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Che ne sarà dei cristiani di Terra Santa?
L’altro giorno (15 settembre 2009) l’agenzia ZENIT ha riferito del discorso
pronunciato dal Patriarca latino di Gerusalemme (a proposito: come mai i
Patriarchi latini di Gerusalemme non diventano mai Cardinali? La Chiesa-madre
della cristianità non merita forse una porpora?), Mons. Fouad Twal, l’8
settembre scorso a Londra nella Cattedrale di Westminster. Non mi pare che tale
intervento abbia avuto la risonanza che avrebbe meritato. Pertanto mi permetto
di farvi eco, nel mio piccolo, perché non voglio, come ho già ripetuto altre
volte, che qualcuno possa dire un giorno: “Non sapevamo...”.
Il Patriarca ha, innanzi tutto, lanciato un grido di allarme circa il futuro
della Chiesa in Terra Santa:
«Il Patriarca latino di Gerusalemme, Fouad Twal, ha avvertito che il futuro
della Chiesa in Terra Santa è a rischio. Per questo motivo, ha chiesto ai
cristiani di tutto il mondo di unire i propri sforzi per aiutare i fedeli della
terra di Gesù.
[...] Il Patriarca ha sottolineato che l’emigrazione ha ridotto drasticamente il
numero dei cristiani sia in Israele che in Palestina. Secondo il presule,
ricorda l’associazione caritativa internazionale Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS),
che ha organizzato l’incontro londinese, si pensa che i fedeli di Gerusalemme
diminuiranno dai 10.000 attuali a poco più di 5.000 nel 2016. In tutta la Terra
Santa, ha aggiunto, i cristiani sono scesi dal 10 al 2% in 60 anni, anche se
altre prove mostrano che il declino potrebbe essere superiore».
Si noti che “in 60 anni” significa: “dalla creazione dello Stato di Israele”
(1948). Se le statistiche hanno un senso, le conclusioni dovrebbero essere
ovvie.
Mons. Twal ha quindi descritto la reale situazione dei cristiani e delle altre
minoranze in Terra Santa:
«Il Patriarca ha confessato che fino ad ora il pellegrinaggio svolto da
Benedetto XVI in Terra Santa a maggio non ha portato a una minore oppressione
delle minoranze e che “la continua discriminazione in Israele minaccia sia i
cristiani che i musulmani”.
“Tra la limitazione degli spostamenti e la noncuranza per le necessità
abitative, le tasse e la violazione dei diritti di residenza, i cristiani
palestinesi non sanno da che parte voltarsi”.
Il Patriarca Twal ha condannato in particolare il muro eretto da Israele intorno
alla West Bank, affermando che oltre a ostacolare la libertà di movimento “ha
chiuso molti palestinesi in zone-ghetto in cui l’accesso al lavoro,
all’assistenza medica, all’istruzione e ad altri servizi di base è stato
gravemente compromesso”.
“Abbiamo una nuova generazione di cristiani che non può visitare i Luoghi Santi
della sua fede anche se distano solo pochi chilometri dal luogo in cui risiede”,
ha denunciato. [...]
Nei Territori Occupati, ha aggiunto, la gente “è completamente alla mercè
dell’Esercito israeliano, e al momento la Striscia di Gaza vive sotto un assedio
imposto da Israele, che ha provocato una drammatica crisi umanitaria”».
C’era qualcuno che si era illuso che la visita del Papa in Terra Santa avrebbe
cambiato qualcosa? Basta vedere che cosa stanno facendo in questi giorni gli
israeliani con gli insediamenti: bloccarli — ha detto Netanyahu — sarebbe contro
la pace!!!
Mons. Twal ha infine fatto una amara riflessione che tutti faremmo bene a fare
insieme con lui:
«Se in 61 anni non siamo riusciti a ottenere la pace, vuol dire che i metodi che
abbiamo usato erano sbagliati».
Penso proprio che il Patriarca abbia ragione: i metodi finora usati — non solo
dai poveri cristiani di Terra Santa, ma dalla Chiesa intera e dalla fantomatica
“comunità internazionale” — erano sbagliati. Che significa? Significa che
bisogna cambiare politica nei confronti dello Stato di Israele. Non è possibile
continuare a seguire una politica di formale “equidistanza”, che di fatto si
risolve in un sostegno incondizionato per Israele a danno dei palestinesi. Non è
possibile continuare a riaffermare il “sacrosanto diritto di Israele
all’esistenza” e il (non altrettanto sacrosanto) “diritto dei palestinesi ad
avere un loro Stato”. Sono chiacchiere. È giunta l’ora di prendere una posizione
netta a favore degli oppressi contro l’oppressore. Anche perché Israele
approfitta della timidezza della Chiesa e della comunità internazionale (che
tiene sotto ricatto con l’arma dell’antisemitismo) per fare i propri comodi.
Personalmente sono convinto che, se tutti avessero un po’ più di coraggio,
Israele non potrebbe permettersi di fare quello che sta facendo. Ma —
argomentano i pusillanimi — Israele è una potenza nucleare; potrebbe
distruggerci tutti in un batter d’occhio. Per me, è solo un gigante dai piedi di
argilla. Quando ero giovane, esisteva l’Unione Sovietica: sembrava una
superpotenza invincibile, che terrorizzava i popoli con le sue armi. A Roma
aspettavamo, da un giorno all’altro, che i cosacchi si accampassero in Piazza
San Pietro. Li stiamo ancora aspettando. Dov’è finita nel frattempo l’Unione
Sovietica? È finita nel nulla, dalla sera alla mattina. Prima o poi, se Israele
continuerà con la sua politica criminale, farà la stessa fine; e i suoi abitanti
se ne fuggiranno uno a uno all’estero, dove hanno una seconda cittadinanza. Il
bello sarà, a quel punto, che tutti se ne laveranno le mani, e l'unica su cui
ricadranno tutte le colpe sarà, come al solito, la Chiesa cattolica, che verrà
accusata di aver sostenuto il regime israeliano. Quanto ci volete scommettere?
(Fonte: p. Giovanni Scalese, Querculanus
venerdì 18 settembre 2009)
I CRISTIANI DI TERRA SANTA, VITTIME DI CONTINUE OPPRESSIONI
Il Patriarca Twal: senza l'aiuto esterno, la Chiesa è a rischio
KÖNIGSTEIN, martedì, 15 settembre 2009 (ZENIT.org).- Il Patriarca latino di
Gerusalemme, Fouad Twal, ha avvertito che il futuro della Chiesa in Terra Santa
è a rischio. Per questo motivo, ha chiesto ai cristiani di tutto il mondo di
unire i propri sforzi per aiutare i fedeli della terra di Gesù.
Durante un discorso pronunciato l'8 settembre nella Cattedrale di Westminster, a
Londra, il Patriarca ha sottolineato che l'emigrazione ha ridotto drasticamente
il numero dei cristiani sia in Israele che in Palestina.
Secondo il presule, ricorda l'associazione caritativa internazionale Aiuto alla
Chiesa che Soffre (ACS), che ha organizzato l'incontro londinese, si pensa che i
fedeli di Gerusalemme diminuiranno dai 10.000 attuali a poco più di 5.000 nel
2016. In tutta la Terra Santa, ha aggiunto, i cristiani sono scesi dal 10 al 2%
in 60 anni, anche se altre prove mostrano che il declino potrebbe essere
superiore.
Oppressione e muro di separazione
Il Patriarca ha confessato che fino ad ora il pellegrinaggio svolto da Benedetto
XVI in Terra Santa a maggio non ha portato a una minore oppressione delle
minoranze e che “la continua discriminazione in Israele minaccia sia i cristiani
che i musulmani”.
“Tra la limitazione degli spostamenti e la noncuranza per le necessità
abitative, le tasse e la violazione dei diritti di residenza, i cristiani
palestinesi non sanno da che parte voltarsi”. Il Patriarca Twal ha condannato in
particolare il muro eretto da Israele intorno alla West Bank, affermando che
oltre a ostacolare la libertà di movimento “ha chiuso molti palestinesi in
zone-ghetto in cui l'accesso al lavoro, all'assistenza medica, all'istruzione e
ad altri servizi di base è stato gravemente compromesso”.
“Abbiamo una nuova generazione di cristiani che non può visitare i Luoghi Santi
della sua fede anche se distano solo pochi chilometri dal luogo in cui risiede”,
ha denunciato.“Senza di voi, che ne sarà del nostro futuro?”
Alla presenza della coordinatrice per i progetti in Medio Oriente di ACS,
Marie-Ange Siebrecht, il Patriarca Twal ha anche ringraziato l'opera
dell'associazione, che sostiene seminaristi e suore a Betlemme, famiglie che
costruiscono oggetti devozionali in legno d'ulivo e iniziative che promuovono la
cooperazione interreligiosa.
Nell'omelia della Messa che ha celebrato nella Cattedrale di Westminster prima
dell'incontro, ha espresso la propria riconoscenza affermando: “Contiamo sul
vostro affetto e sul vostro sostegno. Senza di voi, che ne sarà del nostro
futuro?”.
Il presule ha poi sottolineato l'importanza delle cinque “P”: preghiera,
pellegrinaggio, pressione, progetti, che portano tutti alla quinta “P”, quella
della pace. “Se in 61 anni non siamo riusciti a ottenere la pace, vuol dire che
i metodi che abbiamo usato erano sbagliati”, ha commentato parlando della
necessità di raggiungere una soluzione definitiva nella regione. “Sembra che i
politici siano più preoccupati della pace che della guerra e preferiscano
gestire il conflitto piuttosto che risolverlo”.
Nei Territori Occupati, ha aggiunto, la gente “è completamente alla mercé
dell'Esercito israeliano, e al momento la Striscia di Gaza vive sotto un assedio
imposto da Israele, che ha provocato una drammatica crisi umanitaria”.
Nonostante tutto, il presule si dice “cautamente ottimista” per “il cambiamento
di tono dell'Amministrazione americana guidata dal Presidente Obama”, osservando
che il nuovo Capo di Stato “sembra molto più consapevole dei suoi predecessori
degli errori fondamentali dell'Amministrazione nell'atteggiamento verso il
conflitto”.
Durante la sua visita a Londra, il Patriarca ha anche incontrato i Vescovi di
Inghilterra e Galles e rappresentanti di organizzazioni come i Cavalieri del
Santo Sepolcro e Missio.
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