam comprende 33 libri e 372 scritti – poesie, racconti, saggi,
recensioni – pubblicati in 79 differenti riviste.
Il volume del 1932 “Das Leben Jesu im Lande und Volke Israels [La vita di Gesù
nel territorio e nel popolo d’Israele]”, pubblicato in dieci edizioni e
tradotto in dodici lingue, è il suo capolavoro, un vero e proprio bestseller
del suo tempo, che rese Willam celebre internazionalmente.
Per la scrittura di questo libro Willam studiò a fondo la storia giudaica e
osservò da antropologo per molti mesi gli usi e i costumi in Palestina.
La sua “Vita di Gesù”, scritta prima dell’affermarsi dell’esegesi
storico-critica della Bibbia, non si occupa della questione della storicità
dei Vangeli e delle varie fonti linguistiche e idiomatiche della Sacra
Scrittura. Il suo scopo consiste puramente e semplicemente nel presentare al
lettore la vita e dunque la persona di Gesù partendo dai Vangeli, il cui
contenuto egli riempiva di vivacità attraverso le conoscenze derivanti dai
suoi studi antropologici.
Quando Willam parla di Gesù, allo stesso tempo egli ci sta dando una lezione
“di sguardo” nel vero senso della parola: ci fa vedere, sentire e percepire
come il Signore ha vissuto e operato.
Willam non è un mero teorico che elabora il suo pensiero indipendentemente
dagli accadimenti concreti e dunque allontanandosi progressivamente dalla
realtà. Non scrive solo per una cerchia di specialisti. La sua urgenza è la
formazione religiosa del popolo. Questa urgenza deriva dal suo particolare
amore e dalla sua particolare vicinanza all’uomo semplice; gli riuscì di unire
uno spirito lucido a un linguaggio lineare e comprensibile.
Un biografo di papa Benedetto XVI ha scritto: “La semplicità gli appartiene.
Un distacco altezzoso non è mai stata la sua caratteristica, per quanto
fossero complesse le problematiche teologiche affrontate”.
Il frutto della semplicità è lo sguardo chiaro sull’essenziale. E proprio
questo Willam condivideva con Ratzinger, il quale citandolo nella prefazione a
“Gesù di Nazaret” lo preserva giustamente dall’oblio.