Situazione dei cristiani n
Turchia... e non solo
Samir Khalil Samir, 2.11.2004
«In
questa Turchia che si presenta come Paese tollerante e democratico, i
cattolici continuano a essere discriminati». Padre Samir Khalil Samir,
gesuita di origine egiziana e tra i massimi conoscitori del mondo
islamico, esorta i politici europei a riflettere bene prima di aprire
le porte dell’Ue al governo Erdogan. Pubblichiamo una sua
intervista.
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Islamista con cattedra
all’Università Saint-Joseph di Beirut e al Pontificio istituto di
studi arabi di Roma, Padre Samir possiede tutti gli elementi necessari
a valutare l’attendibilità della “conversione” europeista di
Ankara, non ultima la lunga esperienza personale di apostolato nelle
difficili terre dominate dalla Mezzaluna.
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Professore, l’Europa ha
rinunciato ad affermare le proprie radici cristiane nella Costituzione
firmata venerdì scorso a Roma e si prepara ad ammettere Ankara nel
consesso dei membri Ue. La prospettiva di questa operazione è una
Turchia più laica o l’islamizzazione del Vecchio Continente?
«C’era un principio medievale che ho imparato in seminario: maxima
extensio, minima comprehensio. Così, più allarghiamo l’Unione
europea, più perdiamo in profondità, in comprensione. E questo è il
risultato della rinuncia a proclamare le radici cristiane
contemporaneamente allargandosi al Paese di Erdogan. Una presenza che
difficilmente si può giustificare, se si pensa all’Europa come a
una realtà, oltre che economica, anche geografica, culturale,
storica. Il problema non è neanche quello di sapere quali siano le
attuali convinzioni religiose degli europei, perché oggi temo che la
tendenza prevalente sarebbe per il disinteresse in materia spirituale,
ma capire che queste radici cristiane, che per oltre 15 secoli hanno
modellato l’Europa, significano ancora molto nel quotidiano.
Significa, ad esempio, affermare il principio della distinzione tra il
fatto giuridico e quello religioso. E in Turchia non è così: la
buona volontà affermata dal governo di Ankara non basta, quando poi
la realtà profonda di quel Paese è molto diversa. Così il passo che
si sta facendo diventa molto rischioso».
Quello turco le sembra un cambiamento di facciata?
«Voglio dire che l’islamizzazione della Turchia è in ripresa da
vent’anni. Lo stesso presidente ha deciso a settembre di ritirare,
dietro le pressioni europee, la legge di penalizzazione
dell’adulterio. Ma questo dimostra quanto il progetto islamizzante
sia presente. C’è sicuramente in corso una lotta tra due tendenze
e, al momento, non si può dire chi ne uscirà vincitore. Tutta
l’Anatolia, cioè grande parte del territorio turco, non ha
assimilato il cambiamento. Lo stile di vita islamico è radicato nella
coscienza della maggior parte della popolazione, che rimane più
mussulmana che europea. Per questo preferisco un atteggiamento
realista nei confronti della Turchia: aspettare gli esiti del progetto
di neutralità religiosa e poi decidere l’ingresso nella Ue».
Per i turchi, quindi, non userebbe la definizione di popolo
islamico moderato?
«Bisogna intendersi. Se usiamo il termine moderato in rapporto al
terrorismo, credo di sì. Se invece significa che ha acquisito la
mentalità laica... questo non si può dire. È anche un problema di
convinzioni diffuse. Da diversi casi a mia conoscenza posso affermare
che, per quanto il Paese si definisca giuridicamente laico, se
qualcuno si converte al cristianesimo va incontro a una vita quasi
impossibile. Così come è praticamente impossibile per un non
mussulmano acquistare un terreno».
La discriminazione dei cattolici è ancora una grave realtà in
Turchia?
«Non dobbiamo valutare alla maniera europea. Dire: ci sono delle
leggi tolleranti e tanto basta. Loro fanno tutto senza tenere conto
dei codici, è un comportamento frequente nel mondo islamico. Le
faccio un esempio. In ottobre mi sono recato ad Ankara dove abbiamo
una piccola comunità con quattro gesuiti. Un confratello, un tedesco,
mi ha spiegato che la loro chiesa deve restare chiusa per la gente del
luogo. Celebrano la Messa soltanto per gli stranieri che lavorano
nelle ambasciate, dietro richiesta esplicita delle autorità. È
venuto un funzionario che ha intimato di non aprirla ai turchi. Per
evitare proteste ufficiali non rilasciano alcuna disposizione scritta,
ma è una pratica quotidiana, verbale».
Stando così le cose, qualcuno ha fatto male i suoi calcoli. Chi
vuole a tutti i costi la Turchia in Europa?
«Esistono degli interessi economici. Inoltre gli Usa spingono anche
perché la Turchia è un loro alleato militare. E qui varrebbe la pena
di ragionare sul ruolo della Nato, di cui Ankara fa parte. Questa
alleanza militare aveva un senso finché si trattava di difenderci
dall’Urss, ma se oggi pretende di proteggerci dal mondo islamico,
allora c’è qualcosa che non quadra. La Nato è intervenuta contro i
Serbi favorendo i kossovari che sono mussulmani, e in più occasioni
ha rinforzato l’islam in contrapposizione all’Est. Mi pare una
politica miope».
È una situazione poco chiara, come non è affatto limpida
l’attitudine “moderata” dei turchi. D’altra parte nel Corano,
che vale per tutti gli islamici, sono presenti molte esortazioni alla
violenza contro i “miscredenti”. Chi è il buon mussulmano, il
combattente o il moderato?
«Nel Corano c’è l’uno e l’altro. L’appello a combattere, con
tutte le minacce per infedeli e miscredenti, appartengono al periodo
di Medina, dal 622 alla morte di Maometto nel ’32, quando egli
comincia a costituire lo Stato islamico. Secondo tradizione abituale
del mondo mussulmano, proprio questi ultimi testi sono i più
decisivi, in quanto si ritiene che alla Mecca il fondatore
dell’islam fosse più debole, non potesse cioè ancora affermare
pienamente il suo progetto politico. Gli intellettuali, invece,
propendono per il periodo meccano, in quanto caratterizzato dalla
rivelazione iniziale, più spirituale: sfortunatamente questa opinione
non è condivisa dalla maggioranza. Insomma, chi è il “buon”
mussulmano”? Entrambi. Non si può dire che Bin Laden sia un cattivo
mussulmano, i suoi riferimenti sono i testi sacri di Maometto e la sua
è l’interpretazioni dell’islam più diffusa».
C’è da temere, allora, anche per l’immigrazione
extracomunitaria. Che ruolo gioca nell’espansione islamica in
Europa?
«Che ci sia gente organizzata per questo progetto mi pare sicuro, non
credo però che tutti quelli che vengono in Europa lo facciano con
questo preciso intento, ma ritengo che in gran parte siano mossi da
ragioni economiche. Il vero problema, dal punto di vista del
fondamentalismo sono gli imam, formati alla dottrina più estremista
in Egitto, con finanziamenti arabi, o direttamente in Arabia Saudita.
E poi farei attenzione agli italiani convertiti all’islam, agli
apostati generalmente mossi da zelo di neofita che spesso sconfina nel
fanatismo».
La minaccia, dunque, esiste. Ma laici e cattolici spesso sembrano
schierati sul fronte nemico. Come ci si potrà difendere?
«I cattolici oggi devono fare i conti con questo sentimentalismo che
sostituisce la conoscenza della nostra fede. A loro dico che non si può
mettere sullo stesso piano l’islam e il cristianesimo. Come posso
credere che Cristo è Parola incarnata e che, però, Maometto è
venuto a correggerlo? Lo posso sostenere se non sono cristiano. La
nostra religione non significa essere gentili con tutti, significa
essere coerenti. Quanto al laicismo... un conto è affermare la libertà,
un altro il libertinaggio. Se si arriva a proclamare il diritto delle
“famiglie” omosessuali, si aiuta la predicazione fondamentalista,
confermando che siamo una società degenerata da disprezzare e
distruggere.
Come difenderci, allora, dall’islam?
Personalmente non
lo temo, so che la mia fede è più profonda. Più in generale dico
che per difendersi occorre dimostrarci più autentici con noi stessi.
Anche se sei ateo, riprendi la tua verità storica: se hai una
tradizione non temi l’islam, se invece non sai chi sei, non hai
radici e appena soffia il vento ti porta via».
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