Il
problema non è per niente secondario. E i vescovi presenti al Sinodo
sull'eucaristia lo sanno.
Non a caso, quando
monsignor Michel Christian Cartatéguy, vescovo di Niamey, nel Niger,
ne ha parlato, tutti hanno rizzato le orecchie per ascoltarlo
attentamente. È stato lui, infatti, a tirar fuori in maniera diretta
le difficoltà che tante donne cristiane sposate con uomini musulmani
hanno nell'accedere alla comunione.
L’Islam accetta i matrimoni
misti: l’uomo può sposare una donna di fede diversa, perché per
lui è un dovere rispettare la fede e la pratica di sua moglie e
provvedere ai suoi bisogni. Mentre non è possibile l'inverso: una
musulmana non può unirsi con un uomo di un'altra religione poiché,
non preoccupandosi del suo sostentamento materiale, potrebbe trovarsi
in una situazione in cui il responsabile del focolare domestico non
riconosce la sua fede, la sua pratica e le esigenze generali e
particolari della sua religione. Il problema dell’"intolleranza
religiosa" è rilevante soprattutto nei Paesi a maggioranza
musulmana dove «le donne cristiane - sono parole di Cartatéguy - che
sono sposate con dei musulmani sono sovente escluse dalla comunità
musulmana e dalla comunità cristiana».
«La donna cristiana - ha
aggiunto Cartatéguy - non può ricevere il sacramento del
matrimonio» e, allo stesso modo, «difficile per un musulmano
partecipare ad un atto cristiano. In questo modo, le donne cristiane
sposate a musulmani sono per sempre escluse dalla comunione
sacramentale».
Il problema è enorme soprattutto perché il rischio,
frequente, è che la donna, sentendosi non integrata nella comunità
in cui vive, possa sentire una forte spinta a cedere e cioè a
convertirsi all'Islam. Certo, la dottrina cattolica insegna che in
situazioni del genere è opportuno che la donna mantenga la propria
fede e accetti semplicemente di fare la «comunione spirituale» ma -
si è domandato il presule - «per vivere la comunione nella sua
pienezza non bisogna anche comunicarsi?». E ancora: «Non ci sono
mezze misure in questo campo, l'eucaristia è un incontro sensibile
con Gesù Cristo. C'è la possibilità per un vescovo di permettere a
queste donne di partecipare all'eucaristia?».
La domanda non è secondaria. L'intreccio tra cultura cristiana e
religione musulmana è divenuta una caratteristica costante anche in
Occidente. E l'eucaristia si trova nel bel mezzo di questa situazione.
Essa è - come ha ricordato il patriarca di Venezia, Angelo Scola,
nella sua relazione introduttiva al Sinodo - un dono e come tale non
è «né un diritto né un possesso». Che tradotto significa: laddove
non è possibile comunicarsi è necessario accettare di unirsi a
Cristo soltanto spiritualmente tramite, appunto, la comunione
spirituale.
Esplicito il vicepresidente della Conferenza episcopale turca,
monsignor Luigi Padovese: «Nonostante il fatto che in Turchia ci sia
la libertà di culto, i cristiani incontrano alcuni problemi nel
celebrare le messe. Disgraziatamente - ha raccontato - ho dovuto
chiudere cinque giorni fa la chiesa di Adana, perchè il Comune di
Adana non mette in pratica una legge statale che prevede un congruo
spazio tra il luogo di culto e l'abitato». E ancora. «A Tarso esiste
una chiesa-museo: non ci è possibile celebrare l'eucaristia senza
dover chiedere un permesso scritto. Quando arrivano gruppi,
improvvisamente, la cosa riesce estremamente difficile. Credo che da
parte della comunità cattolica, ma direi anche da parte della
comunità cristiana, occorre far sentire la nostra voce affinché in
luoghi così significativi per noi cristiani ci sia un posto dove
poter celebrare l'eucaristia senza chiedere permessi».
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[Fonte: palazzoapostolico.it 6 ottobre 2005