Aggredisce frate in Turchia: 
per i Tg accusa la chiesa di far prostituire i giovani


“Trascurato” il fatto che il ragazzo, con un lungo coltello, ha minacciato due frati e i giovani che preparano la recita della Passione, rotto una porta e rubato un cellulare. Fermato e subito rilasciato dalla polizia.
 
Sembra una vera campagna mediatica quella in atto contro la Chiesa cattolica in Turchia.(1) Ne è conferma il modo col quale è stata raccontata l’aggressione, per fortuna senza conseguenze, subita dai ragazzi e dai frati della parrocchia di Mersin da parte di un giovane armato di un lungo coltello. “Alcuni telegiornali – ha scritto ad AsiaNews padre Hanri Leylek, uno dei frati della parrocchia – hanno detto che ‘Il ragazzo che si era introdotto nella chiesa cattolica accusa la chiesa di far prostituire i ragazzi con le ragazze che vengono in chiesa’ come se fosse la notizia principale”, tralasciando, cioè, l’aggressione.

Invece, “l’11 marzo – racconta padre Leylek - verso le ore 19.00, mentre stavamo organizzando le prove del teatro della Passione di Cristo nel Convento della parrocchia, un giovane di circa 22 anni che si era mescolato ai ragazzi della parrocchia, si è introdotto con spintoni nel convento. C’erano circa 25 ragazzi di età tra 15 e 19 anni. Uno dei ragazzi della parrocchia mi ha chiamato dicendomi che c’era uno sconosciuto che creava problemi e voleva parlare con un prete. Io sono uscito dalla camera e ho cominciato a parlare con lui; visto che stava dicendo delle cose sconnesse e delle minacce l’ho invitato di uscire fuori, lui ha rifiutato e ha cominciato a minacciare ancora di più e a dire delle parolocce. Il tutto svolgeva nel corridoio del convento, dove erano nel frattempo radunati anche i ragazzi. A questo punto ho deciso di telefonare alla polizia. Il telefono si trova nella cabina del corridoio. Ho preso il telefono e ho fatto il numero della polizia. All’improvviso ho visto i ragazzi scappare ognuno da una parte e questo tizio venuto in cabina telefonica con in mano una specie di scimitarra (un coltello lungo 80-90 cm. per tagliare il doner kebap turco) che aveva nascosto dietro la schiena e ha cominciato a minacciarmi con questo coltello”.

“Ho messo il telefono giù – continua il racconto di padre Leylek - e cercato di calmarlo. Se avesse voluto comunque poteva farmi del male. Ho potuto uscire dalla cabina. Nel frattempo era venuto nel corridoio anche padre Roberto. Questo volta il ragazzo si è diretto verso padre Roberto minacciandolo con il coltello in mano. Ho potuto uscire e andare alla stazione della polizia vicino alla chiesa. Anche padre Roberto ha cercato di tenerlo calmo. Questa volta il ragazzo si è diretto verso il salone dove erano scappati i ragazzi. Ha rotto il vetro della porta con il lungo coltello aprendo la porta e ha cominciato a frugare le giacche dei ragazzi portando con sé un cellulare. I ragazzi, abbandonato il salone si erano rinchiusi in diverse camere e nei bagni. Il ragazzo continuava a gridare e a minacciare. In meno di cinque minuti ero ritornato in convento con 3-4 poliziotti. I quali hanno incontrato il ragazzo sulle scale del convento. Il ragazzo ha minacciato anche i poliziotti i quali hanno cercato di parlare con lui per calmarlo. Nel frattempo erano sopraggiunti i giornalisti e una decina di poliziotti. Le trattative sono durate circa un quarto d’ora. Alla fine il ragazzo si è arreso alla polizia”.

“Questo è il secondo attacco verso la nostra parrocchia di Mersin. Il primo era due mesi fa verso le quattro del mattino. Sempre un giovane, alto e robusto aveva rotto con dei calci le due porte del convento entrando dentro. Anche lui voleva parlare con un prete. Comunque non aveva armi ed era molto calmo. Noi eravamo usciti alle urla del ragazzo. Due di noi hanno cominciato a parlare con lui ed io sono andato a chiamare la polizia che l’ha preso senza opporre resistenza. Il ragazzo aveva anche bruciato dei libri che c’erano nel nostro Ufficio d’informazione della parrocchia”.

“La notizia è stata data sui telegiornali come un fatto di cronaca: ‘Un ladro è entrato nella chiesa cattolica per rubare, ma quando ha incontrato il prete l'ha minacciato con un coltello. Poi il tutto è terminato con l'arrivo della polizia’. Su altri telegiornali invece ‘Il ragazzo che si era introdotto nella chiesa cattolica accusa la chiesa di far prostituire i ragazzi con le ragazze che vengono in chiesa (dando queste notizie la televisione facevano vedere le immagini dei ragazzi e delle ragazze che erano venuti per le prove del teatro). Come fosse la notizia principale”.

“Poco fa – l’inattesa conclusione - abbiamo saputo che il ragazzo è lasciato libero, perché non esiste un fatto per tenerlo in prigione”. “Noi, come Chiesa cattolica abbiamo organizzato per oggi una conferenza stampa, invitando giornalisti locali e nazionali”.

Il racconto di padre Leylek conferma che in Turchia c’è chi cerca di insinuare nella gente l’idea che la Chiesa sta “convertendo” i turchi e crea un pericolo. Così, a meno di un mese dall’uccisione di don Andrea Santoro, il 28 febbraio, il quotidiano nazionale Vatan scriveva che don Andrea distribuiva dollari per invitare i giovani in chiesa. E altri giornali nazionali continuano a parlare dei missionari e del loro proselitismo, della distribuzione di soldi e tante altre illazioni senza mai specificare l’identità degli interessati. Un atteggiamento dietro al quale qualcuno ha anche visto una lotta politica del fondamentalismo religioso contro l’attuale governo turco ed il suo impegno per portare la Turchia in Europa.

Non era un ladro il giovane che ha “aggredito la chiesa di Mersin”, in Turchia. La sua azione rientra invece in una campagna di intimidazioni e violenze della quale sono vittime i cristiani di Turchia, che ha lo scopo di allontanare i fedeli. E’ quanto hanno sostenuto oggi pomeriggio i frati della parrocchia di Mersin nel corso di un incontro con una ventina di giornalisti.

“Abbiamo presentato – racconta ad AsiaNews padre Hanri Leylek, il frate che ha vissuto la vicenda - un documento sull’aggressione alla chiesa, nel quale si sostiene che il giovane non è venuto per rubare, ma per creare terrore e si chiede alla polizia di indagare sui motivi dell’aumento di questi attacchi alla Chiesa e ai luoghi cristiani. Non si tratta – sottolinea - di gesti di pazzi solitari, ma atti di un’organizzazione che vuole spaventare i fedeli per farli allontanare dalla Chiesa. Qui ci sono ragazzi che da due giorni non vengono a scuola e famiglie preoccupate. Si mira all’intimidazione del diverso, ma i cristiani non sono diversi, non vengono da fuori, sono turchi essi stessi”.

Con la città, invece, “non c’è alcun problema: qui c’è amore tra cristiani e musulmani, abbiamo avuto tanta solidarietà in occasione dell’uccisione di don Andrea e di altri episodi dei quali siamo stati vittime; anche la polizia, quando viene chiamata, arriva rapidamente, in 3 o 4 minuti. Il fatto è che i cristiani non sono un corpo estraneo alla popolazione, non sono persone venute da fuori, sono figli di questa terra e tutti lavorano per il bene della nazione, che è il loro stesso bene. Anche la nostra chiesa è stata costruita 150 anni fa”.

I giornalisti, racconta ancora padre Leylek “ci hanno chiesto se crediamo ad un collegamento con la vicende delle vignette. Abbiamo detto che non crediamo, perché gli attacchi ai cattolici in Turchia sono cominciati prima. Da tempo, ad esempio, ci sono programmi televisivi ed articoli di giornale che ci prendono di mira, che sottolineando ciò che divide e non ciò che unisce, pongono l’accento sulle diversità e sull’odio invece che sull’amore”.

Quanto ai resoconti dell’aggressione dati da alcuni media, “i giornalisti hanno spiegato di aver riportato la frase del giovane ‘qui fanno sesso, non è un luogo di culto’, ma noi abbiamo obiettato che avrebbero dovuto sentire la versione delle altre parti e della polizia”. Che sostiene di aver dovuto rilasciare il giovane perché così prescrive la legge, in quanto i reati dei quali può essere accusato prevedono una pena inferiore ai due anni. 
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[Fonte: AsiaNews del 14 marzo 2006]

Una «minoranza» che resiste: centomila fedeli concentrati in tre città   torna su

L'episodio di Mersin segue a breve distanza l'omicidio, a Trebisonda, del sacerdote italiano Andrea Santoro. Episodi di intolleranza continuano così a segnare la vita di una comunità pur molto ridotta. Dai circa due milioni persone - un quarto della popolazione anatolica sotto l'Impero ottomano - i cristiani sono oggi calati a solo 100mila, appena lo 0,15 per cento, quasi tutti concentrati a Istanbul, Smirne e Mersin. Metà di loro sono fedeli della della Chiesa apostolica armena con un patriarca residente a Istanbul, dove la comunità gestisce 35 luoghi di culto. Poi vengono i cattolici, in tutto 30mila - principalmente latini, ma anche armeni, siriaci e caldei. I greco-ortodossi sono al massimo 5mila, ma il loro patriarca, anch'egli residente a Istanbul, occupa il rango onorifico di primus inter pares tra i patriarchi ortodossi. La scomparsa dei cristiani - dovuta al genocidio degli armeni e all'esodo degli ortodossi verso la Grecia - è andata di pari passo con la riduzione delle istituzioni benefiche gestite dalla Chiesa (ospedali, ospizi, scuole) dovuta sia al venire meno del personale sia a gravami economici imposti dallo Stato.

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