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    Trabzon 18 gennaio -1° febbraio 2004

Carissimi,

S. Maria - Trabzon

vi scrivo mentre Gerardo (il mio amico fabbro venuto a stare qui per un mese, per aiutare nei lavori in ferro) prepara una bella minestra e sistema la brace nel camino. Oggi, Domenica, abbiamo deciso di regalarci una fettina di petto di pollo arrosto. Tutti oramai sanno che la domenica è per noi “kutsal gun”, cioè un giorno santo, e che quindi di lavoro non se ne parla (abbiamo una quindicina di operai in casa, tra muratori, falegnami, piastrellisti, pittori, marmisti, pavimentisti e aiuti vari e tutti vorrebbero lavorare anche di domenica).

Lo dedichiamo al riposo, a un’Eucarestia più solenne, alla gioia di una preghiera più intensa, alle passeggiate in città, alle telefonate agli amici, a un piatto più succoso secondo i gusti nostrani (senza per nulla rinnegare gli squisiti piatti turchi preparati dalla nostra Nimet e da suo marito Alì, che vivono con noi oramai da tre mesi), a una conversazione più tranquilla tra noi. Oggi è una stata una giornata particolarmente fredda: la chiesa, come dice la nostra Nimet, è un “buzdolap” cioè un frigorifero, per cui il calore del camino in questo momento è proprio una benedizione.

Siamo stati in chiesa per circa due ore (tra i preparativi per aprire la chiesa, i tanti visitatori arrivati, la celebrazione della Parola per i musulmani, i saluti finali ecc.) e alla fine c’è sempre qualche parte del corpo da “scongelare”, mentre il cuore esulta dalla gioia.

Riprendo la lettera quasi due settimane dopo averla iniziata. Gli impegni imprevisti e la stanchezza sono stati tanti. Inoltre la fatica che sento nello stringere in poche righe l’intensità delle giornate passate qui mi spinge a rimandare sempre il momento di sedermi per raccontarvi e condividere. Oggi è il primo febbraio: il primo dei quattro giorni della festa del “Kurban Bayram”, in cui, in concomitanza col pellegrinaggio alla Mecca, i musulmani immolano un animale in ricordo del sacrificio di Abramo.

Siamo usciti da poco dalla casa dei nostri vicini, a cui abbiamo portato i nostri auguri (una scatola di cioccolatini “Rocher”) e da cui abbiamo ricevuto, in una busta, della carne presa dall’animale sacrificato. Ci hanno spiegato, come già sapevamo, che un terzo della carne viene dato ai poveri, un terzo ai vicini di casa, un terzo è consumato dalla famiglia che offre il sacrificio. È un segno di amicizia e di carità. La mamma ci ha spiegato che ha i vicini di casa turchi e musulmani e i vicini “di chiesa” cristiani e italiani, ma questo non fa differenza. Le idee, diceva il papà, la religione e la nazione non contano: siamo persone anzitutto, prima di essere cristiani o musulmani. Abbiamo assaggiato uno squisito dolce fatto in casa, bevuto un caffè caldo e salutato la nonna 82enne. La mamma ci ha accolto sulla porta di casa con le quattro figlie femmine. «Nessun maschio?», dico io. «I maschi li aspettiamo», ha risposto, «quando arriveranno i generi!». Tra le sue figlie e Isabella e Loredana (le due ragazze arrivate da una settimana dalla parrocchia di S. Frumenzio a Roma) c’è stato uno scambio di informazioni e l’impegno a uscire dopodomani insieme per un giro in città, e per imparare a vicenda un po’ di turco e di italiano. 

Domani andremo a fare gli auguri alle altre due famiglie di vicini di casa. Queste visite sono importanti per riempire di carità i rapporti quotidiani, stendere fili che fanno passare informazioni, conoscenze, amicizie, testimonianze, che aiutano a sciogliere distanze e pregiudizi, a costruire legami, ad aprire piccole finestre tra cuori. Proprio oggi nella seconda lettura della messa Paolo diceva di volerci mostrare «una via migliore di tutte». «Se avessi il dono della profezia, se conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza… se possedessi la pienezza della fede… se distribuissi tutte le mie sostanze ma non avessi la carità, sono come un tamburo che rimbomba, anzi “sono un nulla”». I dogmi che crediamo, la posizione che occupiamo, l’Eucarestia che celebriamo, le grandi opere che facciamo non ci giovano a nulla se non abbiamo la carità. La carità, aggiungeva, «è paziente, benigna, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse… tutto copre, tutto crede…». Gesù non diceva forse che è la carità che ci fa riconoscere come suoi discepoli? Il “sapere”, diceva sempre S. Paolo, gonfia, la “carità” edifica.

Con questo spirito siamo andati ieri a fare gli auguri al sindaco di Trabzon. Ci siamo scambiati dei piccoli doni, ma soprattutto una cordialità reciproca. Mi è sembrato un buon papà, consapevole che il 30% dei suoi cittadini non sono turchi ma vengono dalle ex repubbliche dell’Unione sovietica che si affacciano sul Mar Nero (Georgia, Ucraina, Russia, Romania, Bukgaria…) e dai paesi ad est della Turchia e che quindi deve mettere insieme mondi, culture, mentalità, abitudini e religioni diverse. Poi siamo andati dall’Imam (il capo spirituale) della moschea più importante di Trabzon. Ha sorriso sorpreso e gli si è illuminato il viso quando gli abbiamo dato una scatola di dolci. Accanto a lui c’era un professore di biologia. «Ho girato l’Europa – ha detto – vivo nel Medio Oriente. Il dialogo tra musulmani, cristiani ed ebrei è importante».

L’abbiamo sentito vicino e ci è parso che ci sentisse vicini. Il giro di auguri di ieri si è concluso con la visita al Muhtar (il capo quartiere, una specie di amministratore di quartiere e di tramite tra le autorità cittadine e la gente). Ci ha chiesto se avevamo noie o richieste da presentargli. Gli abbiamo detto che per il problema di qualche sacchetto di immondizia che ogni tanto piove sul cortile della chiesa, preferiamo fare noi stessi il giro degli inquilini del palazzo sovrastante per salutare, presentarci e stabilire legami di buon vicinato. La sera, per strada, abbiamo incontrato il “muezzin” della moschea. Ci ha riconosciuti e salutati molto cordialmente, dicendoci che per qualunque aiuto potevamo contare su di lui.

Anche ai nostri operai abbiamo fatto auguri e offerto generose strette di mani. Il regalo più gradito è stato la paga per il loro lavoro. Il falegname la sera stessa si è presentato con uno squisito piatto caldo a base di pollo, peperoni e patate. Da tante cose capiamo che ci vuole bene e che ha a cuore i lavori di restauro della chiesa. Questa mattina l’elettricista è venuto con un abbondante piatto di carne appena macellata. Era più soddisfatto lui nel dare che noi nel ricevere. Tutti ci vedono pregare e sanno che preghiamo in certi orari. È una cosa che li fa sentire molto vicini a noi. Qualcuno ci ha chiesto se abbiamo qualcosa di simile alla loro “festa del sacrificio”.

Abbiamo risposto che per noi l’agnello che offriamo a Dio e il cui sangue ci santifica, ci purifica e ci libera è Gesù. È un modo per aiutarli a conoscere la nostra fede nelle sue realtà più profonde anche se più difficili. Il marmista e il posatore di mattoni mi hanno intrattenuto a lungo con domande sul celibato, il matrimonio, la castità. Mi dicevano che vedono alla televisione che da noi chi non si sposa è perché va con tante donne e non vuole prendersi l’impegno di una famiglia. Dicevo loro che quello che vedono non è conforme al cristianesimo. Ma se si ama Dio e si è convinti di essere amati da Lui è possibile “riservarsi” per Dio e “offrirsi per gli altri” con il cuore pieno di Lui. Il matrimonio, mi dicevano, è per offrire a un figlio una direzione e non farne uno sbandato nella vita affettiva e sessuale. Si, dicevo io, ma Gesù, che voi venerate come profeta, non si è sposato e alcuni, per seguirlo, decidono di fare la stessa cosa. Non è facile, mi dicevano.

Infatti, rispondevo io: è una chiamata di Dio, non una iniziativa personale. Se Dio chiama dà anche la forza. Poi il discorso si è spostato sulla religione. «Come è possibile che crediamo in maniere diverse?», dicevano. «È come una montagna – ho risposto io – la cima è una ma ci si arriva per vie diverse. Quando arriveremo diremo: sei arrivato anche tu, anche se da un’altra parte». «E speriamo di entrare tutti in paradiso», fa il marmista. Così ci siamo salutati.

Mi sono accorto che i lavori di restauro della chiesa sono un’occasione di incontro, di conoscenza, di testimonianza. Molti di loro sono contenti di vedere che la chiesa diventa più bella. Un giorno ho offerto loro un tè e ho detto: «La chiesa non è mia ma vostra, perché sta nella vostra terra, perché voi resterete mentre io sono destinato ad andarmene, perché è un luogo di preghiera come la moschea e Dio ama tutti i luoghi di preghiera perché ogni preghiera, da qualunque parte venga, sale a Lui. Se sarà bella, aggiungevo, tutti diranno: che bravi gli operai che ci hanno lavorato, altrimenti sarete voi a fare brutta figura». Erano più che d’accordo.

Tornando al discorso del sacrificio dell’agnello, penso che proprio a contatto con le usanze musulmane potremmo riscoprire certe cose tipiche della nostra fede cristiana. Gesù è l’Agnello. Noi stessi, uniti a Lui, siamo il suo corpo, cioè membra dell’Agnello. Allora dovrebbe diventare più evidente la nostra appartenenza totale a Dio.

Appartenendo a Dio siamo chiamati ad essere suo dono di carità agli altri, proprio secondo quelle “tre parti” in cui i musulmani dividono le carni dell’agnello: apparteniamo ai “poveri” (ogni genere di poveri), apparteniamo ai “vicini” (cioè a quelli tra i quali Dio ci ha messo in stretto contatto a vivere), apparteniamo a “quelli di casa nostra”.

Il dono che fanno della carne è come un atto di “comunione”. Tanto più dovremmo farlo noi che ricevendo il Corpo di Cristo diventiamo suo Corpo per gli altri.

Un ragazzo musulmano, che si è avvicinato da qualche anno al cristianesimo, mi ha fatto notare che c’è una differenza grande tra l’animale che viene sacrificato e Gesù: l’animale viene trattato con dolcezza prima di esser sgozzato, per rispetto e perché non si accorga della sua morte imminente. Gesù fu trattato con disprezzo e senza alcuna considerazione e morì pienamente consapevole di quello che faceva.

Non posso non ricordare i tanti incontri che avvengono durante le visite alla chiesa. 

* Le due ragazze che hanno voluto una foto con me davanti l’altare, piene di rispetto, dal viso sincero leale aperto. Le accompagno alla porta dicendo: «Dio vi vuole bene». «Anche a te», mi rispondono. 
* I sei ragazzi entrati spavaldi e arroganti e usciti mansueti e affettuosi dopo un fuoco di domande di ogni genere. 
* Le due ragazze venute per avere un amuleto con cui legare a sé due ragazzi e andate via convinte che legare con la forza e agire nell’oscurità è di Satana, mentre Dio ci chiama nella libertà e agisce nella luce. 
* La ragazza di 19 anni che mi dice: «Da 19 anni sono scontenta. Odio tutti e da tutti mi sento rifiutata. Cerco la luce ma non la trovo». «Dio ti ama», le dico, e le leggo Giovanni 13 e 15 e Matteo 6. Si commuove e mi chiede: «È il Vangelo? ». Mi sembra più serena anche se il buio nei suoi occhi è tanto. 
* Le quattro ragazze che chiedono:«L’acqua santa che significa? Gesù dove è? Tornerà alla fine dei tempi? Perché secondo voi cristiani Dio ha voluto che soffrisse?». Mi ascoltano. «Avete delle facce pulite», dico loro «e il cuore?». «Anche quello» rispondono. 
* Il barbiere venuto 7 domeniche di seguito con un suo amico a chiedere di pregare per il suo figlio malato di nervi. Alla fine mi invita a farmi i capelli da lui e insieme mi hanno voluto a pranzo in un ristorantino specializzato in polpette.
* Il ragazzo che mi fa: «È vero che se mi faccio cristiano mi date dei soldi?». «E tu ti venderesti Dio per i soldi? – gli dico – Allora sono i soldi il tuo Dio». 
* Le ragazze che mi chiedono: «Non hai figli?». «Si – gli rispondo io – i miei figli siete voi». Mi pare contenta di questo.
Un’altra fa: «Perché sei venuto in Turchia? Ti ci hanno mandato per forza?». «No – rispondo – sono venuto per conoscere voi». Un’altra si fa spiegare per filo e per segno tutto il rito del battesimo. Un’altra ancora vuole sapere perché noi per il perdono dei peccati andiamo da un prete. «Noi ci rivolgiamo a Dio», mi fa. «Anche noi – gli rispondo – ci rivolgiamo a Dio. Ma secondo noi Dio è così buono che per darci un segno della sua vicinanza ci mette vicino uno che ha una faccia, una voce e un orecchio per ascoltarci. Così oltre che incontrarlo col nostro cuore lo possiamo in qualche modo anche vedere e ascoltare, come facciamo tra noi in questo momento». 
* «E la Trinità – mi chiedono tre ragazze – come è possibile che siano uno e
tre nello stesso tempo?». «È come questa mano – dico loro – è una sola ma ci sono cinque dita unite, che si vogliono bene e lavorano insieme. Come questo lampadario: è uno solo ma ci sono quattro lampade che risplendono. È come voi tre amiche: siete tre, ma nello stesso tempo siete uno perché vi amate». La strada è lunga ma mi pare che hanno afferrato che ci può essere una unità fatta di “solitudine” e una unità fatta di “amore”. «Dio – dico loro – è Amore». 
* Infine il ragazzo che ha preso a venire perché cercava la serenità e gli pare di averla trovata venendo in chiesa e incontrando Gesù. Si fa ogni volta con l’autobus due ore e mezzo a venire e due ore e mezzo a tornare: abita in un villaggio lontano ma evidentemente per lui la serenità del cuore non ha prezzo.

Mi viene in mente una cosa: domani è il 2 febbraio, festa patronale della nostra chiesa di Trabzon, intitolata alla “Purificazione di Maria e alla presentazione di Gesù al tempio”. Il titolo completo di questa festa (che da noi è rimasto solo “Presentazione di Gesù al tempio”) ci riporta al mistero della maternità di Maria, che insieme alle luci ha assunto anche tutte le ombre della maternità umana per purificarle e riscattarle in sé.

Una confidenza: questa notte mi sono svegliato chiedendomi: “perché sto qui?”. Mi è venuta in mente la frase di Giovanni Evangelista: «E il Verbo si è fatto carne e venne ad abitare in mezzo a noi». Sono qui per abitare in mezzo a questa gente e permettere a Gesù di farlo prestandogli la mia carne. In Medio Oriente il peccato dell’uomo, sia nel passato che nel presente, ha assunto forme terribili.

In Medio Oriente i peccati della chiesa si sono manifestati in modo drammatico e i suoi dolori e i suoi patimenti hanno avuto delle caratteristiche particolari. In Medio Oriente Satana si accanisce per distruggere la culla in cui siamo stati generati e distruggere con la memoria delle origini la fedeltà ad esse. Il Medio Oriente deve essere riabitato come fu abitato ieri da Gesù: con lunghi silenzi, con umiltà e semplicità di vita, con opere di fede, con miracoli di carità, con la limpidezza inerme della testimonianza, con il dono consapevole della vita. La venuta di Fabio, di Gerardo e della giovane coppia di sposi Andrea e Manuela durante le feste natalizie, la presenza in questo momento di Isabella e Loredana della parrocchia di S. Frumenzio a Roma, sono un dono per questa terra e un dono di questa terra a loro e attraverso loro alle terre di provenienza. Che Dio li ricolmi di benedizioni e ne faccia uno strumento di benedizione. Che Dio susciti delle presenze più stabili e moltiplichi piccole comunità che siano come lievito nella pasta e un piccolo seme gettato nella terra. Che Dio faccia rinverdire sempre più i semi antichi nascosti in questa terra per gettare nuova linfa nelle nostre terre che già agli inizi la ricevettero. Che Dio crei legami di comunione e susciti persone di comunione.

Un saluto affettuoso a tutti con l’augurio di ogni bene.

Don Andrea
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P.S.:

  1. Ringrazio tutti quelli che contribuiscono ai lavori di restauro della chiesa di Trabzon sul Mar Nero. Come già sapete in una zona lunga quanto l’Italia ci sono due sole chiese aperte, questa e un’altra a 350 km. di distanza, come se in Italia avessimo due sole chiese, una a Catania e l’altra a Milano. Farne un punto di riferimento, una sede di una piccola comunità, un centro di preghiera, di accoglienza e di dialogo, un luogo “bello” spiritualmente, un punto di irradiazione come una piccola lampada accesa, è importante. È anche un luogo preparato per voi: per ricreare la vostra anima, per dilatare i suoi confini, per venire a ricevere e a dare quello che Dio ha preparato per voi.

  2. Nel cuore di alcuni dei pochissimi cattolici del posto sono sorti dei problemi, tipici di chi è nuovo nella fede. Ve li affido perché chiediate per essi uno Spirito di luce, di umiltà, di unità.

   
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