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Assassinata dai Taleban un'altra "donna simbolo" 

Hanno atteso che uscisse di casa, come tutte le mattine, e l'hanno uccisa. Un'esecuzione in piena regola, che ha tanto il sapore della "vendetta": Safia Ama Jan, 50 anni circa, era la responsabile delle questioni femminili nella Provincia di Kandahar fin dal 2002, quando pochi mesi dopo la caduta dei taleban venne creato il ministero per gli Affari femminili. Prestava la sua opera in una delle aree più difficili del Paese: Kandahar, il Sud, "culla" delle scuole islamiche dove, all'inizio degli anni Novanta, si formò la milizia dei taleban, che poi conquistarono Kabul, facendone la capitale di un regime islamico ultra-conservatore e terroristico, sotto cui alle donne fu vietato studiare e lavorare. Dalla caduta del regime, nel 2001, le donne in Afghanistan hanno iniziato un lento e difficile percorso di emancipazione. Dal burqa, dalla discriminazione. Safia Ama Jan lavorava per questo e per questo è stata uccisa. Perché i taleban non sono più organizzati in una rete efficiente e capillare ma continuano ad agire, mischiati a trafficanti di droga, criminali comuni e terroristi. Le maxi-offensiva in corso delle forze a guida Nato lo dimostra: mille miliziani uccisi solo in settembre. Safia Ama Jan, ex insegnante, era molto nota per la tenace difesa dei diritti delle donne e per essere rimasta a Kandahar anche negli anni della guerra. Due killer in moto le hanno sparato: è morta all'istante.

Un comandante dei taleban, mullah Hayat Khan, ha rivendicato l'assassinio dicendo che la donna è stata uccisa «perché lavorava per il governo». Le Nazioni Unite hanno condannato l'assassinio e il portavoce della Missione assistenza in Afghanistan dell'Onu (Unama) Aleem Siddique, ha detto che l'organizzazione «è inorridita per l'assurdo omicidio di una donna che ha semplicemente fatto il suo lavoro per assicurare che tutte le afghane potessero svolgere un ruolo pieno e paritario nel futuro dell'Afghanistan».

L'omicidio è solo l'ennesima "tappa" di una lunga scia di sangue che colpisce le donne nel Paese, soprattutto quelle impegnate nella vita pubblica. L'ultima ad aver subito intimidazioni era stata Malalai Joya, giovane deputata che, nel maggio scorso, dopo un duro discorso diretto contro gli ex signori della guerra, venne minacciata di morte, e poi aggredita fisicamente da alcuni parlamentari. In modo simile, nel luglio del 2005 una coordinatrice elettorale venne ferita a colpi di arma da fuoco nel distretto di Kamdesh, mentre un anno prima un'impiegata di un ufficio elettorale era stata uccisa nell'est del Paese da un ordigno fatto esplodere al passaggio della sua vettura. Sempre nel 2005, una donna e le sue due figlie, probabilmente perché impegnate a collaborare con una Ong straniera, vennero picchiate a morte a Baghlan; dopo pochi giorni una popolare conduttrice di un programma musicale nello stile di Mtv venne uccisa a Kabul.

L'omicidio di Safia Ama Jan non è stato l'unico episodio di violenza che ha insanguinato, ieri, il Paese. Dieci chilometri a ovest di Khost, nell'Afghanistan orientale, due persone sono morte in seguito all'esplosione della propria auto: volevano compiere un attentato in città, ma la bomba si è azionata prima del dovuto. Sempre ieri, un elicottero della Royal air force britannica chiamato in soccorso di una pattuglia rimasta bloccata in un campo minato ha provocato l'esplosione di alcune mine per il violento spostamento d'aria causato dalle sue pale: un militare è rimasto ucciso, altri cinque feriti.

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