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Per
uscire dalla crisi, l’Islam ha bisogno di un rinnovamento
interno. Invece si chiude in se stesso
Samir
Khalil Samir sj, su AsiaNews 8 settembre 2006
Il primo punto da attuare nella necessaria nuova
formazione degli imam è la reinterpretazione del Corano. Il testo sacro
dell’Islam, come tutti i testi, ha bisogno di essere interpretato cercando il
suo senso globale e cercando di contestualizzare quanto si legge. Fino agli
inizi del XX secolo vi sono stati grandi riformatori che hanno spinto in questo
senso: ve ne sono stati in India, Afghanistan, Siria, Egitto, Turchia, Africa
del nord, ecc. Poi vi è stata la decadenza religiosa nella formazione degli
imam e questo desiderio di riforma, che dura da secoli, si è spento.
La reinterpretazione è necessaria anche
perché il Corano è pieno di
contraddizioni interne da sempre evidenti, dovute alle varie circostanze delle
“rivelazioni”. Proprio per questo la teologia musulmana ha sviluppato la
scienza delle “circostanze della rivelazione”
(asbāb al-tanzīl)
ormai spesso dimenticata o negletta. Per risolvere le contraddizioni, la
tradizione musulmana antica ha sviluppato la teoria “dell’abrogato e
dell’abrogante”: vi sono cioè dei versetti che abrogano, cancellano,
superano altri versetti. Questa teoria viene dal Corano stesso, dove ad un certo
punto Dio dice al Suo profeta: “Non abroghiamo un versetto né te lo facciamo
dimenticare, senza dartene uno migliore o uguale. Non lo sai che Dio è
Onnipotente?” (Corano 2, 106).
Il problema allora diventa: quali sono i versi abroganti e quali gli
abrogati? E chi stabilisce quali sono gli uni e gli altri? Su questo vi è
ancora molta ambiguità perché non vi è mai stata intesa. Così
l’interpretazione dipende dalla pre-comprensione di ognuno. Chi segue una linea
violenta, politica, radicale, dirà ad esempio che il versetto detto “della
spada”
(āyat al-sayf) ha cancellato tutti i precedenti versetti che
parlavano di tolleranza e accoglienza. Questo versetto si ritrova quasi uguale
in due passi (Corano 2, 193 e 8, 39): “Combatteteli, affinché non ci sia
sedizione
(fitnah) e il culto
(dīn) sia <tutto> a Dio”
Un punto ancora più ambiguo è la questione del velo alle donne. Nel Corano
vi sono 3 versetti che parlano del velo, ma non sono chiari. A seconda del
significato che si dà alle parole si offre una o l’altra soluzione. Anche le
informazioni storiche sul modo in cui il velo è stato applicato, sono molto
varie. In Egitto, ad esempio, dal 1920 in poi, erano poche le donne velate e
sempre in modo discreto. Lo si è reintrodotto nella seconda metà degli anni
’70 sotto l’influsso dei Sauditi e con il loro appoggio finanziario. In
altre regioni esisteva da molto tempo. L’interpretazione del Corano è
decisiva perché vi sono donne che vengono offese o ferite se non lo portano, o
sono costrette ad indossarlo…
L’interpretazione è ancora più risolutiva nell’importante questione
dell’apostasia: nessun versetto del Corano dice che l’apostata deve essere
ucciso. Eppure la
sharia, la legge islamica impone di uccidere chi cambia
religione.
Nel mondo islamico sono molti gli intellettuali che richiedono che al Corano
sia applicata una esegesi, un’interpretazione. Ma spesso rischiano di essere
condannati, esclusi, esiliati dalle loro comunità. Un tipico esempio è quello
dell’egiziano Nasr Hamed Abu Zaid, che avendo suggerito di applicare
l’esegesi al Corano, è stato considerato un apostata. Così in poco tempo ha
perso il posto all’università, la moglie è stata costretta a divorziare (ma
si è rifiutata), e per salvare la vita ha dovuto emigrare in Olanda. Grazie a
Dio la moglie l’ha poi raggiunto in Europa, dove vivono come esuli.
Il timore di essere condannati frena molti studiosi. Anni fa in Tunisia, ho
partecipato a un convegno sull’esegesi dei testi sacri. Eravamo 7 teologi
cristiani e 7 musulmani. Le conferenze erano state decise dalla facoltà di
teologia musulmana e dovevano riguardare proprio l’interpretazione dei testi
sacri. Ebbene, tutti hanno parlato in generale dell’esegesi, ma nessuno ha
osato applicare i principi al testo coranico. Vi è proprio un blocco. Ciò
dipende dal fatto che per i musulmani il Corano è un testo rivelato disceso su
Maometto, e non un testo semplicemente ispirato da Dio. In quest’ultimo caso,
è possibile l’interpretazione; nel primo caso invece è tutto bloccato.
Parlando ad un seminario sull’Islam tenutosi a Castel Gandolfo nel settembre
2005, il papa Benedetto XVI ha sottolineato molto giustamente che questa
concezione islamica del Corano è una delle più grandi difficoltà nel dialogo
con i musulmani.
- La
sharia e i diritti umani -
Un altro problema che blocca lo sviluppo dell’Islam è l’interpretazione
della
sharia. Da notare: anche la (cattiva) interpretazione della sharia dipende
dalla (poca) formazione degli
imam.
La sharia è la concretizzazione nella vita quotidiana dell’islam a livello
giuridico. In questo senso essa ha una grande influenza perché genera leggi a
cui tutti debbono sottostare. Anche la sharia è basata sul Corano, sui detti di
Maometto e sui fatti della vita di Maometto. I detti e i fatti sono chiamati Sunna. Fra le fonti della
sharia vi è anzitutto il Corano. Un’altra fonte è
l’analogia, a partire dai detti (sulla cui verità nessuno vuole indagare). Il
problema è proprio questo: vi sono centinaia di migliaia di detti, spesso in
contrapposizione fra di loro; la veridicità dei detti non è sicura, eppure gli
imam o i dottori coranici cercano di applicare a situazioni di oggi metodi,
esperienze e criteri di secoli fa.
La proposta odierna di molti giuristi musulmani è di bloccare la parte della
sharia chiamata hudud, che prevede dei castighi precisi: uccisioni, taglio della
mano, lapidazioni, flagellazioni. Secondo i tradizionalisti queste punizioni
hanno fondamento nel Corano. Ma almeno una parte della comunità musulmana,
soprattutto gli intellettuali, affermano che questo stile di punizioni è
contrario al rispetto dei diritti umani. Così alcuni giuristi affermano il
principio che è necessario reinterpretare il Corano e la sharia basandosi sui
diritti umani internazionalmente riconosciuti.
- I diritti delle donne -
E qui si apre tutto il capitolo dei diritti delle donne. Molti apologisti
islamici affermano che l’Islam, a differenza di altre religioni, ha
valorizzato tutti i diritti delle donne. In realtà, se preso alla lettera,
l’Islam non dà per nulla alcuna eguaglianza con l’uomo. E ciò a livello
giuridico, non solo di costume o mentalità.
Facciamo alcuni esempi. L’uomo può ripudiare la moglie praticamente come
vuole ; la donna non può ripudiare il marito, al limite può chiedere al
marito il favore di essere ripudiata. L’uomo ha totale autorità sulla moglie,
secondo il Corano (4,34: “Gli uomini hanno autorità sulle donne, a causa
della preferenza che Dio concede agli uni rispetto alle altre e perché spendono
[per esse] i loro beni” e la moglie ha l’obbligo di ubbidirlo anche se le
vietasse di andare in moschea (hadith). Il marito ha diritto di avere relazioni
sessuale con la moglie quando vuole, e lei non ha il diritto di rifiutarsi a lui
sessualmente (Corano 2, 223 : “Le vostre donne sono il vostro campo da
arare (harth). Andate dunque al vostro campo da arare (harth) come volete”).
In tribunale, la testimonianza del maschio vale il doppio di quella della
femmina; ci vogliono 2 donne per controbilanciare la testimonianza di un solo
uomo. Per l’eredità, i figli maschi ereditano il doppio delle femmine. Anche
nella preghiera e gli atti del culto, la differenza è radicale: la donna,
essendo impura quando ha le regole oppure quando ha partorito, la sua preghiera
come il suo digiuno come tutti gli atti religiosi non sono accettati da Dio.
Deve provare a “ricuperare” i giorni persi. Pochi anni fa, in Egitto, è
stato deciso che la donna non poteva essere giudice, perché un noto
hadith profetico dice: “la donna è imperfetta quanto al culto e quanto
all’intelligenza” (al-mar’ah nāqisah dīnan wa-‘aqlan); quanto
al culto perché è impura quando ha il flusso di sangue e dunque renderà
impura tutta l’assemblea, e quanto all’intelligenza perché è emotiva e
dunque non più giudicare con equità. Il dibattito è stato interamente passato
in televisione! Inoltre, nei casi di adulterio, la pratica purtroppo corrente è
di condannare la donna ad essere lapidata, mentre l’uomo non è condannato,
benché il Corano condanni l’uno e l’altra alla flagellazione e mai alla
lapidazione (24, 2: “Flagellate la fornicatrice e il fornicatore, ciascuno con
cento colpi di frusta e non vi impietosite”).
Per questo, in alcuni paesi si sta cercando di riformulare il diritto di
famiglia. In Marocco, come ho già detto, il nuovo codice è stato varato. In
Algeria, paese che era progressista, dove le donne hanno dato un enorme
contributo alla lotta per l’indipendenza, non si è riusciti ad ottenere
nulla. Anzi, tutte le riforme del codice di famiglia tendono a restringere i
diritti e l’uguaglianza giuridica delle donne.
In Tunisia la riforma è avvenuta negli anni ’50 grazie alla forza del capo
politico, Bourghiba, che si appoggiava a un eminente giurista musulmano, Tahar
Haddad (1899-1936). Spesso, Bourghiba stabiliva le leggi e chiedeva al mufti di
trovarne la giustificazione nella tradizione. Nella legislazione tunisina, ad
esempio, è riconosciuta solo la monogamia. Ma nel Corano si parla
esplicitamente della poligamia fino a quattro mogli più tutte le serve che le
vostre destre possiedono (4,3). Come dunque giustificare l’interdizione della
poligamia? Il versetto continua dicendo: “ma se temete di non essere equi (ta’dilū),
allora sia una sola”. Ora, il versetto 129 dello stesso capitolo dice
esplicitamente: “Non potrete mai essere equi con le vostre mogli, anche se lo
desiderate”. Dunque, il Corano autorizza fino a quattro moglie, aggiungendo
però che se si teme di non essere equi si deve limitarsi ad una sola. E più
avanti afferma che non si può essere equi. Bourghiba ne conclude: “In realtà
il Corano voleva garantire la monogamia. Ma tenendo conto della debolezza degli
arabi e delle usanze dell’epoca, ha momentaneamente autorizzato la
poligamia, legandola a una condizione praticamente irraggiungibile”.
Come si vede, un’interpretazione libera permette molti adattamenti. A onor
del vero, va detto che il significato del versetto sul trattare le donne
“essendo equi”, non è nel senso di “uguale giustizia” – come spesso i
musulmani interpretano – ma nel senso degli affetti e della sessualità: il
poligamo doveva dare ad ognuna la stessa parte di godimento sessuale, lo stesso
numero di notti. Chi dice che questo è impossibile, può trovare abbondanti
esempi nella stessa vita di Maometto.
Anche la questione del divorzio ha bisogno d’interpretazione. Un detto di
Maometto afferma che “il divorzio è la più odiata delle cose permesse da
Dio” (al-talāq abghad al-halāl). Ma poi, nella vita di Maometto e in
altri detti si trova il contrario. Quale è la giusta posizione islamica?
La tendenza odierna di alcuni giuristi musulmani è quella di preferire i
diritti umani alla sharia. Lo studioso riformista libico, Mohamed Abdelmottaleb
al-Houni, ad esempio, dice: “Se dobbiamo scegliere tra diritti umani e la sharia, allora dobbiamo preferire i diritti umani”. Ma lui dà questa lettura
degli illuminati, diciamo, dei liberali.
Un altro riformatore che stimo moltissimo, un libanese di nome Ridwān
As-Sayyed, è molto esplicito. Dice: “Le leggi devono essere… in conformità
con i diritti umani, cercando nelle cose private, laddove c’è possibilità di
scelta, di orientarsi verso la sharia. Ma non è un principio, non è una regola
necessaria”.
Altri invece relativizzano la sharia, soprattutto per i musulmani che vivono
in occidente. Tipico esempio è quanto dice Tariq Ramadan, famoso pensatore
musulmano svizzero, nipote di Hassan al-Banna fondatore dei “Fratelli
musulmani”, che in tanti suoi interventi afferma: Noi non possiamo applicare
la sharia tale e quale, per il fatto che non ci troviamo in un Paese
musulmano”. Ramadan parla dell’Europa, dell’Egitto… ma quale Paese può
dirsi davvero musulmano? Perfino l’Arabia Saudita o l’Iran sono criticabili!
In realtà quello di Ramadan è un piccolo trucco giuridico per giustificare la
non applicazione della sharia. C’è infine chi va oltre, come la yemenita
Elham Manea, che insegna all’università di Zurigo, che dice semplicemente che
tutto ciò che nel Corano non corrisponde alla mentalità e ai principi
dell’uomo contemporaneo deve essere lasciato fuori come appartenente alla
mentalità dell’Arabia del settimo secolo.
- Conclusione -
In conclusione, la realtà di una crisi profonda dell’Islam non è negata
da nessuno. Essa è resa ancora più pesante dai conflitti internazionali, che
rischiano di risolvere la crisi con il corto circuito della guerra santa. Ma vi
sono sempre più personalità che additano i problemi interni alla comunità
musulmana.
Il primo problema è l’assenza di una autorità riconosciuta. Si cerca di
aggirare lo scoglio dando valore all’Organizzazione delle nazioni islamiche
(che non hanno alcuna autorità giuridica); oppure ci si affida alle
associazioni dei mufti d’Europa (anch’esse senza autorità).
Il secondo problema è l’ignoranza nel quale il mondo religioso islamico è
caduto. Come riformare tutto questo? Abbiamo visto alcuni tentativi: formare gli
imam; riaprire la porta dell’interpretazione; bloccare la sharia, almeno
“momentaneamente”: per ridurre l’impatto negativo sulla popolazione più
fanatica; riconoscere i diritti umani o almeno cercare di integrarli con i
principi islamici…
In concreto ciò significa problemi di democrazia a livello politico; di
giustizia sociale a livello socioeconomico; di diritto familiare e della donna a
livello di base. Tutti ormai riconoscono che il sistema islamico che copriva
tutti questi campi è sorpassato, non è più gestibile, né gestito.
Essendo sfidato da altre culture, per ritrovare la sua forza, l’Islam
ha bisogno di un rinnovamento interno del suo pensiero. Invece, proprio perché
si sente debole, si protegge richiudendosi in se stesso, pensando di trovare la
salvezza nel ritorno alla “epoca d’oro” dei primi califfi. La storia
musulmana ci insegna il contrario: l’Islam è stato il più forte e
conquistatore quando, nel X secolo, si è aperto ad altre culture, in
particolare alla cultura greca, l’ha assimilata e l’ha sorpassata. Ha così
offerto al mondo un contributo in quasi tutti i settori della conoscenza, dalla
filosofia alla medicina, dalla tecnologia all’astronomia, ecc.
Per uscire dalla crisi nella quale ci troviamo, noi tutti arabi e musulmani,
dobbiamo anzitutto accettare di metterci alla scuola di chi ci ha sorpassato
nelle scienze e nelle arti. Una volta assimilato tutto questo patrimonio,
potremo cominciare a criticarlo e a discernere tra ciò che dobbiamo tenere e ciò
che dobbiamo rigettare. Soprattutto dobbiamo accettare di correre il rischio di
abbandonare equilibri acquisiti, passando attraverso un rigetto di tante cose
per ritrovare un equilibrio nuovo. Ma la paura ci assedia e ci fa mancare di
coraggio. Nella mia gioventù si diceva: “proletari di tutto il mondo,
unitevi per combattere i capitalisti”. Vorrei dire oggi: “Pensatori del
mondo arabo ed islamico, uniamoci per combattere l’oscurantismo e la paura del
diverso!”
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