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    «Alla vera pace si arriva col perdono»
Don Andrea Santoro

Una visita in un villaggio rivela lo stile semplice e diretto, ospitale e cordiale di don Andrea

Per strada abbiamo dato il passaggio a due giovani. Sono diretti al villaggio ai piedi del vulcano. Ci invitano a fermarci con loro, anche perché, ci dicono, il tempo va peggiorando e il giorno sta per finire. Entriamo nella stanza, rigorosamente riservata ai soli uomini, ci sediamo per terra e siamo serviti di ogni ben di Dio. A un certo punto uno dice: «Voi cercate l'oro!». Ho un'espressione di sorpresa ma lui insiste: «Cercate l'oro e avete anche gli strumenti per cercarlo». All'improvviso capisco: il villaggio era stato abitato, nei primi decenni del secolo, da cristiani armeni i quali prima di fuggire o di essere cacciati avrebbero nascosto l'oro da qualche parte. Allora mi si è aperto il cuore e ho detto: «L'oro è altro: l'oro è Dio, l'oro è l'amicizia, l'oro è l'amore e la pace, l'oro è la fede, la preghiera e l'ascolto di Dio, l'oro è la bontà, il rispetto, l'ospitalità, il perdono, l'oro sono i vostri bambini...». «L'oro sei tu», mi fa all'improvviso il mio interlocutore, «perché quello che dici è bello!».

Mi accorgo che i nostri cuori si sono aperti dopo essere stati sfiorati dal sospetto e dalla paura. Il discorso si sposta sulla guerra: Bush, l'America, l'Italia, il petrolio, i musulmani, i cristiani... «La guerra ferisce anzitutto Dio», dico, «perché un padre soffre quando i figli si uccidono. La guerra non viene da Dio». E aggiungo: «La guerra è prendere, la pace è dare. Voi ci avete accolto e messo davanti da mangiare: questa è la pace. Noi vi abbiamo dato un passaggio in macchina: questa è la pace». Davanti a me c'è un bambino che mi guarda fisso. «La guerra è facile», continuo rivolgendomi a lui. «Per esempio: io ti colpisco, tu mi colpisci e così via... Ma se io ti colpisco e tu non rispondi questa è pace. Ma è difficile. A me verrebbe istintivamente di colpirti due volte. Gesù nel Vangelo dice: se amate soltanto quelli che vi amano che merito ne avete? Amate i vostri nemici». Il bambino dice: «Resistere alla violenza, questa è pace!» Ha afferrato in pieno il discorso e si vede dal volto che è d'accordo. Un altro adulto interviene: «Anche il Corano dice: fate del bene a chi vi fa del male». Forse non è esattamente così, ma che sia scritto nel cuore è più importante che sia scritto in un libro.

Ci lasciamo con l'invito da parte loro a tornare la mattina. Abbiamo chiesto di visitare la moschea del villaggio. Con sorpresa, appena entrati, ci accorgiamo che è una chiesa armena, piccola, graziosa, raccolta, in pietra nera con due file di colonne al centro. Ispira a pregare. Chiedo di poterlo fare, mi dicono di sì. Ricordandomi del discorso di ieri e di quanto ci siamo detti sui contrasti avvenuti tra religioni, gruppi etnici, popoli e su quanto in un passato recente è avvenuto anche nel villaggio tra cristiani, curdi e turchi per motivi politici e religiosi, comincio a pregare a voce alta: «Signore abbi pietà di noi. Tu sei buono, ci ami, sei Unico ma noi ci siamo fatti del male: perdonaci».

Il giovane che è con me, curdo e musulmano, risponde a voce alta: «Amen!». È d'accordo e prega anche lui con me. Io continuo: «Signore, tutti crediamo in te ma abbiamo fatto scorrere del sangue e tu ne soffri. Abbi pietà di noi». Sento la stessa risposta: «Amen». «Signore i cristiani hanno fatto del male ai musulmani e i musulmani ai cristiani, perdonaci... I curdi ai turchi e i turchi ai curdi, perdonaci... Gli armeni ai curdi e i curdi agli armeni... quanti morti ci sono stati: abbi pietà di noi...». Ogni volta risuonava l'Amen del mio amico musulmano e curdo. Ho sentito che quella preghiera in quella moschea-chiesa era una preghiera di riconciliazione e che qualcosa che assomiglia al perdono vagava nell'aria.

   
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