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Il Sorriso della Bellezza in Dio e nella Chiesa e nella
Società d’oggi.
Nel 1963 Ball Harvey, un famoso designer americano, con pochi tratti
di penna disegnò per un’azienda che aveva bisogno di risollevare il
morale dei dipendenti uno ‘smile’ – una faccina sorridente su fondo
giallo – che fece il giro del mondo per saper illustrare la più efficace
rappresentazione della positività della vita e dell’allegra fiducia che
ne segue: da allora lo smile di Harvey (Monna Lisa è da sempre fuori
concorso) resta tra le icone più universali del sorriso.
Papa Benedetto XVI, nella sua omelia della Messa con i malati, sul
sagrato della basilica di Notre-Dame du Rosaire a Lourdes, il 15
settembre 2008 pronunciò ventitré volte la parola ‘sorriso’; in
particolare ci tenne a sottolineare che la Vergine Maria era apparsa
alla giovane Bernadette per farle conoscere «innanzitutto il suo
sorriso, quasi fosse la porta d’accesso più appropriata alla rivelazione
del suo mistero».
Che il sorriso sia un’eminente «porta d’accesso» non solo al Mistero
divino, ma, in generale, alla vita intelligente, lo constatiamo tutti i
giorni anche noi con i nostri sorrisi e più ancora con i sorrisi
innocenti e aperti dei nostri bambini: gli occhi brillano,
l’intelligenza celata palpita viva, e, messa da parte la profonda
serietà con cui un bimbo segue le nostre parole con attenzione, quel
«lume dell’intelletto» si irradia e straripa nella felicità di averle
poi afferrate e comprese.
Sì: il sorriso è una «porta d’accesso»: vi transita il mistero della
vita, e vi transita in entrambi i sensi: aprendosi l’uscio del sorriso,
esce dal volto e dagli occhi in tutta la sua purezza e luce l’intelletto
che vi è dietro ed entra in certo modo il nostro, almeno per cogliere il
profumo di quella cara vivezza che gli si è aperta davanti, il fiore
della sua presenza.
Il sorriso degli occhi è il sorriso del cuore. Dunque non si parla delle
mille varietà che può assumere il sorriso allorché diviene strumentale a
una qualsiasi delle tante seconde intenzioni di cui può ben essere
latore suo malgrado: per scorrerne il pungente loro catalogo va goduto
Il sorriso. Il sorriso degli dei e degli uomini nell’arte e nella
letteratura di Christian de Bartillat (Colla editore, Vicenza 2008), ma
qui voglio indicare precisamente e solo quella dolce, ineffabile
espressione che, mossa persino nei suoi più impercettibili cambiamenti
da ben quindici vigili muscoli intorno alle labbra, e ravvivata dal
bagliore che si irraggia dai due soli, apre il volto nell’effluvio del
suo misterioso, dolcissimo, anche impercettibile splendore: lo fa bello,
e, come nota de Bartillat, moltiplicandolo nelle moltitudini lo fa
addirittura divenire «la testimonianza essenziale della civiltà».
Il sorriso dunque. Ma come mai il sorriso è così importante? Dalle
parole di de Bartillat parrebbe che davvero esso meriti di essere
ritenuto l’espressione massima cui anelare, che sia dunque la
manifestazione da raggiungere al sommo della vita: espressione di gioia
e di esistenza da poter guadagnare, come non ritenevano affatto i Greci,
con le loro tragiche “ombre”.
E in verità è proprio così. Ma il motivo per cui così è il fine dei
nostri sforzi: riconsegnarci, col sorriso, nella più perfetta
somiglianza raggiungibile, a quella divina Imago del Padre che è il suo
Figlio diletto, ecco: il motivo profondo di ciò è che nel Figlio diletto
questa divina Imago che ci attende è proprio sorridente: è gioiosamente
ab æterno contemplante, nel seno del Padre, l’Essere infuocato
d’amore che lo genera.
Ma qui da un sorriso, da un semplice moto di muscoli, si è saliti a
realtà somme, quasi imperscrutabili: si son tirate in ballo cose come
“Trinità”, “Figlio diletto”, “Imago”, “somiglianza”.
Ed è proprio questo che va fatto: va utilizzato il passaggio aperto da
Benedetto XVI con la sua intuizione: il sorriso, «la porta d’accesso più
appropriata alla rivelazione» del mistero di Maria, è per ciò stesso «la
porta d’accesso» al mistero della Redenzione, e in ultimo quindi al
mistero della ss. Trinità.
Lo stato di “regale sorridenza”
è lo stato proprissimo della santissima Trinità.
Sicché, magari con l’aiuto di Dottori come Agostino, Bonaventura,
Tommaso (per non dire di Atanasio, del Nazianzeno, dell’Areopagita),
sarà ben utile spingerci in qualche modo dal sorriso dei bambini fin nel
seno stesso della ss. Trinità: spesso nella ss. Trinità si trovano
chiarite le cose più importanti che ci circondano, e, nota Nicola Bux
sul rapporto tra noi e Dio, una verità vi troviamo soprattutto: «Per
capire qualsiasi cosa [della nostra natura] è necessario partecipare
della sua natura» La riforma di Benedetto XVI. La liturgia tra
innovazione e tradizione, Piemme, Milano 2008, dal che si rivela
senz’altro conveniente utilizzare i concetti insegnati in quegli augusti
De Trinitate: sono pioli sicuri per quel prudente scalatore che
vuole accingersi a superare certe solo apparenti difficoltà e così
giungere a importanti conclusioni, a splendidi panorami che proprio per
e dalla loro bellezza gli ridaranno poi più vita.
Nella Trinità, allora.
Primo piolo. Come mai il Figlio – contemplando in Sé la perfezione
paterna – è, se così si può dire, di una “serietà lieta e spiritualmente
sorridente”? Lo è perché l’essere essente che lo genera ab æterno
è un Io personale e non un essere astratto: il Padre è una Mente-persona
che genera il proprio Pensiero-persona perché il Padre è, insegnano i
grandi Dottori con efficace figura, una Mente vivente che genera, nella
propria Spirazione-persona, il proprio eterno Pensiero Unigenito.
Aggiunge Fulgenzio di Ruspe: «Il Verbo che nasce dalla Mente non ha
nulla di meno di quanto c’è nella Mente in cui nasce, perché quanta è la
Mente del generante, tanto pure è il Verbo» (Ad Monimum, 3, 7).
Nella XII Lectio del mio Ingresso alla bellezza. Fondamenti a
un’estetica trinitaria (Fede & Cultura, Verona 2007) illustro con
dovizia le sette più inclite cause per cui l’intelletto «è la letizia di
Dio e degli uomini»; esse provengono tutte dal fatto che «una mente che
genera un pensiero è già di per sé qualcosa di lieto perché compie
qualcosa per la quale è precisamente preposta», sicché la Mente del
Padre è da se stessa in immane letizia di vita in quanto semplicemente
fa quel che deve fare una mente: genera. Per cui il sorriso, o meglio la
letizia, anzi, più ancora, se mi si passa il termine, lo stato di regale
sorridenza, è lo stato d’essere proprissimo della Trinità, allietata di
letizia da se stessa medesima nel compimento del proprio eterno,
generativo, semplice Actus essendi: l’Atto della Mente che pensa
se stessa e, di Sé pensandosi, si diletta.
Ma se è così, se effettivamente lo status trinitario è di per sé un tale
positivo, lieto e ricco modo d’essere, la cosa ci riguarda moltissimo,
giacché, come ci assicurano le Scritture, noi (secondo piolo) siamo
chiamati unicamente a somigliare alla ss. Trinità, dunque a conformarci
intimamente al suo status di beatitudine, alla “sorridenza” che si
diceva: «Come abbiamo portato l’immagine dell’uomo di terra, porteremo
anche l’immagine dell’Uomo celeste» (I Cor 15, 49), porteremo cioè
l’immagine di Cristo, il quale, essendo l’Immagine del Padre (cfr. Gv
14, 9b), permette a chi gli si conforma di essere Immagine del Padre
come lui, infatti «saremo simili a lui, perché lo vedremo così come Egli
è» (I Gv 3, 2); «E noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno
Specchio la gloria del Signore [ossia riflettendo nello Specchio che è
in Cristo la gloria del Padre], veniamo trasformati in quella medesima
Immagine [del Padre, attraverso l’Imago del Figlio]» (II Cor 3,
18), etc.
Ma se nella nostra “sorridenza” siamo chiamati a uno stato d’essere per
conformarci allo stato d’essere della vita divina, dobbiamo attuare tale
stato già da ora qui sulla terra: già cioè nella sua costruzione
dobbiamo realizzare il nostro status finale attraverso le pietre da
squadrare ora per l’edificazione.
Proviamo a salire allora un po’ più in alto, su per altre ardite e auree
rampe di questa mirabile sorta di scala che entra nella divina “ebbrezza
di letizia” toccata per un attimo.
I quattro Nomi dell’Unigenito di Dio, origine di tutto.
Il sorriso offre difatti proprio qualcosa di particolare: nella sua più
intima profondità, nel cuore del suo bocciolo, è racchiusa una precisa e
speciale qualità divina, che san Tommaso (S. Th., I, 34, 2, ad 3), come
d’altronde san Bonaventura (In 1 Sent., d. 31, P. II, a. 1, q.2), indica
precisamente con uno dei quattro Nomi sacri con cui contraddistingue i
quattro aspetti sostanziali dell’Unigenito.
Infatti, cosa nasce dalla Mente del Padre dell’Essere? Nasce, primo
Nome, un Pensiero: non un pensiero astratto, alla Hegel, ma reale,
sostanziale; infatti con esso nasce anche, secondo Nome, un’Immagine:
nasce cioè lo Specchio di ciò che il Pensiero vede nel Padre, dunque il
Pensiero è il Volto del Padre; e non solo nasce un pensiero reale con un
suo volto, ma con esso nasce anche, terzo Nome, uno Splendore: nasce la
qualità che manifesta al Padre ciò che in lui vede e che Egli stesso è:
lo Splendore è il canto levato dal Verbum al Padre; e come da uno
scrigno aperto – la mente è uno scrigno – gli ori e le ricchezze
sprigionano e irradiano luminosità, candore, chiarezza, fulgore,
magnificenza, sfarzo, grandiosità, fasto, sontuosità, bellezza massimi,
così pure il Pensiero, l’oro dello scrigno: non solo esso è oro, non
solo si vede che esso è oro, ma anche abbaglia e irraggia da oro;
infine, quarto e ultimo sacro Nome, essendo tutto ciò non da se stesso,
ma in quanto generato dal Principio, dalla Mente (cfr. Gv 1, 1),
l’Unigenito ha nome Figlio, e Figlio diletto perché il Padre si diletta
dello Splendore irradiato dal Volto del proprio Pensiero.
Notiamo che se il Pensiero non fosse anche Splendore della propria
Immagine, ma fosse un pensiero senza volto e senza bagliore (Verbum
privo di Imago e privo di Splendor, come in tutte le
dottrine gnostiche, egheliane e orientali), non sarebbe affatto
dilettevole, perché né lo si vedrebbe, né se ne potrebbe ricevere poi
l’irradiazione di luce.
Ora, qui la scala d’oro su cui ci troviamo si allarga in tre cerchi:
utilizzando infatti tre dei quattro Nomi (Verbum, Imago, Filius),
vedremo che il quarto (Splendor) si fa passaggio, snodo, porta,
per mostrare in essi tre somme qualità di Dio: Verità, Beltà e Bontà. Il
Padre infatti si diletta del suo Unigenito per tre motivi: primo
cerchio, perché il Verbum che nasce da lui è rilucente di Verità;
secondo cerchio, perché l’Imago che lo rispecchia è circonfuso di
abbagliante Beltà; terzo cerchio, perché il Figlio che Egli genera
risplende del “tutto Sì” a lui Padre con la sua Bontà. «È rilucente di
Verità», «è circonfuso di Beltà», «risplende di Bontà»: cosa meglio di
tre somiglianze per tenere accostate eppur distinte tre qualità così
compenetrate tra loro? E come non accorgersi che tutte e tre le
somiglianze utilizzano la qualità specifica allo Splendore, che è, come
nell’oro, il fatto appunto di in tutti i modi risplendere?
Ecco perché per i due Dottori i Nomi dell’Unigenito sono Verbum,
Imago, Splendor e Filius. E il sorriso, l’espressione della
letizia, va associato a quello dei quattro che gli è più analogo: è il
suo sostanziale, personale, naturale Splendore.
Detto ciò, e sapendo che poi si dovrebbero fare sul sorriso (sullo
splendore, sulla ricchezza) chissà quante altre e anche più alte
riflessioni, salire per scale che portano a visioni inusitate,
fermiamoci alla considerazione che dunque – già sfolgorante panorama –
il sorriso può essere considerato quale prima e sicura fonte di quei tre
aspetti che qualificano Dio –, Verità, Beltà e Bontà – e da qui
qualificano poi il nostro piccolo essere di creature: sia in Dio che
nelle sue creature il sorriso è l’uscio della verità (la irradia); è la
fonte della bontà (ne è l’onda); è la sorgente della bellezza (ne è la
luce).
In altre parole il sorriso – ma, diciamo meglio: lo status di letizia o
sorridenza –, essendo la manifestazione della luce spirituale
dell’intelletto, del Logos, si fa porta alla filosofia, si fa poi varco
all’etica e si fa infine fonte dell’estetica: pensiero, condotta e arte
fuoriescono tutti e tre da Splendore, sgorgano dal sorriso dell’Essere
divino che nelle tre Persone si irraggia a se stesso e, così
irraggiandosi e contemplandosi in Sé, vuole poi manifestarsi alle sue
creature, generate intelligenti e libere proprio per parteciparle nella
contemplazione a tale suo sostanziale vero, bello e buono status
d’essere.
Ed ecco qui mostrarsi i primi straordinari paesaggi.
Lo splendore della Conoscenza
si riversa nella Verità, nella Bellezza e nella Bontà.
Attraverso il sorriso, la sorridenza, sboccia nel mondo il Pensiero di
verità che, disceso in Cristo sulla terra, è il vero Apollo, il Dio
della Sapienza Pastore e Maestro (cfr. Gv 10, 11 e Mt 23, 8), sicché, in
Lui, possiamo anche tranquillizzarci non solo che “conoscere si può” (lo
può Lui, dunque noi in Lui), ma anche che “conoscere si deve” (lui deve
farci conoscere il Padre che lo ha inviato, come da Gv 17, 4: «Io ti ho
glorificato sulla terra, compiendo la missione che mi hai affidato», noi
dobbiamo conoscere ciò che Lui “vuole dovere” farci conoscere), e ancor
più possiamo garantirci che “conoscere è bene” (è il nostro fine, a cui
il divino Pellicano ci trasporta), perché la conoscenza porta a qualcosa
di sicuro: al Padre; infine possiamo rinfrancarci che “conoscere è
bello” perché ciò a cui la conoscenza porta (la Mente-persona del Padre)
è sovrabbondantemente dilettevole, ossia non solo la conoscenza non fa
perdere il sorriso, come insegnano in ogni dove i relativisti, i maestri
del dubbio, i teorici del problematico, ma lo incoraggia, lo irraggia e
lo produce essa stessa al massimo.
Che il sorriso, l’espressione dell’anima felice, dunque l’espressione
con cui l’anima si esprime al massimo grado, sia un fatto così
significativo, così ricco di luminose realtà, fa ritenere che anche la
sua manifestazione storica e sociale debba essere pure altrettanto piena
e ricca. Ciò si vede sfogliando l’arte della cristianità, ma anche le
virtù e le opere dei popoli raccolti dalla Chiesa o ad essa
introduttivi: vi è uno straordinario e incessante spargimento di questo
sorriso di verità, e di beltà, e di bontà, nelle culture da cui poi è
fiorito il Seme divino e che hanno fatto poi da dimora al Santo.
La Chiesa, continuazione di Cristo nella storia, sèguita la divina
azione del vero Apollo musagete, del vero Conduttore delle leggiadre
Muse, a significare la verità mai sufficientemente espressa che l’Arte
sempre è condotta dalla Filosofia, buona o cattiva che sia, tanto che
proprio nel Secondo secolo, ai suoi inizi, la Chiesa volle ritrarre il
Logos sia come Apollo giovane e imberbe, a significare l’immediatezza e
la semplicità della sua Parola, sia come Filosofo maturo e dalla barba
curata, a significare la sua provenienza ab æterno.
Ma le muse, le arti con cui la Conoscenza (il Logos) si dona agli
uomini, non danzano e avanzano da sole: come si vede dal sorriso nostro
e dei nostri bambini, o, che è lo stesso, dalla figura del cristico
Apollo che le conduce, si affiancano alla loro destra le ancelle della
Verità e a sinistra le virtù della Bontà. Tutte: muse, ancelle e virtù,
portano sul capo i fiori dell’armonia, tutte sono cinte dalla fascia
d’oro dell’integrità, tutte sono coperte dai soavi veli della chiarezza.
Armonia, integrità e chiarezza vestono anche sulla terra gli splendori
della Verità, della Bellezza e della Bontà elargite dalla Chiesa che
avanza pacifica nei secoli. Da due millenni pace e bellezza si spargono
sulla terra distribuendo il Frutto di Dio, la buona Novella, la letizia
e la sorridenza dovute alla pace con Dio in ogni generazione. La Chiesa
da duemila anni sparge sovrabbondante bellezza dalle fontane della
verità, da duemila anni bontà e bontà zampilla dalla sua beltà.
Nodo delle tre potenze divine,
di Verità, di Bellezza e di Bontà, è la divina Liturgia.
Ma quale il motivo per cui nella Chiesa è così profondo questo desiderio
di elargizione di fragranza e di positività?
Tutto questo armonioso tripudio di miracolosa ricchezza scaturisce
unicamente in virtù della divina Liturgia, nasce dall’esigenza intima e
tutta necessitante della santa Madre di spiegare con amore ai suoi figli
il non spiegabile, di dire con benevolenza ai suoi piccoli l’indicibile,
di mostrare a tutti con benignità i Cieli chiamati tutt’intorno al sacro
Mistero della Presenza reale, nell’Ostia consacrata nelle sue chiese.
Sì: tutta questa elargizione di splendore soprannaturale ha portato
bellezza anche nella civiltà; tutta questa bontà divina ha portato anche
tra le nazioni amore, e quell’amore: il perfetto olocausto cruento e
visibile compiuto da Cristo sulla croce e rinnovato in memoriam
in ogni Messa misteriosamente ma realmente sugli altari ogni giorno nei
secoli.
Dall’Ostia consacrata la virtù dello Splendore, celata nella benignità
del sorriso che di fondo ha la grazia di Dio verso gli uomini, ha
irradiato nelle civiltà, essa solo, quella che Romano Amerio chiama
«cristianesimo secondario»: ha irradiato la verità, la beltà e la bontà
di un sacro Lievito che nei secoli ha spinto le nazioni a esprimersi nel
sorriso di una religione in primo luogo, certo, divinizzante, ma poi
anche incivilente.
E tutto ciò, si badi, in mezzo sempre a percosse, barbarie, difficoltà
di ogni tipo, in seno e fuori, similmente al famoso elenco paolino:
«cinque volte ho ricevuto i quaranta colpi meno uno; tre fui battuto con
le verghe; una lapidato; tre naufragato; una notte e un giorno
nell’abisso; […] e oltre tutti questi mali esteriori il cruccio
quotidiano che su me incombe, la cura di tutte le Chiese» (II Cor 11,
24-25; 28), e ciò a ricordare che verità, beltà e bontà, in una parola
il sorriso, non sono di questo mondo, ma si ottengono per grazia – da
Paolo o dalla Chiesa – solo dalla divina elargizione posta nella Croce.
Anche nella nostra epoca, come già parve il fuoco di Alarico ad
Agostino, sembra che bruttezza e barbarie abbiano corroso la conoscenza
della bellezza, osteggiato la spinta all’adorazione, frantumato la pace
della verità. Come già san Paolo, la Chiesa – e in essa la cristianità
fin nei più indifesi e inermi suoi piccoli – sembra ancora una volta
dover far fronte a forze superiori, accerchiata dalle espressioni più
combattive di quella che Romano Amerio chiama «la dislocazione della
divina Monotriade»: la precessione dell’amore, della tecnica,
dell’azione, sulla conoscenza e sul Verbo.
Nelle città, in quelli che oggi vengono chiamati burocraticamente
“agglomerati urbani” – in verità prigioni al contrario –, bruttezza
chiama bruttezza, degrado e incuria moltiplicano degrado e incuria: i
criminologi Wilson e Kelling dimostrano, con la teoria delle “broken
windows” (“finestre rotte”), che sciapezza e brutteria materiali
contagiano gli spiriti, straripano dai corpi alle anime, invadono non
solo quartieri apocrifi e città, ma, col loro fascino drogato, le loro
contagiose perversioni, infettano i loro abitanti instillando nei cuori,
con la trasformazione delle macerie in asocialità, disordine e
dispersione morale. Dov’è più il sorriso sui volti dei ragazzi e dei
muri lasciati in rovina?
Dov’è più la relazione, se nelle città sono sotto tutti gli aspetti
spezzate l’unità, l’armonia e lo splendore da cui nasce? Se nelle cose
viene rotta la relazione, il passaggio di questa rottura ai cuori
(almeno ai più fragili) è, per i due criminologi, scontato.
Però: tanto è vera la teosi funesta delle “finestre rotte”, tanto più lo
sarà, in forza della spinta alla positività impressa loro, come visto,
dalla ss. Trinità, la sequenza contraria delle “finestre riparate”,
giacché armonia chiama armonia, levatrice della bontà è la bellezza,
l’arte contagia l’etica. Per non dire poi quale motore sia (sarebbe,
specie ora) allo sviluppo sociale ed economico, fare le cose belle
invece che sciatte.
La Chiesa è una Madre che mai rigetta la sua natura di Madre, e alle
anime che, sparse per le strade e le piazze degli immensi “non luoghi”
di Marc Augé, si ricordano di lei, essa risponde con amorosa
sollecitudine come sempre ha risposto, e nemmeno attende che quelle
anime, chiuse nei volti cosificanti delle periferie incasermate, si
ricordino di lei, si volgano alla sua bontà di Madre, ma va ella stessa
premurosa per prima a loro e lei per prima chiama a sé chi sempre l’ha
coadiuvata nella sua opera di evangelizzazione e nella sua spinta alla
santificazione: letterati, artisti, teologi, architetti, filosofi,
asceti, musicisti, educatori, poeti, accorrono tutti gli uomini che,
vedendo l’invisibile irradiarsi potente dall’Ostia consacrata, hanno
imparato cosa dire su verità, bellezza e bontà.
Implorazione alla Chiesa:
che come Cristo, il vero Apollo Musagete,
torni ad avanzare anche oggi spargendo nei sacri Misteri
i suoi fiori di Verità, di Bellezza e di Bontà.
Intorno alla Chiesa Musagete si stringono Armonia, Unità e Splendore;
muse, ancelle e virtù danzano e spargono sulla terra il dolce appello.
Accorre Giotto alla voce della Madre, accorrono Cimabue, Giambellino,
Donatello, avanzano Dante, Bonaventura e Tommaso coi loro libri, si
affrettano col Botticelli Caravaggio, Brunelleschi, Vasari, si
affiancano a Michelangelo il Palladio, Raffaello, Bramante, ecco
Monteverdi, Couperin, il grande Bach: li circondano mille piccoli
bianchi cantori, frotte di ragazze leggere come rondini, Mozart,
Vivaldi, Palestrina si avvicinano svelti, incedono solenni Bernardo,
Francesco e Romualdo, avanzano magnifici gli Scrovegni, Teodosio,
Costantino, i Medici, i Gonzaga, i Farnese, una folla: quanti gli
scrittori, una marea i musici, guardate i mecenati, le schiere di
filosofi, i fiumi di teologi, i cori dei poeti, e poi gli architetti, i
pittori, gli scultori di tutti i secoli, gli educatori, Giovanni Bosco,
Filippo Neri, Francesco di Sales, ci sono tutti: tutti rispondono al
richiamo della Madre: cantano le Muse, cantano e si allargano nelle
danze misurando con passi leggeri, nelle auree proporzioni, le dolci
misure dell’armonia; la Chiesa avanza sorridendo, il suo sorriso si
sparge in fiori e fiori, si posa sul capo degli uomini genuflessi al
passaggio.
“Madre, noi vogliamo tornare a contemplare le immagini dei santi e del
Cielo sopra l’Eucarestia, ma non solo nelle antiche e venerabili chiese
dei secoli passati, ma in quelle che vorremmo qui a Scampia, al Corviale,
alle “zone fiera” di tutte le città, nei nostri tristi dormitori. Madre,
Madre santa, facci ancora vedere l’invisibile, mostraci il sorriso di
Gesù, rivelaci il volto buono della Vergine, aprici alla gioia dei loro
sguardi benevoli, muovici, Madre, al suono dei cori celesti, elevaci,
elevaci alla bellezza che solo tu puoi dare, noi tanto impariamo da
essa: quello che vedremo nelle nostre chiese lo irraggeremo nelle case,
i bei colori e i bei canti intorno all’Ostia consacrata del Redentore li
trasformeremo nelle luci e nei muri dei rioni e delle piazze. Noi
vogliamo tornare a imparare da te, Madre nostra, perché tu sola hai
l’anello di sposa di Dio, tu sola sai quanto bene Egli ci vuole, tu sola
sei vera, sei buona e sei bella”.
Rilucono le stelle sulla città. L’infinito sorride, ci sorride. Cantano
i cori angelici: intelligenze d’amore, stelle vive e solerti, una
miriade si prostra e quasi spegne a un cenno della Trinità, precipita
dalle galassie celesti, scende la rugiada tra le case, nelle città, si
sparge nei cuori un fremito di pace.
Visione della gloria del Signore. L’Angelo della Verità disse: «Ho preso
chi non mi ha cercato. Ho avuto pietà del fuggitivo. Si sparga su tutta
la terra la mia parola. Direte cose sensate, voi parlerete di cose
ineffabili che non si possono dire. Direte cose intelligenti. Le direte
con cura, le direte tutte. Tutti le capiranno. Le direte come vi ha
insegnato il Maestro. Il Cuore di Dio parla al tuo cuore. Non parla
l’aria. Non la notte. Parla un Cuore al tuo cuore. Scaldati a lui».
L’Angelo della Bellezza disse: «Sul gelo come neve spargo la mia
fragranza, il mio volto si imprime sulle vostre pietre, la vostra
putredine diventa sangue nelle vene, i vostri sgorbi si trasformano in
carne che salva. Voi metterete sui vostri muri l’armonia e non l’orrore,
alzerete bellezza e non l’osceno, arte e non ferro, riccioli d’oro e non
fango. I bambini si stupiranno delle vostre opere ed esclameranno: Come
sono belle. Sono come gli ori e i lapislazzuli, come i fiori dei
capitelli, come i canti a due cori. Il tempo della bellezza è mio, non
vostro. Il tempo dell’armonia e dello splendore è tutto eterno».
L’Angelo della Bontà disse: «In mezzo a te ho benedetto i tuoi figli. Il
mio messaggio corre veloce. Comprenderete ogni cosa che ho fatto. Le mie
immagini sono comprensibili, non sono macchie insensate. Le insegnerete
a tutti e tutti le mangeranno con la bocca, le gusteranno molto, con
facilità scenderanno nei cuori. Io infondo nei bambini lo spirito di
adorazione e di preghiera. Essi cercheranno il Signore e il Signore si
farà trovare. Vedranno il mio Volto, il mio Splendore. Le ferite delle
mie mani saranno benefiche. I derelitti sono il mio cruccio, agli orfani
è rivolto il mio cuore. Saranno lieti e troveranno una madre, come figli
saranno per me».
Fu così che, sotto il patrocinio della Vergine Maria, furono radunati
dai quattro angoli della terra gli uomini più nobili e furono proclamati
per tutta la Chiesa gli Stati Generali della Bellezza. Tutti gli uomini
furono contenti, perché la bellezza era tornata tra loro. Si radunarono
per un anno. Fu un anno di pace. Tutti lo videro. Non furono mai
costruite dopo quell’anno tante edicole sacre a Maria e ai santi, tante
cappelle a Cristo fin su per i grattacieli, e tanto belle, come negli
anni seguenti.
Mai parole di Papa furono così benedette come quelle che seppero
riconoscere nel sorriso della Vergine di Lourdes «la porta d’accesso più
appropriata alla rivelazione del suo mistero»: mai la Vergine di Lourdes
sparse tante grazie di verità, di bellezza e di bontà sui suoi figli
malati e angosciati, così affamati su tutta la terra dell’oro del suo
sorriso.
Enrico Maria Radaelli
[versione integrale, per gentile concessione dell'Autore]
[Osservatore Romano, 30 settembre 2009]
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