COSTITUZIONE APOSTOLICA
di Papa Giovanni XXIII
(SULLO STUDIO E L'USO DEL LATINO)
L'antica sapienza, racchiusa nelle opere letterarie romane
e greche, e parimenti i più illustri insegnamenti dei popoli
antichi devono essere ritenuti quasi aurora annunziatrice
del Vangelo, che il Figlio di Dio, «arbitro e maestro della
grazia e della scienza, luce e guida del genere umano» (1)
ha annunciato su questa terra.
Infatti i Padri e Dottori della Chiesa riconobbero in
questi antichissimi e importantissimi monumenti letterari
una certa preparazione degli animi a ricevere la celeste
ricchezza, che Gesù Cristo «nel verificarsi della pienezza
dei tempi» (2), comunicò ai mortali; da ciò appare
chiaramente che, con l'avvento del Cristianesimo, non è
andato perduto quanto di vero, di giusto, di nobile e anche
di bello i secoli trascorsi avevano prodotto.
Per la qual cosa la Santa Chiesa ebbe sempre in grande
onore i documenti di quella sapienza e prima di tutto le
lingue Latina e Greca, quasi veste aurea della stessa
sapienza; accettò anche l'uso di altre venerabili lingue,
che fiorirono nelle regioni orientali, che non poco
contribuirono al progresso del genere umano e alla civiltà;
le stesse, usate nelle cerimonie religiose o
nell'interpretazione delle Sacre Scritture, hanno vigore
anche oggi in alcune regioni, quasi non mai interrotte voci
di un uso antico ancora vigoroso.
Nella varietà di queste lingue certamente si distingue
quella che, nata nel Lazio, in seguito giovò mirabilmente
alla diffusione del Cristianesimo nelle regioni occidentali.
Giacché, non senza disposizione della Divina Provvidenza
accadde che la lingua, la quale per moltissimi secoli aveva
unito tante genti sotto l'Impero Romano, diventasse propria
della Sede Apostolica (3) e, custodita per la posterità,
congiungesse in uno stretto vincolo, gli uni con gli altri,
i popoli cristiani dell'Europa.
Infatti, di sua propria natura la lingua latina è atta a
promuovere presso qualsiasi popolo ogni forma di cultura;
poiché non suscita gelosie, si presenta imparziale per tutte
le genti, non è privilegio di nessuno, infine è a tutti
accetta ed amica. Né bisogna dimenticare che la lingua
latina ha nobiltà di struttura e di lessico, dato che offre
la possibilità di «uno stile conciso, ricco, armonioso,
pieno di maestà e di dignità» (4), che singolarmente giova
alla chiarezza ed alla gravità.
Per questi motivi la Santa Sede ha gelosamente vegliato
sulla conservazione e il progresso della lingua latina e la
ritenne degna di usarla essa stessa, «come magnifica veste
della dottrina celeste e delle santissime leggi» (5),
nell'esercizio del suo magistero, e volle che l'usassero
anche i suoi ministri. Infatti questi uomini della Chiesa,
ovunque si trovino, usando la lingua di Roma, possono più
rapidamente venire a sapere quanto riguarda la Santa Sede ed
avere con questa e fra loro più agevole comunicazione.
«La piena conoscenza e l'uso di questa lingua, così
legata alla vita della Chiesa, non interessa tanto la
cultura e le lettere quanto la Religione» (6), come il
nostro Predecessore di immortale memoria Pio XI ebbe ad
ammonire; egli, essendosi occupato scientificamente
dell'argomento, additò chiaramente tre doti di questa
lingua, in modo mirabile conformi alla natura della Chiesa:
«Infatti la Chiesa, poiché tiene unite nel suo amplesso
tutte le genti e durerà fino alla consumazione dei secoli…
richiede per sua natura un linguaggio universale,
immutabile, non volgare» (7).
Poiché è necessario, invero, che «ogni Chiesa si unisca
nella Chiesa Romana» (8) e, dal momento che i Sommi
Pontefici hanno «autorità episcopale, ordinaria e immediata
su tutte le Chiese e su ogni Chiesa in particolare, su tutti
i pastori e su ogni pastore e sui fedeli» (9) di qualunque
rito, di qualunque nazione, di qualunque lingua essi siano,
sembra del tutto conseguente che il mezzo di comunicazione
sia universale ed uguale per tutti, particolarmente tra la
Sede Apostolica e le Chiese che seguono lo stesso rito
latino. Pertanto, sia i Pontefici Romani, quando vogliono
impartire qualche insegnamento alle genti cattoliche, sia i
Dicasteri della Curia Romana, quando trattano di affari,
quando stendono dei decreti, che riguardano tutti i fedeli,
sempre usano la lingua latina, che è accolta da innumerevoli
genti, quasi voce della madre comune.
Ed è necessario che la Chiesa usi una lingua non solo
universale, ma anche immutabile. Se, infatti, le verità
della Chiesa Cattolica fossero affidate ad alcune o a molte
delle lingue moderne che sono sottomesse a continuo
mutamento, e delle quali nessuna ha sulle altre maggior
autorità e prestigio, ne deriverebbe senza dubbio che, a
causa della loro varietà, non sarebbe a molti manifesto con
sufficiente precisione e chiarezza il senso di tali verità,
né, d'altra parte si disporrebbe di alcuna lingua comune e
stabile, con cui confrontare il significato delle altre.
Invece, la lingua latina, già da tempo immune da quelle
variazioni che l'uso quotidiano del popolo suole introdurre
nei vocaboli, deve essere considerata stabile ed immobile,
dato che il significato di alcune nuove parole che il
progresso, l'interpretazione e la difesa delle verità
cristiane richiesero, già da tempo è stato definitivamente
acquisito e precisato.
Infine, poiché la Chiesa Cattolica, perché fondata da
Cristo Nostro Signore, eccelle di gran lunga in dignità su
tutte le società umane, è sommamente conveniente che essa
usi una lingua non popolare, ma ricca di maestà e di
nobiltà.
Inoltre, la lingua latina, che «a buon diritto possiamo
dire cattolica» (10), poiché è propria della Sede
Apostolica, madre e maestra di tutte le Chiese, e consacrata
dall'uso perenne, deve essere ritenuta «tesoro di
incomparabile valore» (11) e quasi porta attraverso la quale
si apre a tutti l'accesso alle stesse verità cristiane,
tramandate dagli antichi tempi, per interpretare le
testimonianze della dottrina della Chiesa (12) e, infine,
vincolo quanto mai idoneo, mediante il quale l'epoca attuale
della Chiesa si mantiene unita con le età passate e con
quelle future in modo mirabile.
Invero, nessuno può dubitare che la lingua latina e la
cultura umanistica siano fornite di quella forza che è
ritenuta quanto mai adatta a istruire e a formare le tenere
menti dei giovani. Per suo mezzo, infatti, si educano,
maturano, si perfezionano le migliori facoltà dello spirito;
la finezza della mente e la capacità di giudizio si
acuiscono; inoltre, l'intelligenza del fanciullo viene più
convenientemente formata a comprendere e a giudicare nel
giusto senso ogni cosa; infine, si impara a pensare e a
parlare con sommo ordine.
Se si riflette su tutti questi meriti, si comprende
perché i Pontefici Romani cosí frequentemente hanno
sommamente lodato non solo l'importanza e l'eccellenza della
lingua latina, ma ne hanno prescritto lo studio e la pratica
ai sacri ministri dell'uno e dell'altro clero, senza
omettere di denunciare i pericoli derivanti dal suo
abbandono.
Spinti anche Noi da questi gravissimi motivi, come i
nostri Predecessori e i Sinodi Provinciali (13), con ferma
volontà intendiamo adoperarci perché lo studio e l'uso di
questa lingua, restituita alla sua dignità, faccia sempre
maggiori progressi. Poiché in questo nostro tempo si è
cominciato a contestare in molti luoghi l'uso della lingua
Romana e moltissimi chiedono il parere della Sede Apostolica
su tale argomento, abbiamo deciso, con opportune norme,
enunciate in questo documento, di fare in modo che l'antica
e mai interrotta consuetudine della lingua latina sia
conservata e, se in qualche caso sia andata in disuso, sia
completamente ripristinata.
Del resto, quale sia il nostro pensiero su tale
argomento, crediamo di averlo abbastanza chiaramente
dichiarato quando rivolgemmo queste parole ad illustri
studiosi del Latino: «Purtroppo vi sono parecchi che,
esageratamente sedotti dallo straordinario progresso delle
scienze hanno la presunzione di respingere o limitare lo
studio del Latino e di altre discipline di tal genere…
Precisamente mossi da questa necessità, Noi riteniamo che si
debba intraprendere il cammino opposto. Poiché l'animo si
nutre e compenetra di tutto ciò che maggiormente onora la
natura e la dignità dell'uomo, con maggiore ardore si deve
acquisire ciò che arricchisce ed abbellisce lo spirito,
affinché i miseri mortali non siano freddi, aridi e privi di
amore, come le macchine che fabbricano» (14).
Dopo aver esaminato queste cose e dopo averle valutate
attentamente, con sicura coscienza del Nostro ufficio e
nell'esercizio della Nostra autorità, stabiliamo e ordiniamo
quanto segue:
1. Sia i Vescovi che i Superiori Generali degli Ordini
religiosi si adoperino efficacemente perché nei loro
Seminari e nelle loro Scuole, nelle quali i giovani vengono
preparati al sacerdozio, tutti si conformino con impegno
alla volontà della Sede Apostolica e obbediscano con la
maggiore diligenza a queste Nostre prescrizioni.
2. I medesimi Vescovi e Superiori Generali degli Ordini
religiosi, mossi da paterna sollecitudine, vigileranno
affinché nessuno dei loro soggetti, smanioso di novità,
scriva contro l'uso della lingua latina nell'insegnamento
delle sacre discipline e nei sacri riti della Liturgia e,
con opinioni preconcette, si permetta di estenuare la
volontà della Sede Apostolica in materia e di interpretarla
erroneamente.
3. Come è stabilito nelle disposizioni sia del Codice di
Diritto Canonico sia dei Nostri Predecessori, gli aspiranti
al Sacerdozio, prima di intraprendere gli studi
ecclesiastici veri e propri, siano istruiti nella lingua
latina con somma cura e con metodo razionale da maestri
assai esperti, per un conveniente periodo di tempo, «anche
per il motivo che, in seguito, avvicinatisi a discipline di
maggior impegno… non accada che, ignorando la lingua, non
possano giungere alla completa comprensione delle dottrine e
nemmeno esercitarsi nelle dispute scolastiche, per mezzo
delle quali le menti dei giovani si affinano alla difesa
della verità» (15). E vogliamo che questa norma sia estesa
anche a coloro che, chiamati per volontà divina a ricevere i
sacri ordini in età avanzata, si applicarono poco o nulla
agli studi umanistici. Nessuno, invero, deve essere
introdotto allo studio delle discipline filosofiche o
teologiche se non sia stato pienamente e perfettamente
istruito in questa lingua e sappia bene usarla.
4. Se in qualche paese, poi, per aver adottato un
programma di studio proprio delle scuole pubbliche dello
Stato, lo studio della lingua latina abbia subito delle
diminuzioni, con danno di un insegnamento solido ed
efficace, decretiamo che in tal caso sia completamente
ripristinato l'ordine tradizionale dell'insegnamento di tale
lingua per la formazione dei sacerdoti: poiché tutti devono
persuadersi che, anche in questo campo, il metodo di
istruzione dei futuri sacerdoti deve essere difeso
scrupolosamente, non solo circa il numero ed i generi delle
materie, ma anche relativamente ai periodi di tempo
necessari per insegnarle. E se, qualora lo richiedano
circostanze di tempo e di luogo, si debbano per necessità
aggiungere delle discipline a quelle comuni, in tal caso o
si prolunghi il corso degli studi o se ne compendi la
trattazione, o, infine, se ne rinvii lo studio ad altro
momento.
5. Le più importanti discipline sacre, come è stato assai
spesso ordinato, devono essere insegnate in lingua latina,
la quale, come lo dimostra l'esperienza di parecchi secoli,
«è stimata la più adatta a spiegare l'intima e profonda
natura delle nozioni e delle forme con assoluta chiarezza e
lucidità» (16); tanto più che essa si è venuta arricchendo
di vocaboli appropriati e precisi, adatti a difendere
l'integrità della fede cattolica, e non poco adatta recidere
ogni vuota verbosità. Per la qual cosa, coloro che nelle
Università o nei Seminari insegnano tali discipline sono
obbligati e a parlare in latino e ad usare testi scritti in
latino. Se alcuni, ignorando la lingua latina, non sono
nella possibilità di obbedire a queste prescrizioni della S.
Sede, siano gradatamente sostituiti da docenti a ciò
preparati. Se poi alunni e professori addurranno delle
difficoltà, è necessario che queste siano vinte dalla
fermezza dei Vescovi e dei Superiori religiosi e dalla buona
disposizione dei docenti.
6. Poiché la lingua latina è lingua viva della Chiesa,
che dev'essere continuamente adattata alle crescenti
necessità del linguaggio e arricchita con nuovi e
appropriati e convenienti vocaboli, secondo una regola
costante, universale e conforme allo spirito dell'antica
lingua latina - regola che già seguirono i Santi Padri e i
migliori scrittori «scolastici» - affidiamo l'incarico alla
Sacra Congregazione dei Seminari e delle Università degli
Studi di fondare un'Accademia di Studi Latini. A tale
Accademia, nella quale occorre sia costituito un Collegio di
Professori espertissimi in Latino e in Greco, chiamati dalle
diverse parti del mondo, sarà soprattutto ordinato che, non
diversamente da quanto accade per le Accademie nazionali
costituite per l'incremento della lingua nazionale dei
rispettivi paesi, provveda contemporaneamente ad un ordinato
sviluppo dello studio della lingua latina e ad accrescere,
se necessario, il lessico con parole adatte alla sua natura
ed al suo carattere, e tenga, nello stesso tempo dei corsi
sul latino di ogni epoca, ma soprattutto di quella
Cristiana. In queste scuole saranno altresì istruiti ad una
più profonda conoscenza del latino, al suo uso, ad un modo
di scrivere appropriato ed elegante quanti sono destinati o
ad insegnarlo nei Seminari e nei Collegi ecclesiastici, o a
scrivere decreti e sentenze, o a curare la corrispondenza
nelle Congregazioni della Santa Sede, nelle Curie, nelle
Diocesi, negli uffici degli Ordini religiosi.
7. Poiché la lingua latina è strettamente connessa con
quella greca, e per l'insieme della sua struttura e per
l'importanza dei testi tramandati, è necessario che anche in
questa siano istruiti, come molte volte i Nostri
Predecessori hanno ordinato, i futuri ministri dell'arte fin
dalle scuole inferiori e medie, affinché, quando si
applicheranno alle discipline superiori e soprattutto se
raggiungeranno i corsi accademici sulle Sacre Scritture e
sulla Sacra Teologia, essi abbiano la possibilità di
accostarsi e interpretare giustamente non solo le fonti
greche della filosofia «scolastica», ma anche i testi
originali delle Sacre Scritture, della Liturgia e dei Padri
greci.
8. Alla medesima Sacra Congregazione ordiniamo di
predisporre un ordinamento degli studi sulla lingua latina,
che tutti dovranno applicare con estrema diligenza, in modo
che, quanti lo seguiranno, acquistino appropriata conoscenza
e pratica della lingua stessa. Se il caso lo richiederà, le
Commissioni degli Ordinari potranno regolare diversamente il
programma, ma giammai mutarne o diminuirne la natura e il
fine. Nondimeno, gli stessi Vescovi non si permettano di
attuare le loro decisioni, se prima la Sacra Congregazione
non le avrà esaminate ed approvate.
Infine, in virtù della Nostra Apostolica Autorità
vogliamo ed ordiniamo che quanto abbiamo stabilito,
decretato, ordinato ed ingiunto con questa Nostra
Costituzione resti definitivamente fermo e sancito non
ostante qualsiasi prescrizione in contrario, pur degna di
speciale menzione.
Dato in Roma, presso San Pietro, il giorno 22 febbraio,
Festa della Cattedra di San Pietro Apostolo, nell'anno 1962,
quarto del Nostro Pontificato. Ioannes PP. XXIII
NOTE
1 - TERTULL., Apol., 21: Migne, P. L., 1, 394.
2 - S. PAOLO, Epist. agli Efesini, 1, 10.
3 - Epist. S. Congr. Stud. Vehementer sane ad Ep.
universos, 1-7-1908: Enchirid. Cler. n° 830. Cfr. anche
Epist. Ap.
Pio XI Unigenitus Dei Filius, 19-3-1924: A.A.S. 16
(1924), 141.
4 - Pio XI, Epist. Ap. Officiorum omnium, 1-8-1922:
A.A.S. 14 (1922), 452-453.
5 - Pio XI, Motu Proprio Litterarum Latinarum, 20-10-24:
A.A.S.
6 - Pio XI, Epist. Ap. Officiorum omnium, 1-8-1922:
A.A.S. 14 (1922), 452.
7 - Ibidem.
8 - S. IRENEo, Adv. Hær, 3, 3, 2: Migne, P. G., 7, 848.
9 - Cfr. C.I.C., can. 218, par. 2.
10 - Cfr. Pio XI, Epist. Ap. Officiorum omnium, 1-8-1922:
A.A.S. 14 (1922), 453.
11 - Pio XII, Alloc. Magis quam, 23-11-1951: A.A.S. 43
(1951), 737.
12 - Leone XIII, Epist. Encicl. Depuis le Jour, 8-9-1899:
Acta Leonis XIII 19 (1899), 166.
13 - Cfr. Collectio Lacensis, soprattutto vol. III, 1018
s. (Conc. Prov. Wesmonasteriense, a. 1859); vol. IV, 29 (Conc.
Prov. Parisiense, a. 1849); vol. IV, 149, 153 (Conc. Prov.
Rhemense, a. 1849); vol. IV, 359, 361 (Conc. Prov.
Amenionense, a. 1849); vol. IV, 394, 396 (Conc. Prov.
Burdigalense, a. 1850); vol. V, 61 (Conc. Prov. Strigoniense,
a. 1858); vol. V, 664 (Conc. Prov. Colocense, a. 1863); vol.
VI, 619 (Synod. Vicariatus Sutchenensis, a. 1803).
14 - Al Congresso Internazionale Ciceronianis Studiis
provehendis, 7-9-1959: in Discorsi, Messaggi, Colloqui del
S. Padre Giovanni XXIII, I, pp. 334-335; cfr. anche Alloc.
ad cives diocesis Placentinæ Roman peregrinantes habita,
15-4-1959: su L'Osservatore Romano, 16-4-1959; Epist.
Pater misericordiarum, 22-8-1961: A.A.S. 53 (1961); Alloc.
in solemni auspicatione Insularum Philippinarum de Urbe
Habita, 7-10-1961: su L'Osservatore Romano,
9-10 ottobre 1961; Epist. Iucunda laudatio, 8-12-1961:
A.A.S. 53 (1961), 812.
15 - Pio XI, Epist. Ap. Officiorum omnium, 1-8-1922:
A.A.S. 14 (1922), 453.
16 - Epist. S. Congr. Stud. Vehementer sane ad Ep.
universos, 1-7-1908: Enchirid. Cler. n° 821.