L’uccisione dell’apostata
non è nel Corano,
ma nelle convinzioni delle masse
Bernardo Cervellera su AsiaNews 27 marzo 2006
I teologi
fondamentalisti spingono la convinzione delle masse che si è di
fronte ad una rottura dell’Umma, l’unità. Ma, dice Francesco
Zannini, professore di Islam contemporaneo presso il Pontificio
Istituto di Studi Arabi ed Islamistica (PISAI), tra gli islamici il
dibattito è forte.
Il caso del cristiano convertito dall’islam ha
rilanciato la questione della pena di morte nei Paesi islamici per
apostasia. In realtà, spiega ad AsiaNews Francesco Zannini,
professore di Islam contemporaneo presso il Pontificio Istituto di Studi
Arabi ed Islamistica (PISAI), la condanna non è nel Corano, ma la gente
ci crede, i fondamentalisti soffiano sul fuoco e i governi sono
acquiescenti.
[È di oggi 28
marzo la notizia che è stato rilasciato a Kabul Abdul Rahman, il
41enne afghano accusato di apostasia per essersi convertito al
cristianesimo 16 anni fa]
In tutte le culture islamiche c’è la condanna e la pena di morte
per apostasia?
L’idea di uccidere uno che si converte ad un’altra religione è
molto forte a livello popolare e in alcuni stati dove si applica la
sharia, e cioè l’Arabia Saudita, l’Iran, alcuni stati della
Malaysia… Per il resto, nel mondo islamico si discute moltissimo se è
giusto o no uccidere un apostata.
Va detto subito che il Corano non dà indicazioni precise su questo
tema. Anzi dice: “Non vi sia costrizione nella fede, perché la retta
via si distingue bene dall’errore (Sura 2,56)”. Gli altri testi del
Corano solo alla larga possono essere interpretati come giustificazione
ad uccidere. Essi parlano del far guerra contro i nemici dell’Islam.
Ma la maggior parte dei testi che parlano di chi ha rifiutato la fede
islamica, dopo averla accettata in passato, parlano al massimo di una
punizione di Dio, alla fine della vita, in un giudizio finale. Gli
stessi hadith (i detti del profeta),che trattano di questo
argomento, non hanno molto peso. Alcuni fondamentalisti come l’imam
Qaradawi, che parla su al Jazeera, affermano che è giusta la morte dell’apostata,
basta che vi sia un solo hadith che lo dice. Ma altri affermano che non
ci si può basare su quei detti per imporre la pena di morte.
Il dibattito è ancora più complicato perché nell’Islam si
discute molto anche per definire l’apostasia: nella parola, nel cuore,
nei fatti. Vi sono perfino musulmani che vengono giudicati apostati,
come lo scrittore egiziano Nasr Abu Zaid o l’intellettuale bangladeshi
Taslima Nazrin. In tal caso la questione dell’apostasia diventa uno
strumento per eliminare chi non la pensa secondo il pensiero dominante.
In ogni caso i fondamenti giuridici e teologici per la condanna a morte
sono deboli. Il dibattito è molto forte. Un fondamentalista
contemporaneo, Muhammad Al Ghazali, difende la pena di morte per gli
apostati. Ma molte organizzazioni egiziane per i diritti umani lo
criticano. Altri musulmani libanesi, siriani, egiziani escludono che dal
Corano si possa dedurre la necessità di uccidere l’apostata.
Il tema della condanna a morte esiste fin dall’origine o è emerso
in questi ultimi decenni con la crescita del fondamentalismo?
In origine il tema dell’apostasia si mescola con il problema
politico, di cosa fare con chi non è musulmano, che potrebbe essere una
spia del nemico. Questo atteggiamento spietato si rafforza nel periodo
di Abu Bakr (il primo califfo). In seguito il califfo Omar non
applicherà nemmeno la pena di morte per i nemici dell’islam. Nel
diritto successivo si cerca di codificarla. Ma non è mai stata
accettata tranquillamente nell’Islam.
Come mai la decisione di far morire l’apostata è diffusa a livello
popolare?
Perché è forte il senso dell’unità musulmana, che non si può
abbandonare la fede (e questo è sottolineato anche dal Corano). Tutto
questo ha portato all’atteggiamento di perseguire gli eretici e gli
apostati. Al Hallaj, uno dei più grandi mistici musulmani è stato
martirizzato dai suoi stessi correligionari. In questo ha influito pure
un uso politico delle condanne per apostasia e la manipolazione delle
masse da parte del potere.
Cosa spinge la gente musulmana ad uccidere in nome della fede perfino
un familiare che si è macchiato del delitto di apostasia?
In questi casi si mettono insieme due elementi: la fede in senso
spirituale e la fede collegata alla compattezza della comunità. Si
percepisce l’Islam come totalizzante e perciò chi si sottrae reca
danno alla sua crescita. Non è tanto la fede in se stessa, ma il
problema dell’Umma, della comunità. L’apostata, il neoconvertito è
guardato come uno che distrugge la compattezza sociale della famiglia
stessa.
A questo proposito, in Malaysia, si discute sui musulmani
modernizzati che “non si comportano come veri musulmani” secondo la
tradizione. Alcuni dottori coranici vorrebbero per loro la pena di
morte. In Indonesia, invece, grazie al principio della Pancasila
(libertà per le 5 religioni), si possono trovare famiglie in cui uno è
musulmano, l’altro cristiano, l’altro indù, ecc..
C’è poi il famoso discorso sulla sharia. La sharia è la volontà
divina. Ma il fiq, la giurisprudenza, è basata sull’intelletto umano.
Allora fra i musulmani ci si chiede: se non c’è indicazione divina,
perché tu uomo ti arroghi il diritto di far leggi?
Che peso ha nel mondo islamico la voce liberale che difende la
libertà religiosa?
La voce della tolleranza è presente nelle costituzioni dei paesi
islamici, eccetto l’Arabia Saudita, l’Iran e il Sudan. L’Arabia
Saudita è giunta perfino a non sottoscrivere la Carta dei diritti dell’uomo,
perché non vuole sottostare all’idea della libertà religiosa. Varie
costituzioni di paesi islamici proclamano la libertà religiosa, ma poi
non la difendono. L’equivoco è che sono miste: hanno una parte che si
ispira alla sharia, e una parte che si rifà ai trattati internazionali.
E in tutte si afferma che tutte le leggi devono essere basate e ispirate
all’Islam. Questo lascia spazio a manipolazioni. Tra le masse poi c’è
il soffio dell’islam fondamentalista, che deve difendersi dagli
attacchi dell’occidente. I teologi fondamentalisti poi manipolano il
Corano: si richiamano alla lotta di Maometto (nel periodo della Mecca)
contro i pagani e mettono la lotta contro l’apostasia all’interno
della lotta contro il paganesimo e l’idolatria. Questo spiega perchè
è giustificato uccidere un occidentale, un cristiano, ma anche un
musulmano moderato.
I governi islamici non sono troppo timidi nell’affermare l’indipendenza
delle costituzioni dall’Islam?
Certo. I governi islamici hanno paura delle masse e dei
fondamentalisti. Le loro costituzioni affermano la sovranità popolare,
ma poi dicono che l’Islam deve stare al di sopra di tutto. Questo
equivoco lascia la gente nella loro visione tradizionale, scaldata
ancora di più dal fondamentalismo, il cui sogno è di sottomettere
tutto il mondo sotto l’Islam.
Cosa possiamo fare noi? Il papa e molti governi hanno domandato la
grazia per Abdul Rahman…
Il problema dell’occidente è che si finanziano tante scuole e
progetti di cultura, ma non si va a controllare cosa si insegna. In più
spesso i finanziamenti vengono lasciati ai governi, che finanziano solo
ciò che serve loro a rafforzare il potere e non, per esempio, le voci
moderate.
Ciò che è da evitare è una presa di posizione di forza. Le masse
musulmane hanno già la percezione che l’Islam è in pericolo. Se si
chiede un cambiamento con la forza, si rischia di assecondare questo
senso del pericolo che può spingere a chiusura. Occorre che l’appello
sia su motivi umanitari e legati a qualche intellettuale musulmano,
mostrando che lo stesso Islam difende la libertà di religione.