|
|
|
|
|
Sinodo dei Vescovi per
il Medio Oriente
Samir Khalil Samir commenta l'Instrumentum Laboris
Cristiani uniti, il piccolo
gregge e la speranza del Medio Oriente
Un magistrale commento dell’Instrumentum
Laboris nel giorno della pubblicazione
da parte di Benedetto XVI a Cipro, 6
giugno 2010. Le
urgenze per i cristiani in Medio Oriente
(la sopravvivenza, l’emigrazione, gli
immigrati cristiani asiatici; la libertà
religiosa): unità con gli ortodossi;
testimonianza nel mondo ebraico e nel
mondo islamico; plasmare la società
contemporanea nella modernità e nella
pace.
L’Instrumentum laboris
(IL) reso
pubblico dal papa a Cipro, dal punto di
vista della struttura globale non è
cambiato rispetto ai
Lineamenta. Lo
sviluppo interno di ogni punto è però
diverso perché sono state integrate
almeno 100 risposte giunte da tutte le
parti: Egitto, Iraq, Palestina, Israele,
Siria, Giordania, Libano e
dall’emigrazione: da Parigi, America,…
Alcuni paragrafi sono quasi identici ma
nel complesso almeno 2/3 dell’IL è
nuovo, dovendo rispondere a diverse
sollecitazioni e critiche.
La situazione dei Cristiani è
profondamente cambiata negli ultimi
decenni
La struttura rimane quella prevista in
partenza: la prima parte, abbastanza
sviluppata, è sullo status questionis,
dove si cerca di dire qual è la
situazione dei cristiani oggi e perché
emigrano. Si spiega che i motivi sono
spesso il cambiamento subito dalla
società mediorientale negli ultimi
decenni:
- in primo luogo l’islamizzazione
generalizzata (in particolare in
Egitto);
- il peggioramento della situazione
politica di tutti i Paesi, sottomessi ad
autoritarismi e dittature, oppure alla
guerra civile in Libano e la conseguente
perdita d’influsso dei cristiani;
- il prolungamento del conflitto israelo-palestinese che influenza
l’instabilità di tutta la regione;
- la guerra in Iraq, che si è aggiunta
negli ultimi tempi e che accresce le
ansie dei cristiani.
In Medio oriente, ciò che succede in un
Paese, si ripercuote negli altri. Del
resto, molti immigrati irakeni, ad
esempio, si trovano ormai in altri paesi
arabi: Giordania soprattutto, Siria
(molti), Libano, Egitto…
L’emigrazione dei Cristiani
Lo sviluppo interno del cristianesimo è
segnato da un’emigrazione lenta, ma
continua, i cui risultati, dopo quasi
30-40 anni, sono sotto gli occhi di
tutti. In Libano ad esempio, al tempo della
Costituzione nel ’46, circa 60 anni fa,
vi era una piccola maggioranza
cristiana, rispetto a musulmani e drusi.
Ora nessuno vuole fare un censimento, ma
i cristiani sono scesi al di sotto del
40% (forse anche 35%). E questo fa una
grande differenza, anche politica. In Libano si dice: “Se questo fenomeno
continua, fra qualche decennio saremo
meno del 30%. Avremo ancora la libertà
di decidere sul futuro del paese? Saremo
ancora uno Stato islamo-cristiano?”.
Molti cristiani dicono: “Io rimarrei nel
mio Paese, ma i miei figli potranno
ancora vivere la loro fede?”.
Questo vale ancora di più per gli altri
Paesi, dove la percentuale dei cristiani
non supera il 10%, come in Egitto.
Altrove essa è del 6, del 5, del 3%. In
altri Paesi della regione, come in
Turchia, si vede la caduta in picchiata
della presenza cristiana: in un secolo
da circa il 20% si è giunti al 1%.
L’ecumenismo
Questa situazione spinge ormai a pensare
questi problemi non più solo come
“cattolici”, ma come “cristiani”. E
questa è una caratteristica del Sinodo
attuale.
Nel mese di maggio sono stato invitato a
Monaco al “2. Ökumenischer Kirchentag”,
il più grande incontro ecumenico con
circa 100.000 persone, per parlare del
Sinodo per le Chiese del Medio oriente.
Con me c’era un professore greco
ortodosso libanese, che insegna a
Münster. Esso ha detto “Questo Sinodo è
importante per noi ortodossi come
nient’altro al mondo”.
È necessario pensare alla presenza degli
ortodossi al Sinodo, facendo sì che essi
siano presenti non solo con qualche
rappresentante, ma lavorando insieme a
una rappresentanza folta, proprio
insieme.
La questione dell’unità fra i cristiani
che scompaiono; le sfide sociali e
politiche; la libertà religiosa, che in
Medio oriente non esiste (esiste libertà
di culto – e non sempre – ma quella di
esprimere la propria religione è negata
anche in Algeria, Tunisia, ecc.); sono
tutte tematiche che vanno affrontare
insieme.
Ma anche i musulmani devono poter essere
presenti, per comprendere che è tempo
per loro di evolvere, senza perdere la
loro personalità, ma affrontando la
questione dei diritti umani, più
importanti e primari di quelli della
religione.
L’immigrazione cristiana internazionale
Un altro problema comune, che le Chiese
non hanno ancora affrontato in pieno è
l’immigrazione cristiana internazionale
da Filippine, Sri Lanka, India, Etiopia,
Sudan ... verso i Paesi del Medio
oriente.
Giorni fa a Beirut, ascoltavo alla radio
il ministro libanese della giustizia che
sottolineava l’urgenza di affrontare il
problema delle domestiche straniere in
Libano, per trattarle con giustizia in
conformità con i diritti umani. Questa
presa di coscienza è dovuto senz’altro
ai numerosi attivisti cristiani in
difesa di queste persone.
In tutto il Medio oriente le colf
giungono oltre ad 1 milione. Molte di
loro sono cattoliche e sono trattate
come schiave. C’è una presa di coscienza
e questo è dovuto proprio all’impegno
dei cattolici. Pur essendo una
minoranza, siamo fra i più attenti ai
problemi dei diritti umani, della
persona, della società.
La sottolineatura sugli immigrati
cristiani dall’Oriente è importante
anche in un altro senso. Essi sono una
testimonianza e un sostegno ai cristiani
locali. Sono comunità vive, piene di
canto e gioia. Sottolineare la loro
presenza è importante anche per l’Arabia
saudita, dove non è permesso alcun
culto, ma vi sono più di un milione di
cristiani che vi lavorano e lo Stato non
può rifiutarsi all’infinito di trovare
una soluzione.
Il rapporto con i cristiani d’Occidente
Sulla comunione con le Chiese
dell’occidente, nell’IL si dice poco, e
si domanda loro di aiutare la situazione
politico-sociale del Medio oriente
influenzando i rispettivi governi
occidentali (dove è possibile).
Va detto che il rapporto fra Chiese
d’Oriente e d’Occidente è cambiato dal
tempo delle Crociate o dei protettorati
libanesi. Noi ci rendiamo conto che
l’occidente ormai non è più cristiano.
Una volta la Francia era definita “la
figlia primogenita della Chiesa”; oggi
sarebbe piuttosto definita “la figlia
che ha rinnegato la madre”!.
D’altra parte vi è la presa di coscienza
che, noi cristiani d’Oriente, abbiamo
un’identità propria. E devo dire che nel
documento non si trova nemmeno una riga
sul colonialismo, sulle piaghe prodotte
dall’occidente, ecc… Noi non abbiamo
questo complesso, neppure il rigetto
dell’occidente. Abbiamo un’identità
chiara in dialogo con esso.
Per un verso pensiamo che l’Occidente ha
da dare ancora molto all’Oriente, anche
dal punto di vista spirituale. I
discorsi del papa (dei vari papi) sono
ascoltati con rispetto e stima da molti,
cristiani e non, per la loro
spiritualità e la loro attenzione a una
giusta evoluzione della società. Durante
un corso a Beirut, una professoressa
ortodossa d’oriente mi ha spiegato che
lei reputa importante questo Sinodo e
lei e la sua Chiesa lo vivono come una
cosa “loro”.
Tutte le infrastrutture della Chiesa
cattolica in Libano, in Egitto e altrove
in Oriente, sono possibili grazie
all’aiuto finanziario e di personale dei
missionari cattolici, orientali e
occidentali. E questo rinnova lo stile
negli ospedali e nelle scuole.
Il lavoro sociale a favore dei
sindacati, dei diritti dei lavoratori, e
in genere della giustizia, sono avvenuti
grazie all’influenza di religiosi
occidentali. In Egitto il lavoro sociale
viene svolto anche dai musulmani, e loro
stessi riconoscono di aver imparato
questo dagli occidentali cristiani.
Il ruolo dei cristiani nella società
mediorientale
Nel documento si sottolinea che noi
cristiani d’Oriente abbiamo un ruolo
unico: anzitutto verso i governi, per
dire loro che il motivo per cui
rimaniamo – e non emigriamo tutti – è la
nostra missione in questa terra e il
lavorare per il suo benessere. I
cristiani hanno un ruolo che è
insostituibile e specifico. Siamo uno
dei punti più acuti della coscienza
civile.
In secondo luogo va detto questo ai
cristiani: anche se siamo una piccola
minoranza, che potrebbe anche ridursi in
futuro, abbiamo un ruolo anche se siamo
un piccolo numero. Del resto il
documento ricorda che anche gli apostoli
erano un gruppetto piccolissimo eppure
in tre secoli hanno cambiato il mondo di
allora.
La Comunione
Partendo poi dal sottotitolo dato dal
papa al Sinodo, “Comunione e
testimonianza”, abbiamo due altre parti.
Nella seconda parte si parla della
comunione nella Chiesa cattolica tra i
fedeli, e tra fedeli e clero; mentre
nella terza parte si parla della
testimonianza verso le altre Chiese e i
non cristiani (Ebrei e Musulmani).
Personalmente, io avrei inserito, in
questa seconda parte sulla comunione,
anche le sezioni sulla catechesi, sul
rinnovamento della liturgia nella
fedeltà alla Tradizione propria (che
deve esser fatto possibilmente insieme
agli ortodossi) e sull’ecumenismo (che
sono ora nella terza parte), perché
questi ambiti sono strumenti di vera
comunione fra i cattolici e con gli
altri cristiani. Gesù Cristo nell’Ultima
cena ha pregato per l’unità dei
cristiani. E se i cristiani sono
disuniti, la testimonianza perde senso.
La testimonianza verso ebrei e musulmani
La terza parte, la testimonianza è
focalizzata soprattutto verso i non
cristiani (ebrei e musulmani) e verso
l’impegno nella città, per costruire una
società più umana, più degna dell’Uomo.
In questa parte, vi sono sezioni
riguardanti il dialogo religioso e
teologico con l’ebraismo e con l’islam.
Questa parte è stata tutta riveduta,
soprattutto per ciò che riguarda
l’ebraismo. In altre parti si affronta
la questione politica, in vista di una
pace nella giustizia. Ma in queste
sezioni abbiamo voluto affrontare la
questione teologica.
In Medio oriente, né musulmani, né ebrei
distinguono fra politico e religioso, e
in generale, l’odio è il denominatore
comune. Fra i cristiani, una parte fa la
distinzione; un’altra parte proietta
sulla teologia ciò che si vive nella
politica. Vi sono cristiani – pure
cattolici – che affermano che l’Antico
Testamento è un testo “brutto, che non
viene da Dio”, proprio come i musulmani,
che ne riconoscono in teoria
l’ispirazione divina, ma poi dicono che
questi testi sono stati manipolati (il
tahrîf).
Nel documento si insiste sul fondamento
teologico nel legame con l’ebraismo, sul
rapporto fra il Nuovo Israele e
l’Antico: per la teologia orientale
questa è una sfida. Molte Chiese vivono
chiuse nell’orizzonte del mondo arabo.
Eppure, soprattutto quelle di Terra
Santa, si devono confrontare nella vita
quotidiana anche con il mondo ebraico.
Un contributo importante a questa
apertura l’ha data il Patriarcato di
Gerusalemme. I contributi giunti da
Gerusalemme dicono: per noi il problema
non è l’islam, ma l’Israele religioso,
che nella vita concreta ha molti aspetti
simili all’islam.
L’attenzione al mondo ebraico e alle
radici ebraiche della fede cristiana è
fondamentale: vi sono cristiani che si
rifiutano di leggere l’Antico testamento
perché si parla di Israele. In Palestina
tempo fa si pensava di “purgare” tutti i
salmi delle parti i cui si parlava di
“Israele”, recitando una preghiera
monca, a causa dell’ambiguità che gli
Ebrei stessi facevano usando questa
parola.
Alcuni collaboratori musulmani hanno
lamentato che la parte dedicata
all’islam è breve. Da un certo punto di
vista è vero, ma vi è l’essenziale. Per
il resto, quando si parla della
testimonianza nella città (l’ultima
parte dell’IL), dell’ambiguità della
modernità e della collaborazione per
affrontarla religiosamente e
spiritualmente, di fatto si parla non
solo dei cristiani, ma anche dei
musulmani.
Sul tema della testimonianza nella città
non si può separare fra noi e loro. Del
resto, una fonte di ispirazione per l’IL
sono stati i 10 documenti dei Patriarchi
d’Oriente, ricchissimi di spunti; due di
questi sono esclusivamente dedicati
all’islam.
La conclusione: abbiamo una missione in
questa regione, che ci dà speranza
Infine vi è la conclusione, in cui si
sottolinea la speranza: abbiamo una
missione e anche se siamo una minoranza,
questo non deve scoraggiarci.
Questa speranza cristiana riesce ad
infiammare anche la situazione
politico-sociale, che invece è spesso
“statica” e “stantia”? Non molto.
Il documento sottolinea una speranza
contro ogni speranza, una speranza
fondata su Cristo, più che sulla
positività dei fatti di cronaca. In
Medio oriente abbiamo l’impressione che
la situazione è bloccata e sfugge dalle
mani. Una parte dei palestinesi e una
parte degli israeliani non vogliono la
pace. Entrambi questi due gruppi hanno
interesse a mantenere uno stato di
tensione.
D’altronde le grandi potenze sono
deboli: la Russia è fuori da tempo
dall’area medio-orientale; gli Stati
Uniti sono uniti mani e piedi ad
Israele, per motivi loro. C’era qualche
speranza con Obama, ma nella pratica non
si vede nulla. Abbiamo il sentimento che
la situazione ci sfugge.
Ma restiamo ad affermare che solo nella
legalità e nel rispetto di tutte le
decisioni della comunità internazionale
rappresentata dall’ONU, e nella garanzia
dei “due Stati” (israeliano e
palestinese), come nel rispetto della
giustizia, vi è la pace della regione.
Nessuna soluzione può provenire dalla
forza e dalla violenza; solo il dialogo
fondato sulla giustizia e il rispetto
delle decisioni internazionali potranno
condurre alla pace.
Comunque, qualcosa giustifica la nostra
speranza. Fino a 10 anni fa, in Libano,
il progetto degli sciiti era costruire
uno Stato islamico sul modello iraniano.
Ora anche gli sciiti dicono che non
vogliono uno Stato islamico, perché
hanno avuto la prova in Iran che questo
sarebbe un regresso. Dunque, qualcosa va
avanti, a piccoli passi.
Anche i tentativi in Egitto di
restringere il più possibile la sharia,
lasciando qualche spazio in più ai
cristiani è un fatto notevole. Da alcuni
anni questo è divenuto un tema in forte
discussione. Ogni anno in Egitto, di
fronte a migliaia di cristiani che si
convertono all’islam (spesso per motivi
di famiglia), vi sono forse 1000
musulmani che si convertono al
cristianesimo e questi non sono più
uccisi (magari sono emarginati, o
praticano in modo sotterraneo): questo
mostra che si va verso un’evoluzione in
positivo. La nostra presenza di
cristiani, dunque, non è inutile.
L’ultima parola è che, noi cristiani
siamo coscienti di avere una missione in
questo Medio Oriente. Lì è nato il
cristianesimo che ha fecondato il mondo,
lì continuare a fecondare questa terra
benedetta da Dio. Diventerà davvero
“Terra Santa” se noi cristiani sapremo
vivere il Vangelo ed esserne i
Testimoni, fino alla Testimonianza
ultima se necessario!
© Copyright AsiaNews
|
|
| |
| |