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Maria Bonafede: Anticipazione delle tematiche del prossimo Sinodo valdese-metodista 
a cura di Gaëlle Courtens - ICN-News 14 agosto 2006

Dal 20 al 25 agosto si svolgerà a Torre Pellice (TO) il Sinodo delle chiese valdesi e metodiste. Tra i temi in discussione quest'anno figurano l'ecumenismo, e in particolare i difficili rapporti con la gerarchia cattolica, la laicità dello Stato, la responsabilità civile del cristiano, i diritti dei nuovi cittadini. È quanto anticipa in un'intervista all'Agenzia stampa NEV la pastora Maria Bonafede, moderatora della Tavola Valdese.

Tra i temi che il Sinodo intende affrontare quest'anno figura quello dei nuovi cittadini e dei loro diritti. Come valuta la recente proposta governativa sull'immigrazione?

L'esercizio della responsabilità ci è fortemente connaturato. Il fatto che il funzionamento delle nostre chiese sia basato sulla consultazione democratica è elemento costitutivo della nostra fede. Visto nel più ampio contesto delle migrazioni crediamo che il diritto di esercitare questa responsabilità spetti a tutti, nuovi cittadini compresi. In questa prospettiva non possiamo che appoggiare uno sviluppo che vada non solo nella direzione di una maggiore accoglienza dello straniero, ma soprattutto di un pieno riconoscimento dei suoi diritti. Oggi tante persone senza diritti in questo paese contribuiscono non solo allo sviluppo economico, ma anche a quello culturale. Bisognerà intensificare molto il dialogo per mettere a confronto idee, valori, speranze. Rappresenta una sfida anche per le chiese, dato che ci si apre uno spazio di annuncio e di confronto nuovo.

Sul fronte interno all'Unione delle chiese valdesi e metodiste quali sono le priorità?

Intensificare una ripresa di entusiasmo. La parola chiave è predicazione. Le comunità hanno capito che viviamo della Grazia, ma senza garanzie. Il fatto di essere una chiesa che ha una lunga e consolidata storia non ci garantisce automaticamente. La constatazione della crisi a livello dei membri di chiesa di un paio d'anni fa, ha fatto scaturire nuove energie. Oggi le comunità, e insieme a loro i pastori e le pastore, hanno imparato a non dare più nulla per scontato. Vi è indubbiamente una ricerca di predicazione in grado di interpellare le coscienze di oggi, e che specialmente nei centri urbani sta già portando i primi frutti. Penso alla comunità di Palermo, per esempio, che in 5 anni è cresciuta di 40 unità. La scommessa è quella di far capire che l'Evangelo può parlare all'umanità intera, non è riservato solo ad alcuni.

Si prevede al Sinodo una valutazione critica del rapporto tra Stato e chiesa. Cos'è che crea tanta perplessità nell'atteggiamento della gerarchia cattolica?

Siamo convinti che la strada ecumenica intrapresa dalla Chiesa valdese è senza ritorno; si tratta di un punto fermo della nostra riflessione. Anzi, consideriamo la ricerca del dialogo con i nostri fratelli in Cristo come vocazione del nostro stesso modo di essere cristiani. Se il dialogo ecumenico con i cattolici a livello locale, ma anche a più ampio raggio, in molti casi è maturato e ha portato a delle esperienze più che consolidate, ci sembra opportuno segnalare criticamente l'atteggiamento della gerarchia cattolica. Indubbiamente si incontrano delle difficoltà quando da parte cattolica, parlo della Conferenza episcopale italiana e delle posizioni del pontefice, si avvertono rigidità, sia sul piano della pastorale, sia su quello dell'etica, pieno di assoluti categorici. Sul piano teologico poi, percepiamo un certo disinteresse nei confronti di un dialogo con il pensiero della Riforma. L'apertura teologica, il pensiero critico, le posizioni dialettiche sono state tutte stigmatizzate come "relativismo" e con questo liquidate. Le attenzioni ecumeniche del cattolicesimo ufficiale sono rivolte – per ovvi motivi strategici - quasi esclusivamente alla chiesa ortodossa.

Così dicendo non teme l'inasprimento dei rapporti tra evangelici e cattolici?

I rapporti sono seri se sono basati sulla franchezza. Come fratelli nella fede è nostro compito esprimere loro le nostre perplessità. Ad esempio NON condividiamo il modo con cui la gerarchia cattolica concepisce il suo rapporto con lo Stato. E' indubbio che il cattolicesimo nel nostro paese ha conquistato mediante rapporti politici una tale influenza su ampi settori della vita pubblica da incidere fortemente sui livelli del confronto democratico. E' vero anche che la classe politica glielo consente. Noi vorremmo che specie sulle questioni etiche si possa avere nel nostro paese un dibattito aperto, critico e di contenuto. Essere credenti e laici si può. In questo senso vi è un forte richiamo alle nostre comunità ad avere una predicazione attenta e molto rispettosa della laicità dello Stato. Non significa essere né laicisti, né relativisti nella fede.

 

   
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