Secondo p. Samir Khalil Samir, Gesuita
egiziano, docente di storia della cultura araba e di
islamologia presso l’Università Saint-Joseph di Beirut, un certo Islam ha perduto qualunque
legame con la spiritualità e religiosità ed è divenuto un’ideologia
“anti-divina” e “anti-umana”, che cerca solo il potere. La
riflessione che pubblichiamo è tratta da AsiaNews.
I morti alla moschea di Kadhimiyah, preceduti da
un attacco di mortaio rivendicato da un gruppo sunnita legato ad al
Qaeda, manifestano ancora una volta il volto “diabolico” del
terrorismo islamico. Secondo p. Samir Khalil Samir, questo Islam ha perduto qualunque
legame con la spiritualità e religiosità ed è divenuto un’ideologia
“anti-divina” e “anti-umana”, che cerca solo il potere. “Certo
questo movimento rivendica la sua islamicità – afferma il
sacerdote gesuita ad AsiaNews - ma ciò che lo definisce è
la voglia di potere, mischiata con un elemento religioso, in nome di
Dio. L’ideologia marxista era la stessa cosa, ma senza Dio; quella
nazionalista anche: sono tutte delle forme di ideologia dove lo scopo
diviene il potere. Questo è un fatto davvero anti-divino, diabolico,
anche se compiuto in nome di Dio; una cosa anti-umana”.
Questi sono alcuni spunti di riflessione che p. Samir, docente di
storia della cultura araba e di islamologia all’università St Joseph
di Beirut, ha svolto in una serie di conversazioni con AsiaNews su
Islam e occidente. I temi vanno dall’Islam, al terrorismo, al
fondamentalismo e alla chiusura del mondo teologico e sociale musulmano.
Una parte della conversazione è dedicata all’islam europeo e ai
giovani musulmani, legati al fondamentalismo delle scuole coraniche in
Pakistan e in Arabia Saudita. Il sacerdote gesuita offre anche consigli
ai governi e alle società europee su come frenare la pressione dei
fondamentalisti, con le loro richieste sempre più insistenti di
inserire in occidente scuole, moschee, macellerie, abiti “islamici”.
Su tutti spicca poi una disanima dei bisogni profondi
dell’Islam: l’Islam, dice p. Samir, “ha bisogno di un “nuovo
illuminismo”, che separi al suo interno ciò che è religioso da ciò
che è politica. A questo scopo, proprio il dialogo con il cristianesimo
europeo può essere la grande occasione per una vera rinascita religiosa
dell’Islam. (P. Bernardo Cervellera)
I - Terrorismo: la guerra contro islam e occidente
I morti nella folla che fuggiva dalla moschea di Kadhimiyah a
Baghdad, sono stati preceduti dai morti uccisi dai colpi di mortaio e
dalle voci – presunte o diffuse ad arte – di imminenti attacchi
suicidi. Le autorità irakene hanno parlato di “atto terroristico”.
Se leghiamo queste uccisioni a quelle provocate nei molti attacchi
passati in Egitto, in Turchia, in Israele, a Londra, Madrid ci
accorgiamo che il terrorismo prende sempre più di mira i civili, e
soprattutto che esso prende di mira anche i musulmani. Questo è un
fatto che rivela qualcosa che prima era nascosto: il terrorismo islamico
ha come scopo primario quello di rovesciare i governi del mondo islamico
considerati come falsi musulmani, corrotti, occidentalizzati, per creare
questa società modello che sarebbe la società islamica della sharia.
Anche negli anni ’60-’70 gli ideologi pensavano non tanto ad
attaccare l’occidente, ma il mondo islamico e hanno costruito la
teoria di rovesciare i soli governi islamici. Poi, col tempo,
analizzando il legame forte con l’occidente, hanno cominciato una fase
in cui si attaccava principalmente l’occidente. Oggi siamo giunti ad
una fase in cui si attacca tutti, governi islamici e governi
occidentali.
Quello di ieri può essere visto come un attacco del fondamentalismo
wahabita contro gli eretici sciiti. L’odio fra sunniti e sciiti supera
di molto l’odio che può esistere fra cristiani e musulmani.
Questo perché il primo è causato da ragioni strettamente politiche, su
chi doveva prendere il potere del califfato. Questo spiega i tanti
attacchi e distruzioni contro gli sciiti in Iraq e in Pakistan. Ma fa
emergere anche che quello del fondamentalismo è un progetto politico
che vuole realizzarsi eliminando l’avversario.
Prendiamo alcuni casi, come quello di Sharm el Sheikh lo scorso
agosto. In passato ve n’era stato un altro nella stessa zona e un
altro nella zona turistica di Luxor. Si vuole attaccare l’Egitto nel
suo punto debole, l’economia e soprattutto il turismo. Il turismo ha
una doppia funzione: da una parte esso è una fonte primaria di entrate
per il paese; dall’altra fa molta pubblicità, un elemento che i
terroristi cercano sempre. Se ci vanno di mezzo bambini, locali, arabi,
musulmani, a loro non interessa per nulla: il loro terrorismo è ormai
divenuto un’ideologia cieca, senza nessun principio. In partenza si
muovevano in nome dell’Islam, ma ormai cercano solo di prendere il
potere a tutti i costi nell’Islam e in tutto il mondo. Il Corano dice
infatti “Voi siete la comunità più perfetta che vi sia mai stata”.
La loro lotta serve a questo.
Anche in Iraq è la stessa cosa. Fin dall’inizio i terroristi hanno
ucciso 4-5 volte di più irakeni che non americani e la cosa continua.
Perché quello che è importante è fare pubblicità e colpire il
governo, qualunque esso sia, che loro non hanno mai voluto. Dicono che
questi governi non sono voluti dalla gente… Certo, nessun governo è
perfetto, ma la gente li ha votati. Nessuno pensa che Iraq o Egitto sono
dei paesi modello, ma hanno una giustificazione. Forse potrebbero
attaccare con più giustificazione l’Arabia Saudita, che molti
musulmani definiscono “il paese più corrotto del mondo”.
In un certo senso gli occidentali si ingannano quando definiscono
queste persone come “islamiche”. Certo questo movimento rivendica la
sua islamicità, ma ciò che li definisce è prendere il potere,
mischiato con un elemento religioso, in nome di Dio. L’ideologia
marxista era la stessa cosa, ma senza Dio; quella nazionalista anche:
sono tutte delle forme di ideologia dove lo scopo diviene il potere.
Questo è un fatto davvero anti-divino, diabolico, anche se fatta in
nome di Dio; una cosa anti-umana.
Il problema è che i fondamentalisti wahabiti si richiamano a
Maometto e alla sua esperienza di Medina, cioè ad un Islam che fa
tutt’uno con la politica. Bisognerebbe aiutare l’Islam a rileggere
in senso storico e sociologico il Corano, per separare la religione
dalla politica, ma purtroppo questo passo non è accettato che da
un’infima minoranza occidentalizzata.
L’Islam non ha mai fatto la distinzione – tipica del
cristianesimo – fra ciò che è di Cesare e ciò che è di Dio.
Questi gruppi ricercano il potere e utilizzano le motivazioni
religiose, di ortodossia pura, per combattere gli sciiti, i musulmani
occidentalizzati, e gli stessi occidentali. Quando questi gruppi
combattono l’occidente, vi può essere una parvenza di lotta contro
gli infedeli, che molti musulmani giustificano. Quando i fondamentalisti
combattono altri musulmani, le comunità islamiche rimangono senza
parole, in grande ansia e paura.
Una rilettura del Corano, ispirata dall’atteggiamento di Maometto
alla Mecca, all’inizio della sua vocazione, è ormai assolutamente
necessaria per entrare nel mondo moderno.
II - L’Islam condanna la violenza?
Talvolta è solo opportunismo
Il Consiglio dei Musulmani della Gran Bretagna ha
condannato giorni fa il video postumo di Mohammed Siddiq Khan, uno dei
kamikaze degli attentati del 7 luglio a Londra, che hanno portato alla
morte di 56 persone e al ferimento di centinaia.
Nel video, diffuso da Al Jazeera, Khan afferma che gli
attentati di Londra sono una risposta alla politica dei paesi
occidentali che sostengono governi responsabili di crimini contro
l’umanità.
“I vostri governi [d’occidente] eletti in modo democratico
continuano a perpetrare atrocità contro il mio popolo in tutto il
mondo… Finché voi non fermerete i bombardamenti, l’avvelenamento
coi gas, la prigione e la tortura della mia gente, noi non ci
fermeremo”.
Nel video appare anche Ayman al Zawahiri, il numero 2 di al Qaeda,
che difende gli attentati di Londra come “uno schiaffo alla politica
del primo ministro Tony Blair” nei confronti di Cecenia, Afghanistan,
Palestina e Iraq e promette nuovi attacchi per il futuro.
Al Zawahiri accusa anche le personalità musulmane dell’Occidente
per aver condannato con forza gli attacchi di al Qaeda.
In effetti, da un certo punto di vista, il mondo musulmano sembra
risvegliarsi dal torpore e dal silenzio. Negli ultimi mesi le fatwa (i
giudizi islamici) contro gli attentati di Londra, Turchia, Egitto e più
lontano Beslan e Madrid si sono moltiplicate. Ma queste condanne sono da
studiare. Il Consiglio dei Musulmani che ha condannato le parole di
Siddiq Khan, si è subito affrettato ad aggiungere che “la guerra in
Iraq e la nostra politica in Medio Oriente” hanno alimentato “il
radicalismo in una parte della nostra gioventù musulmana”.
L’Islam è davvero “pace e tolleranza”?
Insomma: le reazioni islamiche agli attentati terroristi sono un
po’ goliardiche, sentimentali e opportuniste. Di fronte alla violenza
esercitata da qualche musulmano, il mondo islamico non segue dei
principi chiari, si paralizza, non sa che dire o che fare, oppure si
contraddice. Magari dirà – come è avvenuto – che queste violenze
“non sono Islam”, che “l’Islam è pace e tolleranza”. Ma
questo sappiamo che non è vero: l’Islam può essere anche violento,
perché la fede è mescolata alla politica fin dentro il Libro sacro.
Dire che l’Islam è una religione della pace significa non essere
andati ancora a fondo di una riflessione sulla legittimità o meno della
violenza.
Per questo io trovo che le condanne – che tanto dispiacciono ad al
Zawahiri – sono spesso soltanto un gesto di opportunismo politico, più
che la convinzione profonda e assoluta della malvagità fondamentale del
terrorismo. Quando sentiamo “l’Islam è pace”, non abbiamo davanti
dei pacifisti islamici, ma degli opportunisti che temono la forte
reazione anti-islamica dell’Occidente. Attualmente i musulmani sono
preoccupati della diffusa islamofobia e per questo si affrettano a
condannare gli atti terroristi, ma lo fanno per proteggere l’Islam
stesso e domani, quegli stessi che oggi parlano, potrebbero tacere di
fronte ad altri misfatti.
I nostri fratelli musulmani non si accorgono che l’islamofobia
nasce proprio da questo atteggiamento ambiguo del mondo islamico che a
scatola chiusa difende la politica dei musulmani e trova sempre
nell’Occidente qualcosa da condannare.
Occorre che il mondo islamico superi anche l’amore del
correligionario in nome di alcuni principi. Anche per me è lo stesso:
l’amore alla Chiesa non può oscurare l’amore alla verità o alla
giustizia.
È necessario che anche l’Islam impari a condannare le proprie
devianze, a fare la sua autocritica. Ma manca il coraggio di farlo. Al
Zawahiri si lamenta del troppo chiasso fatto dagli studiosi islamici. Ma
quando gli intellettuali musulmani intervengono a condannare senza mezzi
termini la violenza? Quasi mai.
La radice della violenza: mescolare religione e politica
Ma bisogna avere il coraggio di dire che la radice della violenza
nell’Islam è la mescolanza fra politica e religione. Questo intreccio
spiega perché il mondo musulmano, in nome dell’Islam, difende il
terrorismo palestinese: questa è la più grande violenza che si possa
fare contro la Palestina, perchè rende sempre più difficile la
soluzione del problema palestinese.
Va detto per inciso che è inaccettabile anche una difesa di Israele
a partire dalla religione o dalla Bibbia; o una difesa delle violenze
dei cristiani a partire dalla fede.
È necessario aiutare l’Islam a separare la religione e la
politica. E l’Occidente può farlo frenando tutte quelle richieste
islamiche fondamentaliste che si fanno in Europa sul velo, la carne
halal (lecita), la libertà di insegnamento islamico e la libertà delle
moschee.
Tutte queste richieste sono infatti delle richieste politiche, con
un’apparenza religiosa.
Dietro la richiesta di libertà di portare il velo vi è una
rivendicazione politica. Portare il velo è un segno di affermazione di
identità islamica per dire : noi siamo qui, siamo visibili, siamo
forti, guardate! Ciò non nega che ci sia anche un vero sentimento
religioso o une reazione sincera contro la troppa libertà di costumi
dell’Occidente.
In diversi paesi occidentali il fondamentalismo ha lanciato la
campagna per la carne halal.
Sempre più i musulmani fanno la richiesta che in tutti i luoghi
(ristoranti, mense, refezione scolastica, ospedali,…) sia possibile
avere carne halal (macellata secondo i criteri islamici). Essi la
esigono come un’espressione della libertà di religione: “ognuno ha
il diritto di mangiare secondo la sua religione”. Ma il Corano dice
letteralmente: “La carne della gente del Libro [ebrei e cristiani] è halal
per voi” (Corano 5,5). Tutte le fatwa finora diffuse dicono che i
musulmani possono mangiare la carne preparata dai cristiani, perché la
loro carne è halal. Ma il fondamentalismo, nel tentativo di creare
problemi all’Occidente, va in senso contrario. Esso spinge i fedeli ad
esigere un elemento distintivo della religione, per fare pressioni in
senso politico sui governi. Di fatto queste richieste sono una specie di
terrorismo, una forma di terrorismo culturale di una parte dei cittadini
per ottenere una islamizzazione culturale della gente.
Dopo gli attentati di Londra il governo britannico e in parte anche
quello italiano, hanno posto dei limiti e dei controlli
all’insegnamento islamico e alla vita delle moschee. Tutto ciò è
molto positivo perché il fondamentalismo nasce proprio dalle scuole e
dalla predicazione nelle moschee.
L’Occidente ha spesso fatto un errore fatale, credendo che la moschea
sia solo un luogo religioso, come una chiesa. In realtà la moschea è
anche un luogo dove si fa politica, si discutono problemi, ecc: è una
specie di agorà della comunità islamica. Per questo è necessario
controllare che in questi luoghi non si inneggi alla violenza e
all’indottrinamento fanatico. La storia ci dice che il terrorismo
parte sempre dalle moschee: l’Intifada è nata dalla moschea di Al
Aqsa; le guerre sono partite dalle moschee al venerdì. Per questo è
ragionevole controllare gli insegnamenti che si fanno in questi luoghi,
dove in nome dell’Islam si creano in realtà delle trame politiche
pericolose. Tale controllo, del resto, esiste in tutti i paesi musulmani.
III - Terrorismo islamico: frutto
dell’insegnamento delle madrassah
Il terrorismo non è un risultato imprevisto
nell’Islam, ma il frutto diretto dell’insegnamento che avviene nelle
madrassah, nelle scuole tradizionali. E non solo perché molte scuole
addestrano al terrore e alla guerriglia, ma soprattutto perché educano al
fondamentalismo. Esse presentano la religione come la soluzione a tutti i
problemi e guardano al mondo e all’occidente in modo massimalista
e radicale, per cui l’unica via di uscita è lo jihad, la distruzione
dell’occidente e di tutto ciò che sembra cospirare contro la religione.
Se si vuol lottare contro il terrorismo, occorre impegnarsi per
cambiare il processo educativo tradizionalista che viene dato agli imam e
che questi diffondono nel mondo.
Mi è capitato di incontrare un famoso imam, quello del Qatar, Yusuf
Qaradawi: è una persona intelligente e buona, aperta al dialogo coi
cristiani. Anch’egli però presenta molti elementi integralisti. Fra
l’altro, con molta tranquillità, egli giustifica gli attentati
terroristi contro la popolazione israeliana. L’imam Qaradawi è
ascoltato tutti i giorni alla televisione del Qatar, per oltre un’ora,
diffondendo questa sua mentalità. Come lui, migliaia di imam giungono a
insegnare senza molta preparazione e senza assimilazione delle scienze
umane.
Islam: senza autorità, senza laicità
Nell’insegnamento islamico vi sono due problemi: anzitutto
nell’Islam non vi è una unica autorità centrale riconosciuta. Nemmeno
al-Ahzar, l’illustre università del Cairo, è riconosciuta da tutti.
Così gli imam e i mufti (quelli che lanciano le fatwa, le
decisioni giuridiche) si moltiplicano a migliaia. Basta che uno abbia
studiato un po’ il Corano, per autoproclamarsi mufti. Una volta, 30 anni
fa, non era così: ogni paese aveva al massimo un mufti riconosciuto da
tutta la nazione. Oggi invece tutti gli imam si autoproclamano mufti e
hanno i loro seguaci.
L’altro problema è l’insegnamento fatto dagli ulema (i dotti, i
sapienti). In realtà questi ulema sono “sapienti” solo in un piccolo
campo: hanno imparato il Corano a memoria, hanno imparato migliaia di
detti attribuiti a Maometto; hanno imparato a memoria migliaia di
risposte giuridiche di tantissimi imam. Ma non hanno mai studiato
matematica, sociologia, psicologia, letterature straniere, e non sono
capaci di leggere un libro in una lingua occidentale. La storia si limita
al mondo islamico; lo studio delle religioni è solo in funzione di cosa
rispondere se l’Islam viene criticato. È uno studio molto ristretto e
chiuso in se stesso. La stessa università di al-Ahzar e tutte le altre
nel mondo sono segnate da questa chiusura. Essi sono perciò incapaci di
analizzare le culture dell’occidente, incapaci di comprendere altre
situazioni diverse da quelle dove l’islam è maggioranza. E
infine, sono incapaci di capire il mondo musulmano europeo: i loro criteri
valgono solo per un mondo islamico dove tutti sono musulmani. Riescono a
comprendere solo questo tipo di situazione medievale. Una società come la
Turchia (laica) non la comprendono. Essi vogliono quindi etichettare tutto
come islamico: la banca, la politica, la scienza, la medicina, ecc.
Quando questi imam arrivano in occidente, più del 90% di quelli in
esercizio in Europa occidentale, non parlano la lingua del paese dove
sono: parlano solo arabo, o turco, ecc.. Essi sono fuori della cultura del
paese dove pur vivono. Cosa possono dunque dire ai giovani musulmani nati
in Inghilterra, Francia, Germania? Possono solo riproporre il sistema
medievale, magari aggiornato, ma non potranno lavorare a modernizzare
l’Islam, riproponendo la frattura fra la religione e la società
moderna.
Non c’è legame fra gli studi normali che fa un giovane occidentale e
lo studio che fanno i loro imam . É come se i sacerdoti cattolici
volessero evangelizzare il mondo avendo studiato solo la Bibbia partendo
dai commenti antichi.
Il disagio dei giovani e il fondamentalismo
Questo spiega come mai dei giovani, educati dentro la modernità hanno
compiuto i gesti terroristi a Londra. La maggior parte di essi erano e
sono ragazzi normali, nati in Gran Bretagna. Poi, un disagio interiore li
ha portati vicino a chi predica il fondamentalismo. Dalla Gran Bretagna
sono andati in Pakistan per essere educati in una madrassah
(scuola). In pratica sono stati educati al fondamentalismo. Tutti dicono:
questo è un loro diritto. Ma analizzando questo insegnamento classico
musulmano, si comprende che la radice del terrorismo è proprio il tipo di
educazione che queste madrassah offrono.
Lo ripeto: la radice del terrorismo è il tipo di educazione che essi
danno, l’insegnamento religioso musulmano tradizionale, il più diffuso.
Nelle madrassah, nell’insegnamento islamico, l’insoddisfazione
tipica di ogni giovane trova una risposta immediata e facile nella
religione. Di fronte a problemi sociologici, culturali, psicologici, il
mondo islamico non ha altra risposta che la risposta religiosa. Ad
esempio, invece di analizzare un problema dal punto di vista politico,
invece di lottare, magari insieme a cristiani ed atei, per far emergere la
giustizia, diranno: facciamo la lotta in nome dell’islam.
Sotto questa influenza, i giovani abituati prima a vestire
all’occidentale, cambiano vestito, prendono il vestito bianco, il
copricapo in testa e si lasciano crescere la barba. Sono altrettanti simboli
di un cambiamento di mentalità, di un rigetto dell’occidente e di un
disagio identitario e spirituale. Fino a 30 anni fa questo non succedeva,
oggi sì. E chi prende questi simboli, significa che è entrato in un modo
di pensare fondamentalista, letteralista, capace di essere manipolato.
Anche il pellegrinaggio alla Mecca è un luogo di indottrinamento al
fondamentalismo.
Ho conosciuto alcune signore musulmane che erano molto integrate nella
società europea: si vestivano all’occidentale, si truccavano, andavano
con il capo scoperto. Dopo il pellegrinaggio alla Mecca ritornano e si
coprono col velo, si vestono col chador, chiedono carne halal…
Nel mondo islamico, uscire dai quadri religiosi previsti dalla comunità
è difficile, ma è necessario farlo.
La distinzione fra secolare e religioso
È necessario lavorare perché nel mondo islamico sia presente la
laicità. Essa è conosciuta al massimo da qualche musulmano educato nella
cultura occidentale. In generale, nel mondo islamico la laicità non
esiste. In arabo abbiamo la parola “laicità”, ‘almâniyya,
neologismo coniato dai cristiani arabi, ma molto spesso la si confonde con
“ateismo”.
Occorre affermare la laicità anzitutto nella lettura del Corano.
Nel mio insegnamento all’università St Joseph a Beirut, ho insegnato
più volte un corso su Bibbia e Corano. Ai miei studenti ho detto:
studiamo questi libri come dei documenti storici, dal punto di vista
storico, filologico, ecc. Con i cristiani si riesce; ma con i musulmani è
quasi impossibile.
Tutto questo rende difficile la comprensione storica del Corano e
l’afferrare il significato originale (all’origine) delle parole.
Faccio qualche esempio. Tutti sanno che la parola “paradiso” è di
origine persiana, ma per gli studenti islamici e gli imam questa
conclusione è inaccettabile. La parola Evangelo deriva dal greco, ma per
gli studenti musulmani e i loro imam è inaccettabile: per loro il Corano
è disceso direttamente da Dio e non può avere “incrostazioni” umane
o storiche. Così, se nel Corano si trova una redazione del racconto
dell’annuncio a Maria, per i musulmani è impossibile dedurre
un’influenza del mondo cristiano sul Corano. E se le due redazioni si
contraddicono in qualche punto, quella del Corano è senz’altro più
giusta perché “è stata rivelata da Dio in modo completo”.
L’unico modo di uscirne è di affermare che il Corano è un documento
storico, scritto da un essere umano, magari ispirato religiosamente.
Per questo io dico sempre che i musulmani hanno bisogno di un
illuminismo, cioè di una rivoluzione del pensiero che affermi il valore
delle realtà mondane per sé, staccato dalla religione, anche se non in
opposizione. In Egitto gli studiosi stanno pubblicando da una
trentina di anni una collana chiamata al-Tanwîr, l’illuminismo,
nella speranza di cambiare un pochino le mentalità, ma l’influenza di
al-Ahzar e dei mullah è ancora troppo forte.
Parlando dell’illuminismo, è chiaro che parliamo di un illuminismo
che non rinnega l’elemento religioso. D’altra parte forse in occidente
è stato necessario passare attraverso il secolarismo per ritrovare un
nuovo equilibrio. Ormai in occidente la Chiesa non è vista come un
nemico, ma come un elemento che contribuisce alla civiltà. E mentre c’è
un umanesimo cristiano, riconosciuto anche da persone atee, non c’è
umanesimo islamico. Se non si arriva a un umanesimo islamico, la distanza
fra mondo moderno e mondo musulmano diverrà un abisso.
Nel mondo islamico c’è una modernizzazione tecnologica, scientifica,
ma questa non porta a un umanesimo moderno. Molti terroristi sono persone
di una certa levatura culturale; fra essi vi sono medici, professionisti;
ingegneri elettronici… Hanno una grande cultura scientifica o
tecnologica, ma non hanno costruito un legame fra la loro scienza e la
religione. Essi prendono dall’occidente il frutto, la tecnologia, ma non
si confrontano con il processo che ha generato quel frutto. Il frutto
occidentale della tecnologia viene da un passaggio secolarizzante prima
attraverso il cristianesimo, poi mediante il razionalismo e
l’illuminismo. I musulmani accettano la tecnologia, ma non accettano la
distinzione fra secolare e religioso. E questo è un errore, perché non
genera un movimento di autocritica e di liberazione.
Se i musulmani scoprono questa distinzione, allora potrebbero dialogare
con l’occidente, criticarlo, discernere ciò che vi è buono e ciò che
è da rifiutare. Invece, la mancanza di questa distinzione spinge al
rifiuto totale dell’occidente e al programma della sua distruzione.
Senza recuperare laicità e distinzione fra secolare e religioso,
l’Islam è condannato all’oscurantismo.
IV. Islam e
cristianesimo: incontro-scontro, ma anche conversione
Pochi giorni fa abbiamo
ricordato l’attacco delle Torri Gemelle a New York, avvenuto l’11
settembre 2001. Per molti, questo tragico avvenimento segna
l’emergere di un conflitto fra civiltà, fra Islam e occidente, fra
Islam e cristianesimo.
La guerra delle
civiltà
Esiste una guerra di
civiltà? È in atto una guerra dell’Islam contro il cristianesimo?
Da quando Samuel
Huntington ha scritto il suo libro (“Il conflitto delle
civilizzazioni”), sembra che si può essere solo pro o contro lo
scontro di civiltà. È chiaro che il mondo occidentale è una civiltà;
il mondo islamico è anche una civiltà. Io dico che uno scontro fra
civiltà è sempre esistito.
Il punto è che nel
mondo terrorista, la parola “scontro” è divenuta sinonimo di
“guerra”.
I fondamentalisti
musulmani definiscono gli occidentali “crociati”. Questa parola
viene dall’uso che se ne fa in Arabia Saudita, dove
“occidentale” e “crociato” sono sinonimi. Fino a 15 anni
fa questi termini erano usati solo là. Il fondamentalismo islamico
presenta lo scontro fra civiltà come uno scontro religioso: islam
contro i cristiani.
Ma possiamo definire
l’occidente come “cristiano”? Non credo. Anzitutto perché lo
stesso occidente rifiuta di definirsi tale. Esso è frutto del
cristianesimo, ma attualmente la società occidentale prende le
distanze da esso.
Per questo la risposta
dell’occidente non può definirsi come una guerra del cristianesimo
contro l’Islam. Ma la risposta dell’occidente non può essere
nemmeno una guerra contro l’Islam. Occorre far guerra al terrorismo,
al fondamentalismo islamico, ma non contro l’Islam. In alcuni gruppi
italiani e americani vedo la tendenza a voler assimilare troppo
facilmente l’Islam come un’anti-civiltà cristiana, e questo è
sbagliato.
L’incontro e lo
scontro
Occorre invece
potenziare uno scontro, un confronto, un dibattito, una critica verso
l’Islam.
Per me c’è uno
scontro, come c’è scontro fra tutte le culture: islamica, cinese,
indiana… Ma questo scontro può anche trasformarsi in un incontro,
in un arricchimento reciproco. Nella storia le civiltà si sono sempre
incontrate e scontrate. Vi sono sempre stati e gli uni e gli altri.
Questo non è tragico: tutti i gruppi quando si incontrano prendono
qualcosa e rigettano qualcosa d’altro.
Il rapporto,
l’incontro-scontro va fatto in verità e chiarezza. Non si può non
dire che nell’islam c’è un seme di violenza nel Corano, accanto a
un seme di pace. E va pure detto a chiare lettere che i semi di
violenza sono stati più coltivati di quelli di pace. Purtroppo alcuni
intellettuali cattolici, per “rispetto” all’Islam, nascondono
questo elemento e non fanno un servizio né all’Islam, né alla
verità.
Qualcuno dirà: ma
anche nei cristiani vi sono semi di violenza. È vero, ma la violenza
espressa dai cristiani, non è teorizzata nel Vangelo. Nell’Islam
invece è proprio il libro fondatore della religione che presenta
questi semi.
Per purificare il
messaggio del Corano, i musulmani dovrebbero distinguere fra il nucleo
originario del libro (della Mecca) e quello seguente (di Medina). Ma
per fare questo – come abbiamo già visto nelle puntate precedenti
– occorre studiare il Corano come un libro storico, assimilare la
distinzione occidentale fra laicità e religione, fra modernità e
fede.
Un islam
occidentalizzato
Io sono convinto che la
speranza per il mondo islamico può venire solo da un islam che è
stato acculturato in occidente, e precisamente in Europa.
L’unica via perché
l’Islam abbia un posto nel mondo moderno è che assimili la modernità
con il suo spirito critico e la sua distinzione tra religione e
politica, ragione e sentimenti, ecc., in un senso che si
occidentalizzi, senza rinnegare la fede. Vi sono molti musulmani che
si occidentalizzano, ma arrivano fino a un certo punto. Non capiscono
che la fede va difesa con una decisione interiore. Purtroppo se
questi musulmani non riescono a fare la sintesi fra islam e modernità,
all’arrivo di un imam fondamentalista, seguiranno quello.
Ma quale occidente potrà
aiutare l’Islam a modernizzarsi?
Una parte
dell’occidente respira verso il mondo musulmano un atteggiamento di
totale chiusura. In risposta alle violenze islamiche a cui si assiste
nel mondo, ci si chiude ad ogni dialogo e i musulmani sono ricacciati
nel fondamentalismo.
Vi è poi l’occidente
ateo. Ma se i musulmani trovano solo un aiuto fra gli atei, da coloro
che dicono che la religione non c’entra, essi lo rifiuteranno.
Ma se i musulmani
trovano degli occidentali cristiani, per i quali la religione è il
punto di forza proprio per assimilare la modernità, allora è
possibile che anch’essi siano spinti a trovare una loro strada di
integrazione. Un cristiano che fa armonia fra modernità e fede, può
aiutare un musulmano a fare questa armonia.
Tengo a precisare che
non si deve escludere anche un’altra via. Se un musulmano non riesce
a fare la sintesi fra la sua fede e la modernità, potrebbe anche
decidere di diventare cristiano. Nell’incontro coi cristiani, i
musulmani scoprono che il cristianesimo, a causa dell’Incarnazione,
ha unito il cielo e la terra, il divino e l’umano, la cultura
religiosa e la cultura scientifica. L’Incarnazione suggerisce anche
che non vi è opposizione fra il divino e l’umano: vi possono essere
difficoltà, ma non impossibilità alla sintesi.
La conversione al
cristianesimo
In realtà oggi un
giovane musulmano si trova da solo in questo dilemma: o essere un
occidentale ateo, o essere un musulmano che rigetta l’occidente.
Invece è possibile anche una terza via: diventare cristiano. Una
conversione al cristianesimo è una cosa auspicabile, una scelta degna
e piena di valore. Purtroppo vedo in personalità del clero e perfino
in alcuni vescovi il timore a pensare una cosa simile, escludendola
dalle possibilità, in nome di un falso rispetto religioso. È come se
preti e vescovi non capissero che il cristianesimo è la pienezza del
cammino di ogni religione. Proprio il rispetto dell’altro, l’amore
alla sua fatica a vivere la fede nel mondo moderno, mi spinge ad
annunciargli il Vangelo.
Anzitutto io cercherò
di aiutare il musulmano a fare la sintesi fra modernità e fede nella
sua fede islamica; ma se questo non succede, se questo è troppo
difficile, posso anche proporre la via cristiana. Non esiste soltanto
il rigetto della modernità in nome della religione, o il rigetto
della fede in nome della modernità: esiste anche la via della sintesi
offerta dal cristianesimo e testimoniata dai cristiani.
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[Fonte: AsiaNews settembre 2005]