«L'arcipelago degli "invisibili"»
Adriano dell'Asta, su Avvenire 14 agosto 2008

Furono oltre duecento gli amici di Aleksandr Solzenicyn che collaborarono in segreto con lui nell’opera di denuncia dei Gulag. Una mostra nel prossimo Meeting di Rimini svela finalmente i loro nomi

227 nomi. Al prossimo Meeting di Rimini, nella mostra curata da Russia Cristiana e dalla fondazione Solzenicyn di Mosca e dedicata al grande scrittore da poco scomparso, un’intera parete sarà occupata dai 227 nomi delle persone che fornirono a Solzenicyn una parte dei materiali e delle informazioni necessarie per comporre il suo Arcipelago Gulag.

Nell’impianto originario della mostra questi nomi non figuravano; si parlava degli 'invisibili' che in mille modi aiutarono lo scrittore durante il suo lavoro, ma i nomi non c’erano: l’idea di inserirli è venuta nel giugno scorso, su esplicita sollecitazione di Solzenicyn, che ci aveva fatto comunicare questo suo desiderio durante uno degli ultimi incontri organizzativi. Fin qui questi nomi non erano mai apparsi in nessuna delle edizioni italiane dell’Arcipelago, per il semplice fatto che non figuravano neppure nelle edizioni originali russe: motivi di sicurezza avevano consigliato di proteggere in questo modo chi aveva aiutato lo scrittore.

E questi motivi, quasi per forza di inerzia, avevano continuato ad agire fino a poco tempo fa: solo recentemente, nelle ultimissime edizioni del libro, i nomi erano apparsi e ora dovevano essere conosciuti anche dal pubblico italiano. Nel desiderio espresso da Solzenicyn, adesso possiamo vedere una parte delle sue ultime volontà di «restituire integralmente la memoria alla Russia privata della sua memoria». Ma c’è anche molto del suo modo di vedere il mondo e il proprio lavoro di scrittore. La sua è stata l’opera di un gigante, è l’opera dell’uomo che rinasce e ritrova la propria dignità e libertà in un mondo che aveva fatto di tutto per distruggerle; ma nello stesso tempo quest’opera non è mai stata concepita come l’opera di un io isolato.

L’Arcipelago è l’opera di un io e del suo popolo; se è stato tanto destabilizzante per il regime, come anche chi non ama particolarmente Solzenicyn è stato costretto ad ammettere, è stato proprio perché al suo cuore c’è questa intuizione della rinascita dell’io e del popolo, che sono tra i primi bersagli di un regime totalitario. Il regime non può vincere finché sopravvive l’io con la sua capacità di giudizio indipendente, con la sua capacità di volgersi all’infinito e di sottrarsi alla pressione di ogni potere finito.

E non può vincere, il regime, finché questo io è sostenuto da un popolo; ecco perché, secondo Solzenicyn, una delle caratteristiche principali del potere sovietico è stata quella di aver fatto sì che, per la prima volta nella storia, un popolo diventasse nemico di se stesso. A differenza di quanto è stato detto un po’ frettolosamente in questi giorni, se il regime è stato tanto danneggiato dall’Arcipelago non è stato perché Solzenicyn avrebbe svelato l’esistenza dei campi; del resto, come lui stesso ripete più volte, questa esistenza era nota in occidente da sempre, almeno per chi non voleva chiudere gli occhi o lasciarsi ingannare dalla propaganda sovietica.

Giustamente Glucksmann ha fatto notare che se il suo libro è stato tanto dirompente è perché ha svelato un’altra cosa: che nei campi era possibile resistere. Lo hanno fatto un io e un popolo. Ma, come dimostra la storia personale di Solzenicyn e dei suoi «invisibili», si deve aggiungere che questa resistenza ha potuto avere la meglio su un potere così apparentemente invincibile perché non era dettata da una nuova e più ricca ideologia, ma dipendeva dall’esistenza di uomini il cui essere e il cui comportamento erano totalmente agli antipodi rispetto all’idea di uomo nuovo del regime. Là dove il regime proponeva l’idea dell’Homo sovieticus che, in una colossale opera di riforgiatura, doveva eliminare gli scarti dell’umanità precedente, il materiale umano che non poteva essere utilizzato per costruire la nuova macchina socialista, nei romanzi e nella vita di Solzenicyn c’è l’uomo reale che, con tutti suoi limiti, tutta la sua mancanza di eroicità e perfezione, agisce gratuitamente, per una solidarietà intrinseca alla sua natura, priva di tornaconto e, proprio per questo, inevitabilmente vittoriosa a dispetto degli esiti. Alëška il battista, l’ingenuo e un po’ sempliciotto compagno di prigionia di Ivan Denisovic, lo colpisce perché non si tira mai indietro e aiuta chiunque glielo chieda senza alcun interesse, per pura bontà; e in questo modo fa venire a Ivan Denisovic il desiderio di essere come lui. È l’esatto contrario di quello che vorrebbe ottenere il regime, per il quale persino i rapporti naturali più stretti devono essere annullati in nome della rivoluzione, e qualsiasi relazione umana deve passare attraverso la mediazione del partito, al punto che il figlio deve arrivare a denunciare il padre per il bene della causa. Allo stesso modo, anche gli «invisibili» hanno aiutato Solzenicyn in pura gratuità, rischiando la vita e sapendo che il loro sacrificio o comunque la loro generosità difficilmente avrebbero potuto avere un riconoscimento pubblico; e non erano eroi, potevano essere caduti mille volte prima del riscatto e, viceversa, potevano cedere dopo gesti di coraggio. Ma questi uomini semplici sono distruttivi per il regime proprio perché distruggono il suo mito principale: là dove il regime vorrebbe un genere umano che si salva da solo sacrificando le singole persone reali, questa gente gli resiste e sopravvive con una forza che nessuno le sospetterebbe e che propriamente non è di questi uomini, «non è fatta da mano d’uomo in questo mondo di cose fatte dagli uomini».

Solzenicyn è stato distruttivo per il regime che credeva di aver cancellato Dio dalla memoria degli uomini, perché dopo aver mostrato la resistenza dell’io e del popolo ha mostrato che essa dipendeva da qualcosa che l’uomo non si può dare da solo ma riceve in dono da Dio; Solzenicyn chiama «anima» questo dono che costituisce il «nucleo dell’io» e del popolo: «Il Popolo non sono tutti coloro che parlano la nostra lingua, ma non sono neppure gli eletti, coloro che portano il marchio infuocato del genio. Non per la nascita, non per il lavoro delle proprie mani e non per le ali della propria cultura gli uomini vengono selezionati per formare il Popolo.

Ma per la loro anima». Mostrare che questa anima non era l’oppio dei popoli, ma la fonte di una socialità reale persino nell’inferno nei campi, mostrare che Matriona non era una vecchia stupida, ma «il giusto senza il quale non vive il villaggio, né la città, né tutta la terra nostra», era la vittoria definitiva sul regime.
Ricordare i nomi degli «invisibili» uno per uno è continuare a fare memoria di questa vittoria.

Per aiutare il noto scrittore, da poco scomparso, misero spesso a rischio la vita. Ma rimasero tenaci nell’accusare un regime intento a derubare il popolo della propria anima

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