È per me motivo di grande gioia essere qui oggi in questa
Basilica di San Gregorio al Celio per la solenne
celebrazione vespertina nella memoria del Transito di San
Gregorio Magno. Con voi, cari Fratelli e Sorelle della
Famiglia camaldolese, rendo grazie a Dio per i mille anni
dalla fondazione del Sacro Eremo di Camaldoli da parte di
san Romualdo. Mi rallegro vivamente della presenza, in
questa particolare circostanza, di Sua Grazia il Dottor
Rowan Williams, Arcivescovo di Canterbury. A Lei, caro
Fratello in Cristo, a ciascuno di voi, cari Monaci e
Monache, e a tutti i presenti rivolgo il mio cordiale
saluto.
Abbiamo ascoltato due brani di san Paolo. Il primo,
tratto dalla Seconda Lettera ai Corinzi, è particolarmente
in sintonia con il tempo liturgico che stiamo vivendo: la
Quaresima. Esso, infatti, contiene l’esortazione
dell’Apostolo ad approfittare del momento favorevole per
accogliere la grazia di Dio.
Il momento favorevole è naturalmente quello in cui Gesù
Cristo è venuto a rivelarci e donarci l’amore di Dio per
noi, con la sua Incarnazione, Passione, Morte e
Risurrezione. Il “giorno della salvezza” è quella realtà che
san Paolo chiama in un altro luogo la “pienezza dei tempi”,
il momento in cui Dio incarnandosi entra in modo del tutto
singolare nel tempo e lo riempie con la sua grazia.
A noi spetta dunque accogliere questo dono, che è Gesù
stesso: la sua Persona, la sua Parola, il suo Santo Spirito.
Inoltre, sempre nella prima Lettura che abbiamo ascoltato,
san Paolo ci parla anche di se stesso e del suo apostolato:
di come egli si sforzi di essere fedele a Dio nel suo
ministero, perché esso sia veramente efficace e non risulti
invece di ostacolo per la fede. Queste parole ci fanno
pensare a san Gregorio Magno, alla testimonianza luminosa
che diede al popolo di Roma e alla Chiesa intera con un
servizio irreprensibile e pieno di zelo per il Vangelo.
Veramente si può applicare anche a Gregorio ciò che Paolo
scrisse di sé: la grazia di Dio in lui non è stata vana (cfr
1 Cor 15,10). E’ questo, in realtà, il segreto per la vita
di ciascuno di noi: accogliere la grazia di Dio e
acconsentire con tutto il cuore e con tutte le forze alla
sua azione. E’ questo il segreto anche della vera gioia, e
della pace profonda.
La seconda Lettura era tratta invece dalla Lettera ai
Colossesi.
Sono le parole – sempre così toccanti per il loro afflato
spirituale e pastorale – che l’Apostolo rivolge ai membri di
quella comunità per formarli secondo il Vangelo, perché
qualunque cosa facciano, “in parole e opere, tutto avvenga
nel nome del Signore Gesù” (Col 3, 17). “Siate perfetti”
aveva detto il Maestro ai suoi discepoli; e ora l’Apostolo
esorta a vivere secondo questa misura alta della vita
cristiana che è la santità. Può farlo perché i fratelli a
cui si rivolge sono “scelti da Dio, santi e amati”.
Anche qui alla base di tutto c’è la grazia di Dio, c’è il
dono della chiamata, il mistero dell’incontro con Gesù vivo.
Ma questa grazia domanda la risposta dei battezzati:
richiede l’impegno di rivestirsi dei sentimenti di Cristo:
tenerezza, bontà, umiltà, mansuetudine, magnanimità, perdono
reciproco, e sopra tutto, come sintesi e coronamento,
l’agape, l’amore che Dio ci ha donato mediante Gesù e che lo
Spirito Santo ha effuso nei nostri cuori. E per rivestirsi
di Cristo è necessario che la sua Parola abiti tra noi e in
noi con tutta la sua ricchezza, e in abbondanza. In un clima
di costante rendimento di grazie, la comunità cristiana si
nutre della Parola e fa risalire verso Dio, come canto di
lode, la Parola che Lui stesso ci ha donato. Ed ogni azione,
ogni gesto, ogni servizio, viene compiuto all’interno di
questa relazione profonda con Dio, nel movimento interiore
dell’amore trinitario che scende verso di noi e risale verso
Dio, movimento che nella celebrazione del Sacrificio
eucaristico trova la sua forma più alta.
Questa Parola illumina anche le liete circostanze che ci
vedono riuniti oggi, nel nome di San Gregorio Magno. Grazie
alla fedeltà e alla benevolenza del Signore, la
Congregazione dei Monaci Camaldolesi dell’Ordine di San
Benedetto ha potuto percorrere mille anni di storia,
nutrendosi quotidianamente della Parola di Dio e
dell’Eucaristia, così come aveva insegnato loro il fondatore
san Romualdo, secondo il “triplex bonum” della solitudine,
della vita in comune e dell’evangelizzazione. Figure
esemplari di uomini e donne di Dio, come san Pier Damiani,
Graziano – l’autore del Decretum – san Bruno di Querfurt e i
Cinque Fratelli martiri, Rodolfo I e II, la Beata
Gherardesca, la Beata Giovanna da Bagno e il Beato Paolo
Giustiniani; uomini di scienza e di arte come Fra Mauro il
Cosmografo, Lorenzo Monaco, Ambrogio Traversari, Pietro
Delfino e Guido Grandi; storici illustri come gli Annalisti
Camaldolesi Giovanni Benedetto Mittarelli e Anselmo
Costadoni; zelanti Pastori della Chiesa, fra i quali spicca
il Papa Gregorio XVI, hanno mostrato gli orizzonti e la
grande fecondità della tradizione camaldolese.
Ogni fase della lunga storia dei Camaldolesi ha
conosciuto testimoni fedeli del Vangelo, non soltanto nel
silenzio del nascondimento e della solitudine e nella vita
comune condivisa con i fratelli, ma anche nel servizio umile
e generoso verso tutti. Particolarmente feconda è stata
l’accoglienza offerta dalle foresterie camaldolesi. Ai tempi
dell’umanesimo fiorentino le mura di Camaldoli hanno accolto
le famose disputationes, alle quali partecipavano grandi
umanisti quali Marsilio Ficino e Cristoforo Landino; negli
anni drammatici della seconda guerra mondiale, gli stessi
chiostri hanno propiziato la nascita del famoso “Codice di
Camaldoli”, una delle fonti più significative della
Costituzione della Repubblica Italiana. Non furono meno
fecondi gli anni del Concilio Vaticano II, durante i quali
sono maturate tra i Camaldolesi personalità di grande
valore, che hanno arricchito la Congregazione e la Chiesa e
hanno promosso nuovi slanci e insediamenti negli Stati Uniti
d’America, in Tanzania, in India e in Brasile. In tutto
questo, era garanzia di fecondità il sostegno di monaci e
monache che accompagnavano le nuove fondazioni con la
preghiera costante, vissuta nel profondo della loro
“reclusione”, qualche volta fino all’eroismo.
Il 17 settembre 1993, il Beato Papa Giovanni Paolo II,
incontrando i monaci nel Sacro Eremo di Camaldoli,
commentava il tema del loro imminente Capitolo Generale,
“Scegliere la speranza, scegliere il futuro”, con queste
parole: “Scegliere la speranza e il futuro significa, in
ultima analisi, scegliere Dio … Significa scegliere Cristo,
speranza di ogni uomo”. E aggiungeva: “Ciò avviene, in
particolare, in quella forma di vita che Dio stesso ha
suscitato nella Chiesa ispirando San Romualdo a fondare la
Famiglia benedettina di Camaldoli, con la caratteristica
complementarità di Eremo e Monastero, vita solitaria e vita
cenobitica tra loro coordinate”. Il mio Beato Predecessore
sottolineò inoltre che “scegliere Dio vuol dire anche
coltivare umilmente e pazientemente – accettando, appunto, i
tempi di Dio – il dialogo ecumenico e il dialogo
interreligioso”, sempre a partire dalla fedeltà al carisma
originario ricevuto da san Romualdo e trasmesso attraverso
una millenaria e pluriforme tradizione.
Incoraggiati dalla visita e dalle parole del Successore
di Pietro, voi monaci e monache camaldolesi avete proseguito
il vostro cammino ricercando sempre di nuovo il giusto
equilibrio tra lo spirito eremitico e quello cenobitico, tra
l’esigenza di dedicarvi interamente a Dio nella solitudine e
quella sostenervi nella preghiera comune e quella di
accogliere i fratelli perché possano attingere alle sorgenti
della vita spirituale e giudicare le vicende del mondo con
coscienza veramente evangelica. Così voi cercate di
conseguire quella perfecta caritas che san Gregorio Magno
considerava punto di arrivo di ogni manifestazione della
fede, impegno che trova conferma nel motto del vostro
stemma: “Ego Vobis, Vos Mihi”, sintesi della formula di
alleanza tra Dio e il suo popolo, e fonte della perenne
vitalità del vostro carisma.
Il Monastero di San Gregorio al Celio è il contesto
romano in cui celebriamo il millennio di Camaldoli insieme
con Sua Grazia l’Arcivescovo di Canterbury che, insieme con
noi, riconosce questo Monastero come luogo nativo del legame
tra il Cristianesimo nelle Terre britanniche e la Chiesa di
Roma. L’odierna celebrazione è dunque connotata da un
profondo carattere ecumenico che, come sappiamo, fa parte
ormai dello spirito camaldolese contemporaneo. Questo
Monastero camaldolese romano ha sviluppato con Canterbury e
la Comunione Anglicana, soprattutto dopo il Concilio
Vaticano II, legami ormai tradizionali. Per la terza volta
oggi il Vescovo di Roma incontra l’Arcivescovo di Canterbury
nella casa di san Gregorio Magno. Ed è giusto che sia così,
perché precisamente da questo Monastero il Papa Gregorio
scelse Agostino e i suoi quaranta monaci per inviarli a
portare il Vangelo fra gli Angli, poco più di mille e
quattrocento anni fa. La presenza costante di monaci in
questo luogo, e per un tempo così lungo, è già in se stessa
testimonianza della fedeltà di Dio alla sua Chiesa, che
siamo felici di poter proclamare al mondo intero. Il segno
che insieme porremo davanti al santo altare dove Gregorio
stesso celebrava il Sacrificio eucaristico, ci auguriamo che
resti non soltanto come ricordo del nostro incontro
fraterno, ma anche come stimolo per tutti i fedeli,
Cattolici ed Anglicani, affinché, visitando a Roma i
sepolcri gloriosi dei santi Apostoli e Martiri, rinnovino
anche l’impegno di pregare costantemente e di operare per
l’unità, per vivere pienamente secondo quell’“ut unum sint”
che Gesù ha rivolto al Padre.
Questo desiderio profondo, che abbiamo la gioia di
condividere, lo affidiamo alla celeste intercessione di San
Gregorio Magno e di San Romualdo. Amen.
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