Incontro mondiale tra le religioni per la pace.
"Religioni e culture: il coraggio del dialogo"
Andrea Riccardi, Washington, 26 aprile 2006

Pubblichiamo il testo dell’intervento pronunciato il 26 aprile a Washington da Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant'Egidio, all'incontro Mondiale tra le religioni per la Pace sul tema "Religioni e culture: il coraggio del dialogo". L’incontro è stato organizzato dalla stessa Comunità di Sant'Egidio in collaborazione con l'Arcidiocesi di Washington, la Georgetown University e la Catholic University of America.
 
Sono vent’anni che siamo pellegrini del dialogo tra gente di religione diversa. Siamo partiti nel 1986. Allora Giovanni Paolo II invitò i leader delle diverse religioni a pregare gli uni accanto agli altri per la pace ad Assisi. C’era ancora la guerra fredda. Il papa aveva compreso che le religioni possono essere benzina per il fuoco dei conflitti, oppure acqua che spegne l’incendio della guerra. Alla fine di quella memorabile giornata, sulla collina di Assisi, piena di ulivi e sbattuta dal vento, vicino alla tomba di San Francesco, profeta di pace, Giovanni Paolo II disse: “Continuiamo a diffondere il messaggio della pace e a vivere lo spirito di Assisi.”

Noi di Sant’Egidio lo abbiamo preso sul serio. Ci sembrò una grande intuizione! La Comunità di Sant’Egidio, nata a Roma nel 1968, è diffusa in settanta paesi del mondo (di cui venticinque africani ed anche negli Stati). La Comunità ha sentito di dover prendere sul serio lo spirito di Assisi, perché è una grande risorsa di pace. Noi lavoriamo con i poveri. Tutti possono vivere Sant’Egidio come semplice vita di servizio e di fede. I poveri sono le prime vittime della guerra, che è madre di tutte le povertà. Le religioni non possono restare insensibili al grido che chiede la pace. Da quel 1986 lavoriamo per favorire l’incontro. Anno dopo anno ci siamo fatti pellegrini di pace: a Roma, a Barcellona, a Lisbona, in Francia, in Germania, a Bucarest in Romania, a Malta e in Sicilia nel cuore del Mediterraneo, a Maputo in Mozambico.

Nel 1989, per i cinquant’anni dalla fine della seconda guerra mondiale, ci siamo ritrovati a Varsavia, ancora sotto il potere comunista: c’era un clima trepidante di speranza; il Muro di Berlino tremava. Allora cristiani, ebrei, musulmani, leader di ogni religione dissero insieme: mai più la guerra! E alla fine andammo pellegrini nel monumento dell’orrore della guerra: ad Auschwitz. In un paese comunista fu chiaro come la preghiera era la radice della pace.
Quattro anni dopo, nel 1993, nelle mura della città vecchia di Gerusalemme, per la prima volta, ebrei, cristiani e musulmani parlarono di pace. La convivenza tra i crdenti di queste tre religioni è una condizione per la pace. Non sono che due tra le tante tappe. Oggi, siamo ad Washington, quasi una rappresentanza della gente che ha percorso questo cammino, una carovana che è partita da Assisi. Non si poteva non venire negli Stati Uniti. Non si poteva non venire dopo l’11 settembre.

Il cammino del dialogo è partito, un secolo fa, proprio da Chicago, dove si incontrarono alcuni religiosi di diversa fede nel 1893. Ma soprattutto gli Stati Uniti hanno insegnato al mondo, con la loro società, che bisogna vivere in pace tra gente diversa di cultura e fede. Hanno insegnato che la pace si costruisce nella libertà. A questa terra, tanti perseguitati hanno guardato come rifugio nella libertà. Abbiamo fatto un lungo cammino: da Assisi a qui. Lungo il cammino uomini e donne che si ignoravano, hanno cominciato a considerarsi fratelli. Sono nate amicizie: cioè ponti. Sono caduti muri. Lo spirito di Assisi è un vento che soffia e fa cadere le barriere tra gli uomini e dentro di loro.

Lo spirito di Assisi è costruzione di ponti. C’è una civiltà da realizzare nel mondo: la civiltà del vivere insieme nella libertà, nella pace e nel rispetto. La proposta di Assisi non è dialogo tra esperti, quanto mostrare il bene del vivere insieme: la pace che non teme la diversità.
Lo spirito di Assisi non è rinuncia alla propria identità. Parlo come cristiano: è in forza della mia fede che amo gli altri che pure non la condividono, che dialogo con loro, che voglio vivere in pace con loro. Lo spirito di Assisi non è negare le differenze. Non sarebbe rispettoso verso milioni di credenti.
Le differenze esistono. Crediamo in modo diverso. Preghiamo in modo diverso. Ma le differenze non possono essere il motivo per odiarsi. Dio non vuole l’odio. Non può volere la guerra e la violenza.

Per Giovanni Paolo II – così ci scrisse alcuni anni fa - “la preghiera fatta fianco a fianco, pur non cancellando le differenze, manifesta il legame profondo che fa di noi tutti umili cercatori di quella pace che Dio solo può donare”. La preghiera è alla radice della pace. Le religioni –aggiungeva il Papa- “oggi in misura maggiore del passato, devono comprendere la loro responsabilità storica di lavorare per l’unità della famiglia umana”. Molti credenti lo hanno capito. E non è una vittoria da poco. Quanti sottratti all’ignoranza o alle pressioni fanatiche o al disprezzo per l’altro! Quanti diventati amici della pace!

Vivere insieme non è facile nel mondo contemporaneo. Questo è il grande problema. Lo mostra una sequela impressionante di conflitti etnici, nazionali, taluni a sfondo religioso. Siamo in un tempo in cui troppi possono fare la guerra, avendo a disposizione temibili armamenti. La lotta armata è tornata popolare. Il terrorismo, antica piaga, usa oggi armi potenti e strumenti di comunicazione, tale da sembrare talvolta una mano invisibile. Ma il terrorismo squalifica mortalmente la causa che vuole difendere. Colpire gli innocenti e i bambini? Anche i figli dei tuoi nemici, non sono nemici, ma sono solo bambini.

L’uomo spaesato della globalizzazione è tentato dal fondamentalismo: dall’illusione fanatica che sacrifica fede e umanità. Di uomini e donne spaesati in questo nostro mondo ce ne sono centinaia di milioni, taluni disponibili alle più diverse avventure. E’ una realtà con cui fare i conti. Chi parlerà a costoro? Il mondo è pieno di gente spaesata. E’ anche prodotto dalle grandi povertà del Sud, perché le povertà sradicano. Un mondo di sradicati si affaccia al futuro. E’ un rischio su cui si riflette poco. Ho recentemente compiuto un lungo viaggio in Africa, dove la Comunità di Sant’Egidio è presente in venticinque paesi con sue comunità, ed ho incontrato tanti giovani con la sete di un domani migliore. Ero nel cuore della Guinea Conakry ed ho visto un ragazzo lungo la strada con una maglietta che aveva l’effige del più noto terrorista internazionale. Gli ho chiesto chi era. Lui mi ha detto: uno che lotta per la giustizia!

Dobbiamo avere il coraggio di essere noi, credenti, quelli che lottano per la giustizia e sono conosciuti come tali. Non c’è giustizia senza il rispetto della diversità dell’altro e della sua libertà! Dobbiamo avere il coraggio di parlare con tutti! Lo spirito di Assisi è un’ingenuità in questo mondo imbarbarito? Se ci sono scontri iscritti nel futuro, bisogna moltiplicare l’incontro. Del resto, in uno dei suoi messaggi, il più noto terrorista del nostro tempo ha dichiarato: “Occorre rispondere con la morte al dialogo”. Noi rispondiamo alla morte con il dialogo! Pochi possono destabilizzare il mondo di tanti. Ma anche pochi uomini e donne di dialogo possono creare reti di pace.

Il nostro sogno è che ogni credente vero scopra nella sua fede le ragioni per amare e rispettare l’altro. Ed è un sogno che sta diventando realtà. Grazie al vostro impegno di questi giorni diventerà ancor più una realtà del nostro tempo! Chi non ama la vita, l’amore e la libertà, non vuole il dialogo. Ma noi vogliamo il dialogo perché amiamo la vita, la vita di tutti, la vita degli altri: è la bellezza di vivere insieme anche se diversi.

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