vi
scrivo mentre Gerardo (il mio amico fabbro venuto a stare qui per un mese, per
aiutare nei lavori in ferro) prepara una
bella minestra e sistema la brace nel camino. Oggi, Domenica, abbiamo deciso di
regalarci una fettina di petto di pollo arrosto. Tutti oramai sanno che la
domenica è per noi “kutsal gun”, cioè un giorno santo, e che quindi di
lavoro non se ne parla (abbiamo una quindicina di operai in casa, tra muratori,
falegnami, piastrellisti, pittori, marmisti, pavimentisti e aiuti vari e tutti
vorrebbero lavorare anche di domenica).
Lo
dedichiamo al riposo, a un’Eucarestia più solenne, alla gioia di una
preghiera più intensa, alle passeggiate in città, alle
telefonate agli amici, a un piatto più succoso secondo i gusti nostrani (senza
per nulla rinnegare gli squisiti piatti turchi
preparati dalla nostra Nimet e da suo marito Alì, che vivono con noi oramai da
tre mesi), a una conversazione più
tranquilla tra noi. Oggi è una stata una giornata particolarmente fredda: la
chiesa, come dice la nostra Nimet, è un “buzdolap” cioè un frigorifero,
per cui il calore del camino in questo momento è proprio una benedizione.
Siamo
stati in chiesa per circa due ore (tra i preparativi per aprire la chiesa, i
tanti visitatori arrivati, la celebrazione della Parola per i musulmani, i
saluti finali ecc.) e alla fine c’è sempre qualche parte del corpo da “scongelare”, mentre il cuore esulta dalla gioia.
Riprendo
la lettera quasi due settimane dopo averla iniziata. Gli impegni imprevisti e la
stanchezza sono stati tanti. Inoltre la fatica che sento nello stringere in
poche righe l’intensità delle giornate passate qui mi spinge a rimandare
sempre il momento di sedermi per raccontarvi e condividere. Oggi è il primo
febbraio: il primo dei quattro giorni della festa del “Kurban Bayram”, in
cui, in concomitanza col pellegrinaggio alla Mecca, i musulmani immolano un
animale in ricordo del sacrificio di Abramo.
Siamo
usciti da poco dalla casa dei nostri vicini, a cui abbiamo portato i nostri
auguri (una scatola di cioccolatini “Rocher”)
e da cui abbiamo ricevuto, in una busta, della carne presa dall’animale
sacrificato. Ci hanno spiegato, come già
sapevamo, che un terzo della carne viene dato ai poveri, un terzo ai vicini di
casa, un terzo è consumato dalla famiglia
che offre il sacrificio. È un segno di amicizia e di carità. La mamma ci ha
spiegato che ha i vicini di casa turchi e
musulmani e i vicini “di chiesa” cristiani e italiani, ma questo non fa
differenza. Le idee, diceva il papà, la
religione e la nazione non contano: siamo persone anzitutto, prima di essere
cristiani o musulmani. Abbiamo assaggiato uno
squisito dolce fatto in casa, bevuto un caffè caldo e salutato la nonna 82enne.
La mamma ci ha accolto sulla porta di casa
con le quattro figlie femmine. «Nessun maschio?», dico io. «I maschi li
aspettiamo», ha risposto, «quando
arriveranno i generi!». Tra le sue figlie e Isabella e Loredana (le due ragazze
arrivate da una settimana dalla parrocchia di
S. Frumenzio a Roma) c’è stato uno scambio di informazioni e l’impegno a
uscire dopodomani insieme per un giro in città,
e per imparare a vicenda un po’ di turco e di italiano.
Domani
andremo a fare gli auguri alle altre due famiglie di vicini di casa. Queste
visite sono importanti per riempire di carità i rapporti quotidiani, stendere
fili che fanno passare informazioni, conoscenze, amicizie, testimonianze, che
aiutano a sciogliere distanze e pregiudizi, a costruire legami, ad aprire
piccole finestre tra cuori. Proprio oggi nella seconda lettura della messa Paolo
diceva di volerci mostrare «una via migliore di tutte». «Se avessi il dono
della profezia, se conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza… se
possedessi la pienezza della fede… se distribuissi tutte le mie sostanze ma
non avessi la carità, sono come un tamburo che rimbomba, anzi “sono un
nulla”». I dogmi che crediamo, la posizione che occupiamo, l’Eucarestia che
celebriamo, le grandi opere che facciamo non ci giovano a nulla se non abbiamo
la carità. La carità, aggiungeva, «è paziente, benigna, non si vanta, non si
gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse… tutto copre, tutto
crede…». Gesù non diceva forse che è la carità che ci fa riconoscere come
suoi discepoli? Il “sapere”, diceva sempre S. Paolo, gonfia, la “carità”
edifica.
Con
questo spirito siamo andati ieri a fare gli auguri al sindaco di Trabzon. Ci
siamo scambiati dei piccoli doni, ma soprattutto una cordialità reciproca. Mi
è sembrato un buon papà, consapevole che il 30% dei suoi cittadini non sono
turchi ma vengono dalle ex repubbliche dell’Unione sovietica che si affacciano
sul Mar Nero (Georgia, Ucraina, Russia,
Romania, Bukgaria…) e dai paesi ad est della Turchia e che quindi deve mettere
insieme mondi, culture, mentalità, abitudini e religioni diverse. Poi siamo
andati dall’Imam (il capo spirituale) della moschea più importante di
Trabzon. Ha sorriso sorpreso e gli si è illuminato il viso quando gli abbiamo
dato una scatola di dolci. Accanto a lui
c’era un professore di biologia. «Ho girato l’Europa – ha detto – vivo
nel Medio Oriente. Il dialogo tra musulmani, cristiani ed ebrei è importante».
L’abbiamo
sentito vicino e ci è parso che ci sentisse vicini. Il giro di auguri di ieri
si è concluso con la visita al Muhtar (il
capo quartiere, una specie di amministratore di quartiere e di tramite tra le
autorità cittadine e la gente). Ci ha
chiesto se avevamo noie o richieste da presentargli. Gli abbiamo detto che per
il problema di qualche sacchetto di immondizia
che ogni tanto piove sul cortile della chiesa, preferiamo fare noi stessi il
giro degli inquilini del palazzo sovrastante
per salutare, presentarci e stabilire legami di buon vicinato. La sera, per
strada, abbiamo incontrato il “muezzin”
della moschea. Ci ha riconosciuti e salutati molto cordialmente, dicendoci che
per qualunque aiuto potevamo contare su di
lui.
Anche
ai nostri operai abbiamo fatto auguri e offerto generose strette di mani. Il
regalo più gradito è stato la paga per il loro lavoro. Il falegname la sera
stessa si è presentato con uno squisito piatto caldo a base di pollo, peperoni
e patate. Da tante cose capiamo che ci vuole bene e che ha a cuore i lavori di
restauro della chiesa. Questa mattina l’elettricista è venuto con un
abbondante piatto di carne appena macellata. Era più soddisfatto lui nel dare
che noi nel ricevere. Tutti ci vedono pregare e sanno che preghiamo in certi
orari. È una cosa che li fa sentire molto vicini a noi. Qualcuno ci ha chiesto
se abbiamo qualcosa di simile alla loro “festa del sacrificio”.
Abbiamo
risposto che per noi l’agnello che offriamo a Dio e il cui sangue ci
santifica, ci purifica e ci libera è Gesù. È un
modo per aiutarli a conoscere la nostra fede nelle sue realtà più profonde
anche se più difficili. Il marmista e il posatore
di mattoni mi hanno intrattenuto a lungo con domande sul celibato, il
matrimonio, la castità. Mi dicevano che
vedono alla televisione che da noi chi non si sposa è perché va con tante donne
e non vuole prendersi l’impegno di una famiglia. Dicevo loro che quello che
vedono non è conforme al cristianesimo. Ma se si ama Dio e si è convinti di
essere amati da Lui è possibile “riservarsi” per Dio e “offrirsi per gli
altri” con il cuore pieno di Lui. Il matrimonio, mi dicevano, è per offrire a
un figlio una direzione e non farne uno sbandato nella vita affettiva e
sessuale. Si, dicevo io, ma Gesù, che voi venerate come profeta, non si è
sposato e alcuni, per seguirlo, decidono di fare la stessa cosa. Non è facile,
mi dicevano.
Infatti,
rispondevo io: è una chiamata di Dio, non una iniziativa personale. Se Dio
chiama dà anche la forza. Poi il discorso si è spostato sulla religione. «Come
è possibile che crediamo in maniere diverse?», dicevano. «È come una
montagna – ho risposto io – la cima è una ma ci si arriva per vie diverse.
Quando arriveremo diremo: sei arrivato anche tu, anche se da un’altra parte».
«E speriamo di entrare tutti in paradiso», fa il marmista. Così ci siamo
salutati.
Mi
sono accorto che i lavori di restauro della chiesa sono un’occasione di
incontro, di conoscenza, di testimonianza. Molti di loro sono contenti di vedere
che la chiesa diventa più bella. Un giorno ho offerto loro un tè e ho detto:
«La chiesa non è mia ma vostra, perché sta nella vostra terra, perché voi
resterete mentre io sono destinato ad andarmene, perché è un luogo di
preghiera come la moschea e Dio ama tutti i luoghi di preghiera perché ogni
preghiera, da qualunque parte
venga, sale a Lui. Se sarà bella, aggiungevo, tutti diranno: che bravi gli
operai che ci hanno lavorato, altrimenti sarete voi a fare brutta figura».
Erano più che d’accordo.
Tornando
al discorso del sacrificio dell’agnello, penso che proprio a contatto con le
usanze musulmane potremmo riscoprire certe cose tipiche della nostra fede
cristiana. Gesù è l’Agnello. Noi stessi, uniti a Lui, siamo il suo corpo,
cioè membra dell’Agnello. Allora dovrebbe diventare più evidente la nostra
appartenenza totale a Dio.
Appartenendo
a Dio siamo chiamati ad essere suo dono di carità agli altri, proprio secondo
quelle “tre parti” in cui i musulmani
dividono le carni dell’agnello: apparteniamo ai “poveri” (ogni genere di
poveri), apparteniamo ai “vicini” (cioè a quelli tra i quali Dio ci ha
messo in stretto contatto a vivere), apparteniamo a “quelli di casa nostra”.
Il
dono che fanno della carne è come un atto di “comunione”. Tanto più
dovremmo farlo noi che ricevendo il Corpo di Cristo diventiamo suo Corpo per gli
altri.
Un
ragazzo musulmano, che si è avvicinato da qualche anno al cristianesimo, mi ha
fatto notare che c’è una differenza grande tra l’animale che viene
sacrificato e Gesù: l’animale viene trattato con dolcezza prima di esser
sgozzato, per rispetto e perché non si accorga della sua morte imminente. Gesù
fu trattato con disprezzo e senza alcuna considerazione
e morì pienamente consapevole di quello che faceva.
Non
posso non ricordare i tanti incontri che avvengono durante le visite alla
chiesa.
*
Le due ragazze che hanno voluto una foto con me davanti l’altare, piene di
rispetto, dal viso sincero leale aperto. Le accompagno alla porta dicendo: «Dio
vi vuole bene». «Anche a te», mi rispondono.
* I sei ragazzi entrati spavaldi
e arroganti e usciti mansueti e affettuosi dopo un fuoco di domande di ogni
genere.
* Le due ragazze venute per avere un amuleto con cui legare a sé due ragazzi e
andate via convinte che legare con la forza e agire nell’oscurità è di
Satana, mentre Dio ci chiama nella libertà e agisce nella luce.
* La ragazza di
19 anni che mi dice: «Da 19 anni sono scontenta. Odio tutti e da tutti mi sento
rifiutata. Cerco la luce ma non la trovo». «Dio ti ama», le dico, e le leggo
Giovanni 13 e 15 e Matteo 6. Si commuove e mi chiede: «È il Vangelo? ». Mi
sembra più serena anche se il buio nei suoi occhi è tanto.
* Le quattro ragazze che chiedono:«L’acqua santa che significa? Gesù dove è?
Tornerà alla fine dei tempi? Perché secondo voi cristiani Dio ha voluto che
soffrisse?». Mi ascoltano. «Avete delle facce pulite», dico loro «e il
cuore?». «Anche quello» rispondono.
* Il barbiere venuto 7 domeniche di seguito con un suo amico a chiedere di
pregare per il suo figlio malato di nervi. Alla fine mi invita a farmi i capelli
da lui e insieme mi hanno voluto a pranzo in un ristorantino specializzato in
polpette.
* Il ragazzo che mi fa: «È vero che se mi faccio cristiano mi date dei soldi?».
«E tu ti venderesti Dio per i soldi? – gli dico – Allora sono i soldi il
tuo Dio».
* Le ragazze che mi chiedono: «Non hai figli?». «Si – gli
rispondo io – i miei figli siete voi». Mi pare contenta di questo. Un’altra
fa: «Perché sei venuto in Turchia? Ti ci hanno mandato per forza?». «No –
rispondo – sono venuto per conoscere voi».
Un’altra si fa spiegare per filo e per segno tutto il rito del battesimo.
Un’altra ancora vuole sapere perché noi
per il perdono dei peccati andiamo da un prete. «Noi ci rivolgiamo a Dio», mi
fa. «Anche noi – gli rispondo – ci rivolgiamo a Dio. Ma secondo noi Dio è
così buono che per darci un segno della sua vicinanza ci mette vicino uno che
ha una faccia, una voce e un orecchio per ascoltarci. Così oltre che
incontrarlo col nostro cuore lo possiamo in qualche modo anche vedere e
ascoltare, come facciamo tra noi in questo
momento».
* «E la Trinità – mi chiedono tre ragazze – come è possibile che siano
uno e tre nello stesso tempo?». «È come
questa mano – dico loro – è una sola ma ci sono cinque dita unite, che si
vogliono bene e lavorano insieme. Come questo lampadario: è uno solo ma ci sono
quattro lampade che risplendono. È come voi
tre amiche: siete tre, ma nello stesso tempo siete uno perché vi amate». La
strada è lunga ma mi pare che hanno afferrato che ci può essere una unità
fatta di “solitudine” e una unità fatta di “amore”. «Dio – dico loro
– è Amore».
* Infine il ragazzo che ha preso a venire perché cercava la serenità e gli
pare di averla trovata venendo in chiesa e incontrando Gesù. Si fa ogni volta
con l’autobus due ore e mezzo a venire e due ore e mezzo a tornare: abita in
un villaggio lontano ma evidentemente per lui la serenità del cuore non ha
prezzo.
Mi
viene in mente una cosa: domani è il 2 febbraio, festa patronale della nostra
chiesa di Trabzon, intitolata alla “Purificazione di Maria e alla
presentazione di Gesù al tempio”. Il titolo completo di questa festa (che da
noi è rimasto solo “Presentazione di Gesù al tempio”) ci riporta al
mistero della maternità di Maria, che insieme alle luci ha assunto anche tutte
le ombre della maternità umana per purificarle e riscattarle in sé.
Una
confidenza: questa notte mi sono svegliato chiedendomi: “perché sto qui?”.
Mi è venuta in mente la frase di Giovanni Evangelista: «E il Verbo si è fatto
carne e venne ad abitare in mezzo a noi». Sono qui per abitare in mezzo a
questa gente e permettere a Gesù di farlo prestandogli la mia carne. In Medio
Oriente il peccato dell’uomo, sia nel passato che nel presente, ha assunto
forme terribili.
In
Medio Oriente i peccati della chiesa si sono manifestati in modo drammatico e i
suoi dolori e i suoi patimenti hanno avuto delle caratteristiche particolari. In
Medio Oriente Satana si accanisce per distruggere la culla in cui siamo stati
generati e distruggere con la memoria delle origini la fedeltà ad esse. Il
Medio Oriente deve essere riabitato come fu abitato ieri da Gesù: con lunghi
silenzi, con umiltà e semplicità di vita, con opere di fede, con miracoli di
carità, con la limpidezza inerme della testimonianza, con il dono consapevole
della vita. La venuta di Fabio, di Gerardo e della giovane coppia di sposi
Andrea e Manuela durante le feste natalizie, la presenza in questo momento di
Isabella e Loredana della parrocchia di S. Frumenzio a Roma, sono un dono per
questa terra e un dono di questa terra a loro e attraverso loro alle terre di
provenienza. Che Dio li ricolmi di benedizioni e ne faccia uno strumento di
benedizione. Che Dio susciti delle presenze più stabili e moltiplichi piccole
comunità che siano come lievito nella pasta e un piccolo seme gettato nella
terra. Che Dio faccia rinverdire sempre più i semi antichi nascosti in questa
terra per gettare nuova linfa nelle nostre terre che già agli inizi la
ricevettero. Che Dio crei legami di comunione e susciti persone di comunione.
Un
saluto affettuoso a tutti con l’augurio di ogni bene.
Don
Andrea
______________________
P.S.:
-
Ringrazio tutti quelli che contribuiscono ai
lavori di restauro della chiesa
di Trabzon sul Mar Nero. Come già sapete in una zona lunga quanto l’Italia ci
sono due sole chiese aperte, questa e un’altra a 350 km. di distanza, come se
in Italia avessimo due sole chiese, una a Catania e l’altra a Milano. Farne un
punto di riferimento, una sede di una piccola comunità, un centro di preghiera,
di accoglienza e di dialogo, un luogo “bello” spiritualmente, un punto di
irradiazione come una piccola lampada accesa, è importante. È anche un luogo
preparato per voi: per ricreare la vostra anima, per dilatare i suoi confini,
per venire a ricevere e a dare quello che Dio ha preparato per voi.
-
Nel cuore di alcuni dei pochissimi cattolici del posto sono sorti dei
problemi, tipici di chi è nuovo nella fede. Ve li
affido perché chiediate per essi uno Spirito di luce, di umiltà, di unità.