Fondamentalismo: diabolica unità tra religione e politica

Secondo p. Samir Khalil Samir, Gesuita egiziano, docente di storia della cultura araba e di islamologia presso l’Università Saint-Joseph di Beirut, un certo Islam ha perduto qualunque legame con la spiritualità e religiosità ed è divenuto un’ideologia “anti-divina” e “anti-umana”, che cerca solo il potere. La riflessione che pubblichiamo è tratta da AsiaNews.


I morti alla moschea di Kadhimiyah, preceduti da un attacco di mortaio rivendicato da un gruppo sunnita legato ad al Qaeda, manifestano ancora una volta il volto “diabolico” del terrorismo islamico. Secondo p. Samir Khalil Samir, questo Islam ha perduto qualunque legame con la spiritualità e religiosità ed è divenuto un’ideologia “anti-divina” e “anti-umana”, che cerca solo il potere. “Certo questo movimento rivendica la sua islamicità  – afferma il sacerdote gesuita ad AsiaNews -  ma ciò che lo definisce è la voglia di potere, mischiata con un elemento religioso, in nome di Dio. L’ideologia marxista era la stessa cosa, ma senza Dio; quella nazionalista anche: sono tutte delle forme di ideologia dove lo scopo diviene il potere. Questo è un fatto davvero anti-divino, diabolico, anche se compiuto in nome di Dio; una cosa anti-umana”.

Questi sono alcuni spunti di riflessione che p. Samir, docente di storia della cultura araba e di islamologia all’università St Joseph di Beirut, ha svolto in una serie di conversazioni con AsiaNews su Islam e occidente. I temi vanno dall’Islam, al terrorismo, al fondamentalismo e alla chiusura del mondo teologico e sociale musulmano. Una parte della conversazione è dedicata all’islam europeo e ai giovani musulmani, legati al fondamentalismo delle scuole coraniche in Pakistan e in Arabia Saudita. Il sacerdote gesuita offre anche consigli ai governi e alle società europee su come frenare la pressione dei fondamentalisti, con le loro richieste sempre più insistenti di inserire in occidente scuole, moschee, macellerie, abiti “islamici”.

Su tutti spicca poi una  disanima dei bisogni profondi dell’Islam: l’Islam, dice p. Samir, “ha bisogno di un “nuovo illuminismo”, che separi al suo interno ciò che è religioso da ciò che è politica. A questo scopo, proprio il dialogo con il cristianesimo europeo può essere la grande occasione per una vera rinascita religiosa dell’Islam. (P. Bernardo Cervellera)

I - Terrorismo: la guerra contro islam e occidente

I morti nella folla che fuggiva dalla moschea di Kadhimiyah a Baghdad, sono stati preceduti dai morti uccisi dai colpi di mortaio e dalle voci – presunte o diffuse ad arte – di imminenti attacchi suicidi. Le autorità irakene hanno parlato di “atto terroristico”. Se leghiamo queste uccisioni a quelle provocate nei molti attacchi passati in Egitto, in Turchia, in Israele, a Londra, Madrid ci accorgiamo che il terrorismo prende sempre più di mira i civili, e soprattutto che esso prende di mira anche i musulmani. Questo è un fatto che rivela qualcosa che prima era nascosto: il terrorismo islamico ha come scopo primario quello di rovesciare i governi del mondo islamico considerati come falsi musulmani, corrotti, occidentalizzati, per creare questa società modello che sarebbe la società islamica della sharia.

Anche negli anni ’60-’70 gli ideologi pensavano non tanto ad attaccare l’occidente, ma il mondo islamico e hanno costruito la teoria di rovesciare i soli governi islamici. Poi, col tempo, analizzando il legame forte con l’occidente, hanno cominciato una fase in cui si attaccava principalmente l’occidente. Oggi siamo giunti ad una fase in cui si attacca tutti, governi islamici e governi occidentali.

Quello di ieri può essere visto come un attacco del fondamentalismo wahabita contro gli eretici sciiti. L’odio fra sunniti e sciiti supera di molto l’odio che può esistere fra cristiani  e musulmani. Questo perché il primo è causato da ragioni strettamente politiche, su chi doveva prendere il potere del califfato. Questo spiega i tanti attacchi e distruzioni contro gli sciiti in Iraq e in Pakistan. Ma fa emergere anche che quello del fondamentalismo è un progetto politico che vuole realizzarsi eliminando l’avversario.

Prendiamo alcuni casi, come quello di Sharm el Sheikh lo scorso agosto. In passato ve n’era stato un altro nella stessa zona e un altro nella zona turistica di Luxor. Si vuole attaccare l’Egitto nel suo punto debole, l’economia e soprattutto il turismo. Il turismo ha una doppia funzione: da una parte esso è una fonte primaria di entrate per il paese; dall’altra fa molta pubblicità, un elemento che i terroristi cercano sempre. Se ci vanno di mezzo bambini, locali, arabi, musulmani, a loro non interessa per nulla: il loro terrorismo è ormai divenuto un’ideologia cieca, senza nessun principio. In partenza si muovevano in nome dell’Islam, ma ormai cercano solo di prendere il potere a tutti i costi nell’Islam e in tutto il mondo. Il Corano dice infatti “Voi siete la comunità più perfetta che vi sia mai stata”. La loro lotta serve a questo.

Anche in Iraq è la stessa cosa. Fin dall’inizio i terroristi hanno ucciso 4-5 volte di più irakeni che non americani e la cosa continua. Perché quello che è importante è fare pubblicità e colpire il governo, qualunque esso sia, che loro non hanno mai voluto. Dicono che questi governi non sono voluti dalla gente… Certo, nessun governo è perfetto, ma la gente li ha votati. Nessuno pensa che Iraq o Egitto sono dei paesi modello, ma hanno una giustificazione. Forse potrebbero attaccare con più giustificazione l’Arabia Saudita, che molti musulmani definiscono “il paese più corrotto del mondo”.

In un certo senso gli occidentali si ingannano quando definiscono queste persone come “islamiche”. Certo questo movimento rivendica la sua islamicità, ma ciò che li definisce è prendere il potere, mischiato con un elemento religioso, in nome di Dio. L’ideologia marxista era la stessa cosa, ma senza Dio; quella nazionalista anche: sono tutte delle forme di ideologia dove lo scopo diviene il potere. Questo è un fatto davvero anti-divino, diabolico, anche se fatta in nome di Dio; una cosa anti-umana.

Il problema è che i fondamentalisti wahabiti si richiamano a Maometto e alla sua esperienza di Medina, cioè ad un Islam che fa tutt’uno con la politica. Bisognerebbe aiutare l’Islam a rileggere in senso storico e sociologico il Corano, per separare la religione dalla politica, ma purtroppo questo passo non è accettato che da un’infima minoranza occidentalizzata.

L’Islam non ha mai fatto la distinzione – tipica del cristianesimo – fra ciò che è di Cesare e ciò che è di Dio.

Questi gruppi ricercano il potere e utilizzano le motivazioni religiose, di ortodossia pura, per combattere gli sciiti, i musulmani occidentalizzati, e gli stessi occidentali. Quando questi gruppi combattono l’occidente, vi può essere una parvenza di lotta contro gli infedeli, che molti musulmani giustificano. Quando i fondamentalisti combattono altri musulmani, le comunità islamiche rimangono senza parole, in grande ansia e paura.

Una rilettura del Corano, ispirata dall’atteggiamento di Maometto alla Mecca, all’inizio della sua vocazione, è ormai assolutamente necessaria per entrare nel mondo moderno.

II - L’Islam condanna la violenza? Talvolta è solo opportunismo

Il Consiglio dei Musulmani della Gran Bretagna ha condannato giorni fa il video postumo di Mohammed Siddiq Khan, uno dei kamikaze degli attentati del 7 luglio a Londra, che hanno portato alla morte di 56 persone e al ferimento di centinaia.

Nel video, diffuso da Al Jazeera,  Khan afferma che gli attentati di Londra sono una risposta alla politica dei paesi occidentali che sostengono governi responsabili di crimini contro l’umanità.

“I vostri governi [d’occidente] eletti in modo democratico continuano a perpetrare atrocità contro il mio popolo in tutto il mondo… Finché voi non fermerete i bombardamenti, l’avvelenamento coi gas, la prigione e la tortura della mia gente, noi non ci fermeremo”.

Nel video appare anche Ayman al Zawahiri, il numero 2 di al Qaeda, che difende gli attentati di Londra come “uno schiaffo alla politica del primo ministro Tony Blair” nei confronti di Cecenia, Afghanistan, Palestina e Iraq e promette nuovi attacchi per il futuro.

Al Zawahiri accusa anche le personalità musulmane dell’Occidente per aver condannato con forza gli attacchi di al Qaeda.

In effetti, da un certo punto di vista, il mondo musulmano sembra risvegliarsi dal torpore e dal silenzio. Negli ultimi mesi le fatwa (i giudizi islamici) contro gli attentati di Londra, Turchia, Egitto e più lontano Beslan e Madrid si sono moltiplicate. Ma queste condanne sono da studiare. Il Consiglio dei Musulmani che ha condannato le parole di Siddiq Khan, si è subito affrettato ad aggiungere che “la guerra in Iraq e la nostra politica in Medio Oriente” hanno alimentato “il radicalismo in una parte della nostra gioventù musulmana”.

L’Islam è davvero “pace e tolleranza”?

Insomma: le reazioni islamiche agli attentati terroristi sono un po’ goliardiche, sentimentali e opportuniste. Di fronte alla violenza esercitata da qualche musulmano, il mondo islamico non segue dei principi chiari, si paralizza, non sa che dire o che fare, oppure si contraddice. Magari dirà – come è avvenuto – che queste violenze “non sono Islam”, che “l’Islam è pace e tolleranza”. Ma questo sappiamo che non è vero: l’Islam può essere anche violento, perché la fede è mescolata alla politica fin dentro il Libro sacro. Dire che l’Islam è una religione della pace significa non essere andati ancora a fondo di una riflessione sulla legittimità o meno della violenza.

Per questo io trovo che le condanne – che tanto dispiacciono ad al Zawahiri – sono spesso soltanto un gesto di opportunismo politico, più che la convinzione profonda e assoluta della malvagità fondamentale del terrorismo. Quando sentiamo “l’Islam è pace”, non abbiamo davanti dei pacifisti islamici, ma degli opportunisti che temono la forte reazione anti-islamica dell’Occidente. Attualmente i musulmani sono preoccupati della diffusa islamofobia e per questo si affrettano a condannare gli atti terroristi, ma lo fanno per proteggere l’Islam stesso e domani, quegli stessi che oggi parlano, potrebbero tacere di fronte ad altri misfatti.

I nostri fratelli musulmani non si accorgono che l’islamofobia nasce proprio da questo atteggiamento ambiguo del mondo islamico che a scatola chiusa difende la politica dei musulmani e trova sempre nell’Occidente qualcosa da condannare.

Occorre che il mondo islamico superi anche l’amore del correligionario in nome di alcuni principi. Anche per me è lo stesso: l’amore alla Chiesa non può oscurare l’amore alla verità o alla giustizia.

È necessario che anche l’Islam impari a condannare le proprie devianze, a fare la sua autocritica. Ma manca il coraggio di farlo. Al Zawahiri si lamenta del troppo chiasso fatto dagli studiosi islamici. Ma quando gli intellettuali musulmani intervengono a condannare senza mezzi termini la violenza? Quasi mai.

La radice della violenza: mescolare religione e politica

Ma bisogna avere il coraggio di dire che la radice della violenza nell’Islam è la mescolanza fra politica e religione. Questo intreccio spiega perché il mondo musulmano, in nome dell’Islam, difende il terrorismo palestinese: questa è la più grande violenza che si possa fare contro la Palestina, perchè rende sempre più difficile la soluzione del problema palestinese.

Va detto per inciso che è inaccettabile anche una difesa di Israele a partire dalla religione o dalla Bibbia; o una difesa delle violenze dei cristiani a partire dalla fede.

È necessario aiutare l’Islam a separare la religione e la politica. E l’Occidente può farlo frenando tutte quelle richieste islamiche fondamentaliste che si fanno in Europa sul velo, la carne halal (lecita), la libertà di insegnamento islamico e la libertà delle moschee.

Tutte queste richieste sono infatti delle richieste politiche, con un’apparenza religiosa.

Dietro la richiesta di libertà di portare il velo vi è una rivendicazione politica. Portare il velo è un segno di affermazione di identità islamica per dire : noi siamo qui, siamo visibili, siamo forti, guardate! Ciò non nega che ci sia anche un vero sentimento religioso o une reazione sincera contro la troppa libertà di costumi dell’Occidente.

In diversi paesi occidentali il fondamentalismo ha lanciato la campagna per la carne halal.

Sempre più i musulmani fanno la richiesta che in tutti i luoghi (ristoranti, mense, refezione scolastica, ospedali,…) sia possibile avere carne halal (macellata secondo i criteri islamici). Essi la esigono come un’espressione della libertà di religione: “ognuno ha il diritto di mangiare secondo la sua religione”. Ma il Corano dice letteralmente: “La carne della gente del Libro [ebrei e cristiani] è halal per voi” (Corano 5,5). Tutte le fatwa finora diffuse dicono che i musulmani possono mangiare la carne preparata dai cristiani, perché la loro carne è halal. Ma il fondamentalismo, nel tentativo di creare problemi all’Occidente, va in senso contrario. Esso spinge i fedeli ad esigere un elemento distintivo della religione, per fare pressioni in senso politico sui governi. Di fatto queste richieste sono una specie di terrorismo, una forma di terrorismo culturale di una parte dei cittadini per ottenere una islamizzazione culturale della gente.

Dopo gli attentati di Londra il governo britannico e in parte anche quello italiano, hanno posto dei limiti e dei controlli all’insegnamento islamico e alla vita delle moschee. Tutto ciò è molto positivo perché il fondamentalismo nasce proprio dalle scuole e dalla predicazione nelle moschee.

L’Occidente ha spesso fatto un errore fatale, credendo che la moschea sia solo un luogo religioso, come una chiesa. In realtà la moschea è anche un luogo dove si fa politica, si discutono problemi, ecc: è una specie di agorà della comunità islamica. Per questo è necessario controllare che in questi luoghi non si inneggi alla violenza e all’indottrinamento fanatico. La storia ci dice che il terrorismo parte sempre dalle moschee: l’Intifada è nata dalla moschea di Al Aqsa; le guerre sono partite dalle moschee al venerdì. Per questo è ragionevole controllare gli insegnamenti che si fanno in questi luoghi, dove in nome dell’Islam si creano in realtà delle trame politiche pericolose. Tale controllo, del resto, esiste in tutti i paesi musulmani.

III - Terrorismo islamico: frutto dell’insegnamento delle madrassah

Il terrorismo non è un risultato imprevisto nell’Islam, ma il frutto diretto dell’insegnamento che avviene nelle madrassah, nelle scuole tradizionali. E non solo perché molte scuole addestrano al terrore e alla guerriglia, ma soprattutto perché educano al fondamentalismo. Esse presentano la religione come la soluzione a tutti i problemi e guardano al mondo e  all’occidente in modo massimalista e radicale, per cui l’unica via di uscita è lo jihad, la distruzione dell’occidente e di tutto ciò che sembra cospirare contro la religione.

Se si vuol lottare contro il terrorismo, occorre  impegnarsi per cambiare il processo educativo tradizionalista che viene dato agli imam e che questi diffondono nel mondo.

Mi è capitato di incontrare un famoso imam, quello del Qatar, Yusuf Qaradawi: è una persona intelligente e buona, aperta al dialogo coi cristiani. Anch’egli però presenta molti elementi integralisti. Fra l’altro, con molta tranquillità, egli giustifica gli attentati terroristi contro la popolazione israeliana. L’imam Qaradawi è ascoltato tutti i giorni alla televisione del Qatar, per oltre un’ora, diffondendo questa sua mentalità. Come lui, migliaia di imam giungono a insegnare senza molta preparazione e senza assimilazione delle scienze umane.

Islam: senza autorità, senza laicità

Nell’insegnamento islamico vi sono due problemi: anzitutto nell’Islam non vi è una unica autorità centrale riconosciuta. Nemmeno al-Ahzar, l’illustre università del Cairo, è riconosciuta da tutti. Così gli imam e i mufti (quelli che lanciano le fatwa, le decisioni giuridiche) si moltiplicano a migliaia. Basta che uno abbia studiato un po’ il Corano, per autoproclamarsi mufti. Una volta, 30 anni fa, non era così: ogni paese aveva al massimo un mufti riconosciuto da tutta la nazione. Oggi invece tutti gli imam si autoproclamano mufti e hanno i loro seguaci.

L’altro problema è l’insegnamento fatto dagli ulema (i dotti, i sapienti). In realtà questi ulema sono “sapienti” solo in un piccolo campo: hanno imparato il Corano a memoria, hanno imparato migliaia di detti attribuiti a  Maometto; hanno imparato a memoria migliaia di risposte giuridiche di tantissimi imam. Ma non hanno mai studiato matematica, sociologia, psicologia, letterature straniere, e non sono capaci di leggere un libro in una lingua occidentale. La storia si limita al mondo islamico; lo studio delle religioni è solo in funzione di cosa rispondere se l’Islam viene criticato. È uno studio molto ristretto e chiuso in se stesso. La stessa università di al-Ahzar e tutte le altre nel mondo sono segnate da questa chiusura. Essi sono perciò incapaci di analizzare le culture dell’occidente, incapaci di comprendere altre situazioni diverse da quelle dove l’islam è  maggioranza. E infine, sono incapaci di capire il mondo musulmano europeo: i loro criteri valgono solo per un mondo islamico dove tutti sono musulmani. Riescono a comprendere solo questo tipo di situazione medievale. Una società come la Turchia (laica) non la comprendono. Essi vogliono quindi etichettare tutto come islamico: la banca, la politica, la scienza, la medicina, ecc.

Quando questi imam arrivano in occidente, più del 90% di quelli in esercizio in Europa occidentale, non parlano la lingua del paese dove sono: parlano solo arabo, o turco, ecc.. Essi sono fuori della cultura del paese dove pur vivono. Cosa possono dunque dire ai giovani musulmani nati in Inghilterra, Francia, Germania? Possono solo riproporre il sistema medievale, magari aggiornato, ma non potranno lavorare a modernizzare l’Islam, riproponendo la frattura fra la religione e la società moderna.

Non c’è legame fra gli studi normali che fa un giovane occidentale e lo studio che fanno i loro imam . É come se i sacerdoti cattolici volessero evangelizzare il mondo avendo studiato solo la Bibbia partendo dai commenti antichi.

Il disagio dei giovani e il fondamentalismo

Questo spiega come mai dei giovani, educati dentro la modernità hanno compiuto i gesti terroristi a Londra. La maggior parte di essi erano e sono ragazzi normali, nati in Gran Bretagna. Poi, un disagio interiore li ha portati vicino a chi predica il fondamentalismo. Dalla Gran Bretagna sono andati in Pakistan per essere educati in una madrassah (scuola). In pratica sono stati educati al fondamentalismo. Tutti dicono: questo è un loro diritto. Ma analizzando questo insegnamento classico musulmano, si comprende che la radice del terrorismo è proprio il tipo di educazione che queste madrassah offrono.

Lo ripeto: la radice del terrorismo è il tipo di educazione che essi danno, l’insegnamento religioso musulmano tradizionale, il più diffuso. Nelle madrassah, nell’insegnamento islamico, l’insoddisfazione tipica di ogni giovane trova una risposta immediata e facile nella religione. Di fronte a problemi sociologici, culturali, psicologici, il mondo islamico non ha altra risposta che la risposta religiosa. Ad esempio, invece di analizzare un problema dal punto di vista politico, invece di lottare, magari insieme a cristiani ed atei, per far emergere la giustizia, diranno: facciamo la lotta in nome dell’islam.

Sotto questa influenza, i giovani abituati prima a vestire all’occidentale, cambiano vestito, prendono il vestito bianco, il copricapo in testa e si lasciano crescere la barba. Sono altrettanti simboli di un cambiamento di mentalità, di un rigetto dell’occidente e di un disagio identitario e spirituale. Fino a 30 anni fa questo non succedeva, oggi sì. E chi prende questi simboli, significa che è entrato in un modo di pensare fondamentalista, letteralista, capace di essere manipolato.

Anche il pellegrinaggio alla Mecca è un luogo di indottrinamento al fondamentalismo.

Ho conosciuto alcune signore musulmane che erano molto integrate nella società europea: si vestivano all’occidentale, si truccavano, andavano con il capo scoperto. Dopo il pellegrinaggio alla Mecca ritornano e si coprono col velo, si vestono col chador, chiedono carne halal

Nel mondo islamico, uscire dai quadri religiosi previsti dalla comunità è difficile, ma è necessario farlo.

La distinzione fra secolare e religioso

È necessario lavorare perché nel mondo islamico sia presente la laicità. Essa è conosciuta al massimo da qualche musulmano educato nella cultura occidentale. In generale, nel mondo islamico la laicità non esiste. In arabo abbiamo la parola “laicità”, ‘almâniyya, neologismo coniato dai cristiani arabi, ma molto spesso la si confonde con “ateismo”.

Occorre affermare la laicità anzitutto nella lettura del Corano.

Nel mio insegnamento all’università St Joseph a Beirut, ho insegnato più volte un corso su  Bibbia e Corano. Ai miei studenti ho detto: studiamo questi libri come dei documenti storici, dal punto di vista storico, filologico, ecc. Con i cristiani si riesce; ma con i musulmani è quasi impossibile.

Tutto questo rende difficile la comprensione storica del Corano e l’afferrare il significato originale (all’origine) delle parole. Faccio qualche esempio. Tutti sanno che la parola “paradiso” è di origine persiana, ma per gli studenti islamici e gli imam questa conclusione è inaccettabile. La parola Evangelo deriva dal greco, ma per gli studenti musulmani e i loro imam è inaccettabile: per loro il Corano è disceso direttamente da Dio e non può avere “incrostazioni” umane o storiche. Così, se nel Corano si trova una redazione del racconto dell’annuncio a Maria, per i musulmani è impossibile dedurre un’influenza del mondo cristiano sul Corano. E se le due redazioni si contraddicono in qualche punto, quella del Corano è senz’altro più giusta perché “è stata rivelata da Dio in modo completo”.

L’unico modo di uscirne è di affermare che il Corano è un documento storico, scritto da un essere umano, magari ispirato religiosamente.

Per questo io dico sempre che i musulmani hanno bisogno di un illuminismo, cioè di una rivoluzione del pensiero che affermi il valore delle realtà mondane per sé, staccato dalla religione, anche se non in opposizione.  In Egitto gli studiosi stanno pubblicando da una trentina di anni una collana chiamata al-Tanwîr, l’illuminismo, nella speranza di cambiare un pochino le mentalità, ma l’influenza di al-Ahzar e dei mullah è ancora troppo forte.

Parlando dell’illuminismo, è chiaro che parliamo di un illuminismo che non rinnega l’elemento religioso. D’altra parte forse in occidente è stato necessario passare attraverso il secolarismo per ritrovare un nuovo equilibrio. Ormai in occidente la Chiesa non è vista come un nemico, ma come un elemento che contribuisce alla civiltà. E mentre c’è un umanesimo cristiano, riconosciuto anche da persone atee, non c’è umanesimo islamico. Se non si arriva a un umanesimo islamico, la distanza fra mondo moderno e mondo musulmano diverrà un abisso.

Nel mondo islamico c’è una modernizzazione tecnologica, scientifica, ma questa non porta a un umanesimo moderno. Molti terroristi sono persone di una certa levatura culturale; fra essi vi sono medici, professionisti; ingegneri elettronici… Hanno una grande cultura scientifica o tecnologica, ma non hanno costruito un legame fra la loro scienza e la religione. Essi prendono dall’occidente il frutto, la tecnologia, ma non si confrontano con il processo che ha generato quel frutto. Il frutto occidentale della tecnologia viene da un passaggio secolarizzante prima attraverso il cristianesimo, poi mediante il razionalismo e l’illuminismo. I musulmani accettano la tecnologia, ma non accettano la distinzione fra secolare e religioso. E questo è un errore, perché non genera un movimento di autocritica e di liberazione.

Se i musulmani scoprono questa distinzione, allora potrebbero dialogare con l’occidente, criticarlo, discernere ciò che vi è buono e ciò che è da rifiutare. Invece, la mancanza di questa distinzione spinge al rifiuto totale dell’occidente e al programma della sua distruzione. Senza recuperare laicità e distinzione fra secolare e religioso, l’Islam è condannato all’oscurantismo.

IV. Islam e cristianesimo: incontro-scontro, ma anche conversione

Pochi giorni fa abbiamo ricordato l’attacco delle Torri Gemelle a New York, avvenuto l’11 settembre 2001. Per molti, questo tragico avvenimento segna l’emergere di un conflitto fra civiltà, fra Islam e occidente, fra Islam e cristianesimo.

La guerra delle civiltà

Esiste una guerra di civiltà? È in atto una guerra dell’Islam contro il cristianesimo?

Da quando Samuel Huntington ha scritto il suo libro (“Il conflitto delle civilizzazioni”), sembra che si può essere solo pro o contro lo scontro di civiltà. È chiaro che il mondo occidentale è una civiltà; il mondo islamico è anche una civiltà. Io dico che uno scontro fra civiltà è sempre esistito.

Il punto è che nel mondo terrorista, la parola “scontro” è divenuta sinonimo di “guerra”.

I fondamentalisti musulmani definiscono gli occidentali “crociati”. Questa parola viene dall’uso che se ne fa in Arabia Saudita, dove “occidentale” e “crociato” sono sinonimi.  Fino a 15 anni fa questi termini erano usati solo là. Il fondamentalismo islamico presenta lo scontro fra civiltà come uno scontro religioso: islam contro i cristiani.

Ma possiamo definire l’occidente come “cristiano”? Non credo. Anzitutto perché lo stesso occidente rifiuta di definirsi tale. Esso è frutto del cristianesimo, ma attualmente la società occidentale prende le distanze da esso.

Per questo la risposta dell’occidente non può definirsi come una guerra del cristianesimo contro l’Islam. Ma la risposta dell’occidente non può essere nemmeno una guerra contro l’Islam. Occorre far guerra al terrorismo, al fondamentalismo islamico, ma non contro l’Islam. In alcuni gruppi italiani e americani vedo la tendenza a voler assimilare troppo facilmente l’Islam come un’anti-civiltà cristiana, e questo è sbagliato.

L’incontro e lo scontro

Occorre invece potenziare uno scontro, un confronto, un dibattito, una critica verso l’Islam.

Per me c’è uno scontro, come c’è scontro fra tutte le culture: islamica, cinese, indiana… Ma questo scontro può anche trasformarsi in un incontro, in un arricchimento reciproco. Nella storia le civiltà si sono sempre incontrate e scontrate. Vi sono sempre stati e gli uni e gli altri. Questo non è tragico: tutti i gruppi quando si incontrano prendono qualcosa  e rigettano qualcosa d’altro.

Il rapporto, l’incontro-scontro va fatto in verità e chiarezza. Non si può non dire che nell’islam c’è un seme di violenza nel Corano, accanto a un seme di pace. E va pure detto a chiare lettere che i semi di violenza sono stati più coltivati di quelli di pace. Purtroppo alcuni intellettuali cattolici, per “rispetto” all’Islam, nascondono questo elemento e non fanno un servizio né all’Islam, né alla verità.

Qualcuno dirà: ma anche nei cristiani vi sono semi di violenza. È vero, ma la violenza espressa dai cristiani, non è teorizzata nel Vangelo. Nell’Islam invece è proprio il libro fondatore della religione che presenta questi semi.

Per purificare il messaggio del Corano, i musulmani dovrebbero distinguere fra il nucleo originario del libro (della Mecca) e quello seguente (di Medina). Ma per fare questo – come abbiamo già visto nelle puntate precedenti – occorre studiare il Corano come un libro storico, assimilare la distinzione occidentale fra laicità e religione, fra modernità e fede.

Un islam occidentalizzato

Io sono convinto che la speranza per il mondo islamico può venire solo da un islam che è stato acculturato in occidente, e precisamente in Europa.

L’unica via perché l’Islam abbia un posto nel mondo moderno è che assimili la modernità con il suo spirito critico e la sua distinzione tra religione e politica, ragione e sentimenti, ecc., in un senso che si occidentalizzi, senza rinnegare la fede. Vi sono molti musulmani che si occidentalizzano, ma arrivano fino a un certo punto. Non capiscono che la fede va difesa con una decisione interiore. Purtroppo  se questi musulmani non riescono a fare la sintesi fra islam e modernità, all’arrivo di un imam fondamentalista, seguiranno quello.

Ma quale occidente potrà aiutare l’Islam a modernizzarsi?

Una parte dell’occidente respira verso il mondo musulmano un atteggiamento di totale chiusura. In risposta alle violenze islamiche a cui si assiste nel mondo, ci si chiude ad ogni dialogo e i musulmani sono ricacciati nel fondamentalismo.

Vi è poi l’occidente ateo. Ma se i musulmani trovano solo un aiuto fra gli atei, da coloro che dicono che la religione non c’entra, essi lo rifiuteranno.

Ma se i musulmani trovano degli occidentali cristiani, per i quali la religione è il punto di forza proprio per assimilare la modernità, allora è possibile che anch’essi siano spinti a trovare una loro strada di integrazione. Un cristiano che fa armonia fra modernità e fede, può aiutare un musulmano a fare questa armonia.

Tengo a precisare che non si deve escludere anche un’altra via. Se un musulmano non riesce a fare la sintesi fra la sua fede e la modernità, potrebbe anche decidere di diventare cristiano. Nell’incontro coi cristiani, i musulmani scoprono che il cristianesimo, a causa dell’Incarnazione, ha unito il cielo e la terra, il divino e l’umano, la cultura religiosa e la cultura scientifica. L’Incarnazione suggerisce anche che non vi è opposizione fra il divino e l’umano: vi possono essere difficoltà, ma non impossibilità alla sintesi.

La conversione al cristianesimo

In realtà oggi un giovane musulmano si trova da solo in questo dilemma: o essere un occidentale ateo, o essere un musulmano che rigetta l’occidente. Invece è possibile anche una terza via: diventare cristiano. Una conversione al cristianesimo è una cosa auspicabile, una scelta degna e piena di valore. Purtroppo vedo in personalità del clero e perfino in alcuni vescovi il timore a pensare una cosa simile, escludendola dalle possibilità, in nome di un falso rispetto religioso. È come se preti e vescovi non capissero che il cristianesimo è la pienezza del cammino di ogni religione. Proprio il rispetto dell’altro, l’amore alla sua fatica a vivere la fede nel mondo moderno, mi spinge ad annunciargli il Vangelo.

Anzitutto io cercherò di aiutare il musulmano a fare la sintesi fra modernità e fede nella sua fede islamica; ma se questo non succede, se questo è troppo difficile, posso anche proporre la via cristiana. Non esiste soltanto il rigetto della modernità in nome della religione, o il rigetto della fede in nome della modernità: esiste anche la via della sintesi offerta dal cristianesimo e testimoniata dai cristiani.
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[Fonte: AsiaNews settembre 2005]

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