Una Europa a somma algebrica?

L’avvio dei negoziati per far entrare la Turchia nell’Unione Europea apre domande profonde sull’identità politica e storica del continente. Importante interrogarsi sul modello di di Europa che abbiamo in mente.


L’inizio dei negoziati per l’ingresso della Turchia nell’Unione Europea è stato letto da tutti come un evento storico. Posizione sensata, perché la posta in gioco è altissima e ha risvolti politici, sociali ed econonomici che determineranno nel bene e nel male il futuro del continente. 

I 25 paesi membri dell’UE hanno raggiunto un accordo sofferto, segno di contraddizioni che hanno caratterizzato tutto il dibattitto degli ultimi anni. Vagheggiato come baluardo della stabilità da Stati Uniti e gran parte delle nazioni europee tra cui Italia, Francia e Germania, l’ingresso di Ankara nell’Unione ha creato anche profondi malumori nell’opinione pubblica di mezza Europa (elettori francesi in testa) e tra importanti figure di riferimento, come l’attuale pontefice che nel 2004, seppur a titolo personale, espresse in merito posizioni molto dure.

In effetti, al di là della ragione di Stato e delle strategie di geopolitica, i nodi rimangono tutti al centro del dibattito: il rispetto insufficiente dei diritti umani, una tradizione culturale e politica propria, un’estraneità geografica e storica rispetto al continente, aspetti religiosi che rappresentano un caso a sé. Nell’elenco non si vuole avanzare alcun tipo giudizio (sebbene esistano i presupposti); eppure sarebbe poco intelligente far finta di nulla. Aspetto determinante è chiedersi soprattutto che idea d’Europa abbiamo intenzione di coltivare e quale sia l’opportunità di certe decisioni.

Con la bocciatura della carta costituzionale da parte di Francia e Olanda, il continente vive una delle crisi politiche più gravi degli ultimi anni, che si configura in primo luogo come una perdita profonda di identità. In un contesto in cui il futuro è incerto insieme allo status giuridico dell’istituzione, appare curioso l’impegno dei governi e delle cancellerie nell’allargamento. Perché prima di aprirsi all’esterno, sarebbe importante chiedersi che cosa si è in grado di esportare. La domanda diventa prioritaria per l’Europa del 2005 che è chiamata a dire se vuole essere una semplice somma di Stati che sottoscrivono trattati internazionali, un’area di scambio economica con una moneta comune e poco più, oppure un soggetto politico reale, capace di condividere decisioni concrete, una visione sociale precisa, uno spirito di appartenenza e di cittadinanza autorevoli.

È chiaro che nelle prime due ipotesi l’ingresso della Turchia non creerebbe alcun problema (le esigenze della politica ne uscirebbero rafforzate); tuttavia nell’ultimo caso, l’impresa sarebbe molto più difficile e sinceramente poco opportuna. La discriminazione o i distinguo non c’entrano; entra in gioco soltanto la convinzione e la sana utopia di credere che un’identità europea non può essere costruita ignorando la storia e le radici. Il dialogo di ogni tipo (a maggior ragione quello politico) può nascere soltanto nel rispetto delle differenze. Un’Europa a somma algebrica sarebbe davvero molto piccola.  
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[Fonte: Korazym.org 5 ottobre 2005]
 

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