Nella mattina di lunedì 5 ottobre, durante la
celebrazione dell'Ora Terza che ha aperto i lavori della
prima congregazione generale dell'assemblea speciale per
l'Africa del Sinodo dei vescovi, il Papa ha pronunciato a
braccio la seguente meditazione.
Cari fratelli e sorelle,
abbiamo dato inizio ora al nostro
incontro sinodale invocando lo Spirito
Santo e sapendo bene che noi non
possiamo in questo momento realizzare
quanto c'è da fare per la Chiesa e per
il mondo: solo nella forza dello Spirito
Santo possiamo trovare quanto è retto e
poi attuarlo. E tutti i giorni
inizieremo il nostro lavoro invocando lo
Spirito Santo con la preghiera dell'Ora
Terza "Nunc sancte nobis Spiritus".
Perciò vorrei adesso, insieme con voi,
meditare un po' questo inno, che apre il
lavoro di ogni giorno, sia adesso nel
Sinodo, ma anche dopo nella vita nostra
quotidiana.
"Nunc sancte nobis Spiritus". Noi
preghiamo che la Pentecoste non sia solo
un avvenimento del passato, il primo
inizio della Chiesa, ma sia oggi, anzi
adesso: "nunc sancte nobis Spiritus".
Preghiamo che il Signore adesso realizzi
l'effusione del suo Spirito e ricrei di
nuovo la sua Chiesa e il mondo. Ci
ricordiamo che gli apostoli dopo
l'Ascensione non hanno iniziato - come
forse sarebbe stato normale - a
organizzare, a creare la Chiesa futura.
Hanno aspettato l'azione di Dio, hanno
aspettato lo Spirito Santo. Hanno
compreso che la Chiesa non si può fare,
che non è il prodotto della nostra
organizzazione: la Chiesa deve nascere
dallo Spirito Santo. Come il Signore
stesso è stato concepito ed è nato dallo
Spirito Santo, così anche la Chiesa deve
essere sempre concepita e nascere dallo
Spirito Santo. Solo con questo atto
creativo di Dio noi possiamo entrare
nell'attività di Dio, nell'azione divina
e collaborare con Lui. In questo senso,
anche tutto il nostro lavoro al Sinodo è
un collaborare con lo Spirito Santo, con
la forza di Dio che ci previene. E
sempre dobbiamo di nuovo implorare il
compiersi di questa iniziativa divina,
nella quale noi possiamo poi essere
collaboratori di Dio e contribuire a far
sì che di nuovo nasca e cresca la sua
Chiesa.
La seconda strofa di questo inno - "Os,
lingua, mens, sensus, vigor, /
Confessionem personent: / Flammescat
igne caritas, / accendat ardor proximos"
- è il cuore di questa preghiera.
Imploriamo da Dio tre doni, i doni
essenziali della Pentecoste, dello
Spirito Santo: confessio,
caritas, proximos. Confessio: c'è la
lingua di fuoco che è "ragionevole",
dona la parola giusta e fa pensare al
superamento di Babilonia nella festa di
Pentecoste. La confusione nata
dall'egoismo e dalla superbia dell'uomo,
il cui effetto è quello di non poter
comprenderci più gli uni gli altri, va
superata dalla forza dello Spirito, che
unisce senza uniformare, che dà unità
nella pluralità: ciascuno può capire
l'altro, anche nelle diversità delle
lingue. Confessio: la parola, la
lingua di fuoco che il Signore ci dà, la
parola comune nella quale siamo tutti
uniti, la città di Dio, la santa Chiesa,
nella quale è presente tutta la
ricchezza delle diverse culture.
Flammescat igne caritas. Questa
confessione non è una teoria ma è vita,
è amore. Il cuore della santa Chiesa è
l'amore, Dio è amore e si comunica
comunicandoci l'amore. E infine il
prossimo. La Chiesa non è mai un gruppo
chiuso in sé, che vive per sé come uno
dei tanti gruppi che esistono nel mondo,
ma si contraddistingue per
l'universalità della carità, della
responsabilità per il prossimo.
Consideriamo uno per uno questi tre
doni. Confessio: nel linguaggio
della Bibbia e della Chiesa antica
questa parola ha due significati
essenziali, che sembrano opposti ma che
in effetti costituiscono un'unica
realtà. Confessio innanzitutto è
confessione dei peccati: riconoscere la
nostra colpa e conoscere che davanti a
Dio siamo insufficienti, siamo in colpa,
non siamo nella retta relazione con Lui.
Questo è il primo punto: conoscere se
stessi nella luce di Dio. Solo in questa
luce possiamo conoscere noi stessi,
possiamo capire anche quanto c'è di male
in noi e così vedere quanto deve essere
rinnovato, trasformato. Solo nella luce
di Dio ci conosciamo gli uni gli altri e
vediamo realmente tutta la realtà.
Mi sembra che dobbiamo tener presente
tutto questo nelle nostre analisi sulla
riconciliazione, la giustizia, la pace.
Sono importanti le analisi empiriche, è
importante che si conosca esattamente la
realtà di questo mondo. Tuttavia queste
analisi orizzontali, fatte con tanta
esattezza e competenza, sono
insufficienti. Non indicano i veri
problemi perché non li collocano alla
luce di Dio. Se non vediamo che alla
radice vi è il Mistero di Dio, le cose
del mondo vanno male perché la relazione
con Dio non è ordinata. E se la prima
relazione, quella fondante, non è
corretta, tutte le altre relazioni con
quanto vi può essere di bene,
fondamentalmente non funzionano. Perciò
tutte le nostre analisi del mondo sono
insufficienti se non andiamo fino a
questo punto, se non consideriamo il
mondo nella luce di Dio, se non
scopriamo che alla radice delle
ingiustizie, della corruzione, sta un
cuore non retto, sta una chiusura verso
Dio e, pertanto, una falsificazione
della relazione essenziale che è il
fondamento di tutte le altre.
Confessio: comprendere nella luce
di Dio le realtà del mondo, il primato
di Dio e infine tutto l'essere umano e
le realtà umane, che tendono alla nostra
relazione con Dio. E se questa non è
corretta, non arriva al punto voluto da
Dio, non entra nella sua verità, anche
tutto il resto non è correggibile perché
nascono di nuovo tutti i vizi che
distruggono la rete sociale, la pace nel
mondo.
Confessio: vedere la realtà nella
luce di Dio, capire che in fondo le
nostre realtà dipendono dalla nostra
relazione col nostro Creatore e
Redentore, e così andare alla verità,
alla verità che salva. Sant'Agostino,
riferendosi al capitolo 3° del Vangelo
di san Giovanni, definisce l'atto della
confessione cristiana con "fare la
verità, andare alla luce". Solo vedendo
nella luce di Dio le nostre colpe,
l'insufficienza della nostra relazione
con Lui, camminiamo alla luce della
verità. E solo la verità salva. Operiamo
finalmente nella verità: confessare
realmente in questa profondità della
luce di Dio è fare la verità.
Questo è il primo significato della
parola confessio, confessione dei
peccati, riconoscimento della
colpevolezza che risulta dalla nostra
mancata relazione con Dio. Ma un secondo
significato di confessione è quello di
ringraziare Dio, glorificare Dio,
testimoniare Dio. Possiamo riconoscere
la verità del nostro essere perché c'è
la risposta divina. Dio non ci ha
lasciati soli con i nostri peccati;
anche quando la nostra relazione con la
Sua maestà è ostacolata, Egli non si
ritira ma viene e ci prende per mano.
Perciò confessio è testimonianza
della bontà di Dio, è evangelizzazione.
Potremmo dire che la seconda dimensione
della parola confessio è identica
all'evangelizzazione. Lo vediamo nel
giorno di Pentecoste, quando san Pietro,
nel suo discorso, da una parte accusa la
colpa delle persone - avete ucciso il
santo e il giusto -, ma, nello stesso
momento, dice: questo Santo è risorto e
vi ama, vi abbraccia, vi chiama a essere
suoi nel pentimento e nel battesimo,
come pure nella comunione del suo Corpo.
Nella luce di Dio, confessare diventa
necessariamente annunciare Dio,
evangelizzare e così rinnovare il mondo.
La parola confessio però ci
ricorda ancora un altro elemento. Nel
capitolo 10° della Lettera ai Romani san
Paolo interpreta la confessione del
capitolo 30° del Deuteronomio. In quest'ultimo
testo sembra che gli ebrei, entrando
nella forma definitiva dell'alleanza,
nella Terra Santa, abbiano paura e non
possano realmente rispondere a Dio come
dovrebbero. Il Signore dice loro: non
abbiate paura, Dio non è lontano. Per
arrivare a Dio non è necessario
attraversare un oceano ignoto, non sono
necessari viaggi spaziali nel cielo,
cose complicate o impossibili. Dio non è
lontano, non è dall'altra parte
dell'oceano, in questi spazi immensi
dell'universo. Dio è vicino. È nel tuo
cuore e sulle tue labbra, con la parola
della Torah, che entra nel tuo
cuore e si annuncia nelle tue labbra.
Dio è in te e con te, è vicino.
San Paolo sostituisce, nella sua
interpretazione, la parola Torah
con la parola confessione e fede. Dice:
realmente Dio è vicino, non sono
necessarie spedizioni complicate per
arrivare a Lui, né avventure spirituali
o materiali. Dio è vicino con la fede, è
nel tuo cuore, e con la confessione è
sulle tue labbra. È in te e con te.
Realmente Gesù Cristo con la sua
presenza ci dà la parola della vita.
Così entra, nella fede, nel nostro
cuore. Abita nel nostro cuore e nella
confessione portiamo la realtà del
Signore al mondo, a questo nostro tempo.
Mi sembra questo un elemento molto
importante: il Dio vicino. Le cose della
scienza, della tecnica comportano grandi
investimenti: le avventure spirituali e
materiali sono costose e difficili. Ma
Dio si dona gratuitamente. Le cose più
grandi della vita - Dio, amore, verità -
sono gratuite. Dio si dà nel nostro
cuore. Direi che dovremmo spesso
meditare questa gratuità di Dio: non c'è
bisogno di grandi doni materiali o anche
intellettuali per essere vicini a Dio.
Dio si dona gratuitamente nel suo amore,
è in me nel cuore e sulle labbra. Questo
è il coraggio, la gioia della nostra
vita. È anche il coraggio presente in
questo Sinodo, perché Dio non è lontano:
è con noi con la parola della fede.
Penso che anche questa dualità sia
importante: la parola nel cuore e sulle
labbra. Questa profondità della fede
personale, che realmente mi collega
intimamente con Dio, deve poi essere
confessata: fede e confessione,
interiorità nella comunione con Dio e
testimonianza della fede che si esprime
sulle mie labbra e diventa così
sensibile e presente nel mondo. Sono due
cose importanti che vanno sempre
insieme.
Poi l'inno del quale parliamo indica
anche i luoghi in cui si trova la
confessione: "os, lingua, mens, sensus,
vigor". Tutte le nostre capacità di
pensare, parlare, sentire, agire, devono
risuonare - il latino usa il verbo "personare"
- la parola di Dio. Il nostro essere, in
tutte le sue dimensioni, dovrebbe essere
riempito da questa parola, che diventa
così realmente sensibile nel mondo, che,
tramite la nostra esistenza, risuona nel
mondo: la parola dello Spirito Santo.
E poi brevemente altri due doni. La
carità: è importante che il
cristianesimo non sia una somma di idee,
una filosofia, una teologia, ma un modo
di vivere, il cristianesimo è carità, è
amore. Solo così diventiamo cristiani:
se la fede si trasforma in carità, se è
carità. Possiamo dire che anche lógos
e caritas vanno insieme. Il
nostro Dio è, da un parte, lógos,
ragione eterna. Ma questa ragione è
anche amore, non è fredda matematica che
costruisce l'universo, non è un
demiurgo; questa ragione eterna è fuoco,
è carità. In noi stessi dovrebbe
realizzarsi questa unità di ragione e
carità, di fede e carità. E così
trasformati nella carità diventare, come
dicono i Padri greci, divinizzati. Direi
che nello sviluppo del mondo abbiamo
questo percorso in salita, dalle prime
realtà create fino alla creatura uomo.
Ma questa scala non è ancora finita.
L'uomo dovrebbe essere divinizzato e
così realizzarsi. L'unità della creatura
e del Creatore: questo è il vero
sviluppo, arrivare con la grazia di Dio
a questa apertura. La nostra essenza
viene trasformata nella carità. Se
parliamo di questo sviluppo pensiamo
sempre anche a questa ultima meta, dove
Dio vuole arrivare con noi.
Infine, il prossimo. La carità non è
qualcosa di individuale, ma universale e
concreta. Oggi nella Messa abbiamo
proclamato la pagina evangelica del buon
samaritano, in cui vediamo la duplice
realtà della carità cristiana, che è
universale e concreta. Questo samaritano
incontra un ebreo, che quindi sta oltre
i confini della sua tribù e della sua
religione. Ma la carità è universale e
perciò questo straniero in tutti i sensi
è per lui prossimo. L'universalità apre
i limiti che chiudono il mondo e creano
le diversità e i conflitti. Nello stesso
tempo, il fatto che si debba fare
qualcosa per l'universalità non è
filosofia ma azione concreta. Dobbiamo
tendere a questa unificazione di
universalità e concretezza, dobbiamo
aprire realmente questi confini tra
tribù, etnie, religioni all'universalità
dell'amore di Dio. E questo non in
teoria, ma nei nostri luoghi di vita,
con tutta la concretezza necessaria.
Preghiamo il Signore che ci doni tutto
ciò, nella forza dello Spirito Santo.
Alla fine l'inno è glorificazione del
Dio trino ed unico e preghiera di
conoscere e di credere. Così la fine
ritorna all'inizio. Preghiamo affinché
possiamo conoscere, conoscere diventi
credere e credere diventi amare, azione.
Preghiamo il Signore affinché ci doni lo
Spirito Santo, susciti una nuova
Pentecoste, ci aiuti a essere i suoi
servitori in questa ora del mondo. Amen.
(©L'Osservatore Romano - 5- 6 ottobre 2009)