Incontri di civiltà: come
Benedetto XVI guarda l'Islam
Samir Khalil Samir, 3 maggio
2006
L’autore di questo
saggio è un gesuita egiziano, Samir Khalil Samir S.I., che conosce molto da vicino sia il papa
sia la religione musulmana. L’ha scritto e pubblicato per “Asia
News”. Eccolo integrale (pubblicato su espressonline.it)
Benedetto XVI è forse fra le poche personalità ad aver capito
profondamente l’ambiguità in cui si dibatte l’islam contemporaneo
e la sua fatica nel trovare un posto nella società moderna. Nello
stesso tempo egli sta proponendo all’islam una via per costruire la
convivenza mondiale e con le religioni basata non sul dialogo
religioso, ma culturale e di civiltà, basata sulla razionalità e su
una visione dell’uomo e della natura umana che viene prima di
qualunque ideologia o religione. Questo puntare al dialogo culturale
spiega la sua scelta di assorbire il pontificio consiglio per il
dialogo interreligioso dentro al più grande pontificio consiglio per
la cultura.
Mentre il papa chiede all’islam un dialogo basato sulla cultura, sui
diritti umani, sul rifiuto della violenza, nello stesso tempo egli
chiede all’Occidente di ritornare a una visione della natura umana e
della razionalità in cui non si escluda la dimensione religiosa. In
questo modo – e forse soltanto così – si potrà evitare un
conflitto delle civiltà, trasformandolo invece in un dialogo fra le
civiltà.
Il totalitarismo islamico è diverso dal cristianesimo
Per comprendere il pensiero di Benedetto XVI sulla religione islamica,
occorre seguirne l’evoluzione. Un documento davvero essenziale si
trova nel suo libro scritto insieme a Peter Seewald nel 1996, quando
era ancora cardinale, dal titolo “Il sale della terra”.
Alle pagg. 274-278, egli fa alcune considerazioni e mette in luce
alcune differenze fra l’islam e la religione cristiana e l’occidente.
Egli mostra anzitutto che nell’islam non c’è un’ortodossia,
perché non c’è un’autorità, un magistero dottrinale comune.
Questo rende il dialogo difficile: quando dialoghiamo, non dialoghiamo
“con l’islam”, ma con dei gruppi.
Ma il punto chiave che egli affronta è quello sulla shari’a. Egli
dice:
“Il Corano è una legge religiosa che abbraccia tutto, che regola la
totalità della vita politica e sociale e suppone che tutto l’ordinamento
della vita sia quello dell’islam. La shari’a plasma una società
da cima a fondo. Di conseguenza, l’islam può sfruttare le libertà
concesse dalle nostre costituzioni, ma non può porre tra le sue
finalità quella di dire: sì, ora siamo anche noi enti di diritto
pubblico; ora siamo presenti [nella società] come i cattolici e i
protestanti. A questo punto [l’islam] non ha ancora raggiunto
pienamente il suo vero scopo, si trova ancora in una fase di
alienazione”.
Questa fase si potrà concludere solo con l’islamizzazione totale
della società. Quando ad esempio un islamico si trova in un società
occidentale, lui può godere o sfruttare alcuni elementi, ma non si
identificherà mai con il cittadino non musulmano, perchè non si
trova in una società musulmana.
Il cardinale Ratzinger ha visto quindi con chiarezza una difficoltà
essenziale del rapporto socio-politico con il mondo musulmano, che
viene dalla concezione totalizzante della religione islamica,
profondamente diversa dal cristianesimo. Per questo egli insiste nel
dire che non dobbiamo cercare di proiettare sull’islam la visione
cristiana del rapporto tra politica e religione. Ciò sarebbe
difficilissimo: l’islam è una religione totalmente diversa dal
cristianesimo e dalla società occidentale e questo non rende facile
la convivenza.
In un seminario a porte chiuse, tenuto a Castelgandolfo l’1 e il 2
settembre 2005, il papa ha insistito e sottolineato la stessa idea: la
profonda diversità fra islam e cristianesimo. Stavolta è partito da
un punto di vista teologico, tenendo conto della concezione islamica
della rivelazione: il Corano “è disceso” su Maometto, non è “ispirato”
a Maometto. Per questo il musulmano non si sente in diritto di
interpretare il Corano, ma è legato a questo testo emerso in Arabia
nel VII secolo. Questo porta alle stesse conclusioni di prima: l’assolutezza
del Corano rende molto più difficile il dialogo, perché le
possibilità di interpretazione sembrano escluse e comunque molto
ridotte.
Come si vede, il suo pensiero da cardinale si prolunga nella sua
visione come pontefice, che mette in luce le profonde differenze fra
islam e cristianesimo.
Il 24 luglio in Val d’Aosta, subito dopo l’Angelus, ad una domanda
se l’islam può essere considerato una religione di pace, risponde:
“Io non chiamerei questo in parole generiche, certamente l’islam
contiene degli elementi in favore della pace, come contiene altri
elementi”. Anche se non in modo esplicito, Benedetto XVI fa
comprendere che l’islam soffre di ambiguità verso la violenza,
giustificandola in vari casi. E aggiunge: “Dobbiamo sempre cercare
di trovare gli elementi migliori”. Un altro chiede allora se gli
attacchi dei terroristi possono essere considerati anticristiani. La
sua risposta è netta: “No, generalmente l’intenzione sembra
essere molto più generale e non precisamente diretta alla
cristianità”.
Dialogo fra culture più fruttuoso del dialogo interreligioso
A Colonia, il 20 agosto, papa Benedetto XVI ha il suo primo grande
incontro con rappresentanti della comunità musulmana. In un discorso
relativamente lungo, egli dice:
“Sono certo di interpretare anche il vostro pensiero nel porre in
evidenza tra le preoccupazioni quella che nasce dalla constatazione
del dilagante fenomeno del terrorismo”.
Qui mi piace il fatto che lui coinvolga i musulmani, dicendo loro che
abbiamo la stessa preoccupazione. Nel testo italiano, che ho
confrontato col tedesco, ho trovato che manca una frase: “So che
siete numerosi a rigettare con forza, anche pubblicamente, in
particolare qualunque legame tra il terrorismo e la vostra fede, e a
condannarlo chiaramente”.
Più avanti dice che “il terrorismo di qualunque matrice esso sia,
è una scelta perversa e crudele [una parola che ripete tre volte -
ndr] che calpesta il diritto sacrosanto alla vita e scalza le
fondamenta stesse di ogni civile convivenza”. Poi, di nuovo, viene a
coinvolgere il mondo islamico:
“Se insieme riusciremo a estirpare dai cuori il sentimento di
rancore, a contrastare ogni forma di intolleranza e ad opporci ad ogni
manifestazione di violenza, fermeremo l’ondata di fanatismo crudele
che mette a repentaglio la vita di tante persone, ostacolando il
progresso della pace nel mondo. Il compito è arduo, ma non
impossibile e il credente può arrivarci”.
Mi è piaciuta molto la sottolineatura sull’ “estirpare dai cuori
il sentimento di rancore”: Benedetto XVI ha capito che una delle
cause del terrorismo è questo sentimento di rancore. E più avanti:
“Cari amici, sono profondamente convinto che, senza cedimenti alle
pressioni negative dell’ambiente, dobbiamo affermare i valori del
rispetto reciproco, della solidarietà e della pace”. E ancora:
“Abbiamo un grande spazio di azione in cui sentirci uniti al
servizio dei fondamentali valori morali; la dignità della persona e
la difesa dei diritti, che da tale dignità scaturiscono, devono
costituire lo scopo di ogni progetto sociale, di ogni sforzo posto in
essere per attuarlo”.
E qui viene una frase essenziale:
“È questo un messaggio scandito in modo inconfondibile dalla voce
sommessa, ma chiara della coscienza. Solo sul riconoscimento della
centralità della persona si può trovare una comune base di intesa
superando eventuali contrapposizioni culturali e neutralizzando la
forza dirompente delle ideologie”.
Dunque, prima ancora della religione, c’è la voce della coscienza,
e tutti dobbiamo lottare per i valori morali, la dignità della
persona, la difesa dei diritti.
Per Benedetto XVI, perciò, il dialogo va basato sulla centralità
della persona, che supera sia le contrapposizioni culturali sia le
ideologie. E penso che sotto le ideologie si possano comprendere anche
le religioni. Questa è una delle idee-forza del papa: essa spiega
anche perché ha unito il pontificio consiglio per il dialogo
interreligioso e il consiglio per la cultura, sorprendendo tutti. La
scelta nasce dalla sua profonda visione, e non è, come si è detto
nella stampa, per “far fuori” monsignor Michael Fitzgerald,
meritevole di molta riconoscenza. Forse c’è anche questo, ma non è
lo scopo.
L’idea essenziale è che il dialogo con l’islam e con le altre
religioni non può essere essenzialmente un dialogo teologico o
religioso, se non in senso largo di valori morali. Esso deve invece
essere un dialogo di culture e di civiltà.
Vale la pena ricordare che già nel lontano 1999 il cardinale
Ratzinger ha partecipato a un incontro con il principe Hassan di
Giordania, il metropolita Damaskinos di Ginevra, il principe Sadruddin
Aga Khan, morto nel 2003, e il gran rabbino di Francia René Samuel
Sirat. Musulmani, ebrei e cristiani erano invitati da una fondazione
per il dialogo interreligioso e interculturale, a creare un punto di
dialogo culturale fra di loro.
Questo passo verso il dialogo culturale è di estrema importanza. In
tutti i dialoghi che si fanno con il mondo musulmano, appena si
comincia a trattare temi religiosi, si inizia a parlare di
palestinesi, Israele, Iraq, Afghanistan, insomma di tutti i conflitti
politici o culturali. Con l’islam non si riesce mai a fare un
discorso squisitamente teologico: non si può parlare della trinità,
dell’incarnazione, ecc. Una volta, a Cordoba nel 1977, si è fatto
un convegno sulla nozione di profezia. Dopo aver trattato del
carattere profetico di Cristo come visto dai musulmani, un cristiano
ha esposto il carattere profetico di Maometto dal punto di vista
cristiano e ha osato dire che la Chiesa non lo può riconoscere come
profeta; al limite potrebbe definirlo tale ma solo in un senso
generico, come si dice che Marx è “il profeta” dei tempi moderni.
Risultato: abbiamo dovuto interrompere l’incontro e per tre giorni
non si è parlato che di questo.
I momenti più fruttuosi nei miei incontri con il mondo musulmano sono
stati quando si parlava di questioni interdisciplinari o
interculturali. Ho partecipato più volte, invitato dai musulmani, a
incontri interreligiosi in varie parti del mondo musulmano: sempre si
è parlato di incontro di religioni e civiltà, o culture. Due
settimane fa, a Isfahan, nell’Iran, il titolo era “Incontro di
civiltà e religioni”. Il 19 settembre prossimo, alla Pontificia
Università Gregoriana a Roma, si terrà un incontro organizzato dal
ministero della cultura in Iran con l’Italia e anche questo avrà a
tema l’incontro fra le culture, con la presenza dell’ex presidente
iraniano Khatami.
Il papa ha capito questo aspetto importante: discutere di teologia
può avvenire solo tra pochi, ma non tra islam e cristianesimo, certo
non per il momento. Invece si tratta di affrontare il vivere insieme
sotto gli aspetti concreti della politica, dell’economia, della
storia, della cultura, delle usanze.
Razionalità e fede
Un altro fatto mi sembra molto importante. In un dialogo del 25
ottobre 2004 tra lo storico Ernesto Galli della Loggia e l’allora
cardinale Ratzinger, a un certo momento il cardinale, parlando di
teologia, ricorda i “semi del Verbo” e sottolinea l’importanza
della razionalità nella fede cristiana, vista dai Padri della Chiesa
come il compimento della ricerca di verità presente nella filosofia.
Galli della Loggia allora dice: “La vostra speranza, che è identica
alla fede, porta con se un logos e questo logos può divenire un’apologia,
una risposta che può essere comunicata agli altri”, a tutti.
Il cardinale Ratzinger risponde: “Noi non vogliamo creare un impero
di potere, ma abbiamo una cosa comunicabile alla quale va incontro un’attesa
della nostra ragione. È comunicabile perché appartiene alla nostra
comune natura umana e c’è un dovere di comunicare da parte di chi
ha trovato un tesoro di verità e amore. La razionalità era quindi
postulato e condizione del cristianesimo, che rimane un’eredità
europea per confrontarci in modo pacifico e positivo, sia con l’islam,
sia con le grandi religioni asiatiche”.
Per lui, dunque, il dialogo è a questo livello, cioè fondato sulla
ragione. Andando oltre, egli aggiunge:
“Questa razionalità diventa pericolosa e distruttiva per la
creatura umana se diventa positivista [e qui egli fa la critica all’Occidente
- ndr], che riduce i grandi valori del nostro essere alla
soggettività, [al relativismo] e diventa così un’amputazione della
creatura umana. Non vogliamo imporre a nessuno una fede che si può
accettare solo liberamente, ma come forza vivificatrice della
razionalità dell’Europa essa appartiene alla nostra identità”.
Qui viene il passaggio essenziale:
“È stato detto che non dobbiamo parlare di Dio nella costituzione
europea, perché non dobbiamo offendere i musulmani e i fedeli di
altre religioni. È vero il contrario. Ciò che offende i musulmani e
i fedeli di altre religioni non è parlare di Dio o delle nostre
radici cristiane, ma piuttosto il disprezzo di Dio e del sacro che ci
separa dalle altre culture e non crea una possibilità di incontro, ma
esprime l’arroganza di una ragione diminuita, ridotta, che provoca
reazioni fondamentaliste”.
Benedetto XVI ammira nell’islam la certezza basata sulla fede, in
opposizione all’Occidente che relativizza tutto; e ammira nell’islam
il senso del sacro, che invece sembra essere sparito in Occidente.
Egli ha capito che il musulmano non è offeso dal crocifisso, dai
segni religiosi: questa è in realtà una polemica laicista che tende
a eliminare il religioso dalla società. I musulmani non sono offesi
dai simboli religiosi, ma dalla cultura secolarizzata, dal fatto che
Dio ed i valori che essi collegano con Dio sono assenti da questa
civiltà.
Questa è anche la mia esperienza, quando ogni tanto converso con
musulmani che lavorano in Italia. Mi dicono: in questo paese c’è
tutto, possiamo vivere come vogliamo, ma purtroppo non vi sono “principii”
(questa è la parola che usan o). Questo è sentito molto dal papa,
che dice: torniamo alla natura umana, basata sulla razionalità, sulla
coscienza, che dà idea dei diritti umani; e non riduciamo la
razionalità a qualcosa di impoverito, ma integriamo il religioso
nella razionalità; il religioso è parte della razionalità.
In questo a me sembra che Benedetto XVI abbia meglio precisato la
visione di Giovanni Paolo II. Per il papa polacco il dialogo con l’islam
doveva aprirsi alla collaborazione su tutto, anche nella preghiera.
Benedetto XVI mira a punti più essenziali: la teologia non è ciò
che conta, almeno non in questa fase storica; importa il fatto che l’islam
è la religione che si sta sviluppando di più e che diviene sempre
più un pericolo per l’Occidente e per il mondo. Il pericolo non è
l’islam in genere, ma una certa visione dell’islam che non rinnega
mai apertamente la violenza e genera terrorismo e fanatismo.
D’altra parte egli non vuole ridurre l’islam a un fenomeno
socio-politico. Il papa ha capito profondamente l’ambiguità dell’islam,
che è insieme l’uno e l’altro, che talvolta gioca su uno o sull’altro
fronte. E lancia la proposta che se vogliamo trovare una base comune,
dobbiamo uscire dal dialogo religioso per mettere fondamenti
umanistici all base di questo dialogo, perché solo questi sono
universali e comuni a tutti gli esseri umani. L’umanesimo è un
fattore universale, mentre le fedi possono essere fattori di scontro e
divisione.
Sì alla reciprocità, no al buonismo
La posizione del papa non cade mai nella giustificazione del
terrorismo e della violenza. Talvolta anche fra personalità
ecclesiastiche si scivola in un relativismo generico: in fondo la
violenza c’è in tutte le religioni, anche fra i cristiani. Oppure:
la violenza è giustificata come risposta ad altre violenze… No,
questo papa non ha mai fatto allusioni del genere.
D’altra parte egli non cade nemmeno nell’atteggiamento di certo
cristianesimo occidentale segnato dal buonismo e dai complessi di
colpa. Di recente, tra i musulmani, c’è chi ha domandato che il
papa chieda scusa per le crociate, il colonialismo, i missionari, le
vignette, ecc. Benedetto XVI non cade in questa trappola, perché sa
che le sue parole potrebbero essere utilizzate non per costruire un
dialogo, ma per distruggerlo. Questa è l’esperienza che noi abbiamo
del mondo musulmano: tutti questi atti, molto generosi e profondamente
spirituali, di chiedere perdono per i fatti storici del passato, sono
strumentalizzati e vengono presentati dai musulmani come una
rivincita: ecco – dicono – lo riconoscete voi stessi, siete
colpevoli. Questi fatti non suscitano mai una reciprocità.
A questo proposito, vale la pena ricordare il discorso di Benedetto
XVI all’ambasciatore del Marocco, il 20 febbraio 2006, quando ha
fatto un’ allusione, al “rispetto delle altrui convinzioni e
pratiche religiose, affinché in maniera reciproca, in tutte le
società, sia realmente assicurato a ciascuno l’esercizio della
religione liberamente scelta”. Sono due piccole affermazioni, ma
importantissime sulla reciprocità dei diritti di libertà religiosa
fra paesi occidentali e islamici e sulla libertà di cambiare
religione, un fatto proibito nell’Islam. Il bello è che egli ha
osato farle: nel mondo politico ed ecclesiale spesso si ha paura ad
accennare a queste cose. Basta vedere il silenzio che vige sulle
violazioni alla libertà religiosa presenti in Arabia Saudita.
Mi piace molto questo papa, il suo equilibrio, la sua chiarezza. Egli
non fa nessun compromesso: continua a sottolineare la necessità di
annunciare il Vangelo in nome della razionalità e dunque non si
lascia influenzare da chi teme e denuncia un preteso proselitismo. Il
papa chiede sempre le garanzie perché si possa “proporre” la fede
cristiana e perché essa possa essere “liberamente scelta”.
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[Fonte: AsiaNews maggio 2006]