«Gli attacchi
concentrici a un Papa "scomodo"»
Elio Maraone su Avvenire 20 marzo 2009
La Chiesa sotto attacco da parte dei media a livello
globale.
[Lucetta Scaraffia, «La
cifra della verità»]
[Su Avvenire 25 marzo, Ancora attacchi al Papa]
[Bux - Vitiello 26 marzo, Papa
in Africa: come e perché evangelizzare]
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«The pope is wrong» (il Papa sbaglia)
nel riferirsi criticamente all’uso dei preservativi, sentenziano New
York Times e Washington Post, in un singolare e significativo
sincronismo che li porta a ribadire la «consistente» efficacia del
profilattico nella lotta all’Aids, specialmente in Africa. Abbiamo detto
«singolare e significativo sincronismo» perché è rara la coincidenza di
giudizio fra le due maggiori testate statunitensi, due corazzate della
comunicazione che sparano, a suon di editoriali, sulla navicella di San
Pietro, e sul Papa in persona.
Lasciamo ai margini la questione della discutibile e discussa efficacia
del preservativo, soprattutto se presentato come strumento principe, per
non dire unico, di prevenzione, e osserviamo invece, con preoccupazione
crescente, come a ritmo crescente i media internazionali e gli stessi
governi (ieri è stata la volta del primo ministro lussemburghese, il
popolare Jean-Claude Juncker che si è detto «allarmato» dalle
dichiarazioni del Pontefice) e potentati, dei quali sono spesso
espressione, letteralmente si impegnino nell’aggressione di Benedetto
XVI, quasi mai argomentandola razionalmente, ma per il semplice motivo
che egli è emblema della Chiesa cattolica e avventura incarnata di
quell’emblema.
Per dirla in altre parole, che egli fa il suo mestiere, quello del Papa,
memore, come ha detto il presidente del Consiglio italiano Silvio
Berlusconi, che «ciascuno svolge la sua missione ed è coerente con il
suo ruolo». Scherzoso, ’'a parte' del leader della Lega Umberto Bossi,
che dice: «Certo, se tutti facessero come me, che mi tengo mia moglie...
l’Aids non si diffonderebbe».
Tuttavia, l’aggressione mediatica e politica delle scorse settimane e di
queste ore impressiona per inedita virulenza ed estensione, tanto da far
sospettare una strategia comune, concertata da parte dei centri di
potere e, parallelamente, di formazione del consenso laicisti,
secolaristi, nichilisti.
La Francia, e non è una sorpresa, guida l’aggressione, tanto che il suo
ministro degli Esteri, Bernard Kouchner, non ha esitato a dire che il
Papa «rivela poca comprensione della reale situazione dell’Africa»,
mentre Le Monde, il paludato Le Monde, ha pubblicato una vignetta
blasfema che vede la barca della Chiesa solcare un mare di africani, con
a bordo Gesù che «dopo la moltiplicazione dei pani» realizza «quella dei
preservativi», accompagnato da un rassegnato Benedetto XVI. La
volgarità, in quella che è diventata una vera battaglia mediatica, non è
più un tabù, è anzi un must, come direbbero a Londra dove si
stampa quel Times, un tempo signorile, che ora pubblica una vignetta
raffigurante un Papa ghignante con in capo un preservativo al posto
della tiara. La satira deve essere libera, ma dovrebbe, crediamo,
conoscere un limite nelle sensibilità altrui, tanto più quando questa
satira, come, e più in generale, la libertà di espressione, si
esercitano in un Paese-isola e in un continente che formalmente avevano
fatto del rispetto delle fedi un obbligo, come insegnano le (peraltro
giustificate) levate di scudi ufficiali e ufficiose contro opere
antisemite o anti-islamiche.
Per la Chiesa cattolica e il suo Pontefice questo obbligo al rispetto
evidentemente non vale più, come hanno dimostrato in questi giorni non
soltanto molti media europei, ma anche burocrati tedeschi, belgi e
spagnoli.
Abbiamo insomma un panorama intellettualmente, umanamente devastato e
devastante, dove molti media e potentati (segnaliamo, tra i recenti
critici del Papa, il Fondo monetario internazionale) si esibiscono in
una sorta di tiro al piccione cattolico, avendo sostituito la legittima
pratica del dissenso con quella dell’intimidazione, quasi che si volesse
(e forse è proprio così) che la Chiesa tacesse la verità, abdicando alla
propria missione di salvezza.
Con qualche eccezione (è il caso del Daily Telegraph, che dà ragione al
Papa) questa infame pratica si allarga, anche in Italia, accusando tra
l’altro il Papa, di «attentato alla vita». Peccato che la predica venga
dal pulpito dei sostenitori dell’aborto inteso anche come forma di
pianificazione familiare, e di coloro che stanno riducendo a un solo
aspetto, per giunta stravolgendolo, il viaggio del Papa in Africa,
ossia quello dei modi per combattere la diffusione dell’Aids. Chissà se
l’Occidente, quell’Occidente sazio ed egoista, anche stasera, invece di
pensare alle sue gravi responsabilità nei confronti dell’Africa, andrà a
letto con un solo pensiero, un solo sogno: il preservativo.
Copyright © Avvenire, 20 marzo 2009
Chiesa e aids - La cifra della verità
di Lucetta Scaraffia
Certamente la cifra della missione di Benedetto XVI è la verità. E lo è
per tutto, anche per il problema dell'aids e dei preservativi, un tema
scottante che - si poteva facilmente immaginare - sarebbe stato toccato
nel corso del suo viaggio in Africa.
In mezzo alle polemiche suscitate dalle sue parole, uno dei più
prestigiosi quotidiani europei, il britannico "Daily Telegraph", ha
avuto il coraggio di scrivere che, sul tema dei preservativi, il Papa ha
ragione.
"Certo l'aids - si legge nell'articolo - pone il tema della fragilità
umana e da questo punto di vista tutti dobbiamo interrogarci su come
alleviare le sofferenze. Ma il Papa è chiamato a parlare della verità
dell'uomo. È il suo mestiere: guai se non lo facesse".
Il problema dell'aids si è presentato subito, da quando la malattia si è
manifestata negli Stati Uniti nei primi anni Ottanta, non solo dal punto
di vista medico, ma anche da quello culturale: lo scoppio dell'epidemia
colse di sorpresa una società che credeva di avere sconfitto tutte le
malattie infettive, e fin dall'inizio ha toccato un ambito, quello dei
rapporti sessuali, che era appena stato "liberato" dalla rivoluzione
appunto sessuale. Con una malattia che metteva in discussione il
"progresso" appena raggiunto e che si diffondeva rapidamente grazie
anche a quella ondata di cosmopolitismo che si stava realizzando con i
nuovi veloci mezzi di trasporto.
Fu subito chiaro che quella patologia era frutto di una modernità
avanzata e di una profonda trasformazione dei costumi, e che forse la
lotta per prevenirla avrebbe dovuto tenere presente anche tali aspetti.
Invece, nel mondo occidentale, le campagne di prevenzione sono state
basate esclusivamente sull'uso del preservativo, dando per scontato
l'obbligo di non esercitare alcuna interferenza sui comportamenti delle
persone. Il "progresso" non si doveva mettere in discussione; neppure in
Africa, dove era evidente - e dove tuttora è evidente, se solo si
leggessero con onestà i dati dell'Organizzazione mondiale della sanità
sulla diffusione dell'aids - che la distribuzione di preservativi non
serve da sola ad arginare l'epidemia.
Il preservativo, in Africa, non è usato nel modo "perfetto" - l'unico
che garantisce il 96 per cento di difesa dall'infezione - ma nel modo
"tipico", e cioè con un utilizzo non continuato e non appropriato, che
offre solo un 87 per cento di difesa, e per di più dà una sicurezza che
può essere pericolosa nel mettersi in rapporto con gli altri: come si
sa, l'aids non si trasmette solo attraverso il rapporto sessuale, ma
anche per via ematica; basta quindi un'abrasione, un po' di sangue, per
aprire la possibilità di contagio. Bisogna anche ricordare, come è
scritto sulle puntigliose istruzioni d'uso delle scatole di
preservativi, che questi si possono danneggiare facilmente con il caldo
- sono di lattice! - e se vengono toccati con mani non lisce, come
quelle di coloro che fanno lavori manuali. Ma le industrie
farmaceutiche, tanto precise nel segnalare questi pericoli, sono poi le
stesse che appoggiano la leggenda secondo cui la diffusione dei
preservativi può salvare la popolazione africana dall'epidemia: e si può
facilmente immaginare che ogni idea per diffonderne l'uso sia accolta
con vero giubilo dai loro uffici commerciali.
L'unico Paese dell'Africa che ha ottenuto risultati buoni nella lotta
all'epidemia è l'Uganda, con il metodo Abc, in cui A sta per astinenza,
B per fedeltà e C per condom, un metodo certo non del tutto aderente
alle indicazioni della Chiesa. Persino la rivista "Science" ha
riconosciuto nel 2004 che la parte più riuscita del programma è stata il
cambiamento di comportamento sessuale, con una riduzione del 60 per
cento delle persone che dichiaravano di avere avuto più rapporti
sessuali e l'aumento della percentuale dei giovani fra i 15 e i 19 anni
che si astenevano dal sesso, tanto da scrivere: "Questi dati
suggeriscono che la riduzione del numero dei partner sessuali e
l'astinenza fra i giovani non sposati anziché l'uso del condom sono
stati i fattori rilevanti nella riduzione dell'incidenza all'Hiv".
Molti Paesi occidentali non vogliono riconoscere la verità delle parole
dette da Benedetto XVI sia per motivi economici - i preservativi
costano, mentre l'astinenza e la fedeltà sono ovviamente gratuite - sia
perché temono che dare ragione alla Chiesa su un punto centrale del
comportamento sessuale possa significare un passo indietro in quella
fruizione del sesso puramente edonistica e ricreativa che è considerata
un'importante acquisizione della nostra epoca.
Il preservativo viene esaltato al di là delle sue effettive capacità di
arrestare l'aids perché permette alla modernità di continuare a credere
in se stessa e nei suoi principi, e perché sembra ristabilire il
controllo della situazione senza cambiare niente.
È proprio perché toccano questo punto nevralgico, questa menzogna
ideologica, che le parole del Papa sono state tanto criticate. Ma
Benedetto XVI, che lo sapeva benissimo, è rimasto fedele alla sua
missione, quella di dire la verità.
(©L'Osservatore Romano - 22 marzo 2009)
ANCORA ATTACCHI AL PAPA CHE PARLA DELLE REALTÀ D’AFRICA
Aids, interessate supponenze di Francia (e d’Occidente)
Occhi occidentali, teste occidentali e un po’ della irrefrenabile
supponenza di chi in Africa, come in tutto il sud del mondo, è sempre
andato da padrone.
Ieri a «portare la civiltà» attraverso il colonialismo, oggi
– con lo stesso animus – per trasmettere ben calcolate ricette circa la
cura dei «mali» del Continente Nero.
A Parigi si continua a coltivare l’ambizione di dare lezioni al Papa
, a questo Papa che in nome di Cristo e con gli argomenti della ragione
ha osato parlare ai popoli di Camerun e Angola – e per loro tramite a
tutti gli africani – come a popoli adulti che devono saper alzare testa
e voce (anche contro i corrotti che li governano) e riconoscere appieno
il ruolo sociale e familiare delle donne. E che ha detto chiaro e tondo
l’indicibile per i signori del politicamente corretto e
dell’economicamente vantaggioso.
Ha detto, Papa Benedetto, che la povertà non si combatte con l’aborto e
che l’aborto non può e non deve essere contrabbandato come « cura della
salute materna» . Ha ripetuto che lo sfruttamento e l’immiserimento di
persone, terre e risorse naturali da parte dei potenti reggitori del «
regno del denaro » è una nuova e intollerabile forma di colonialismo. E,
in principio e alla fine della sua trasferta, ha avvertito che l’Aids
non si limita davvero e non si sconfigge con i profilattici, ma con
stili di vita umanamente responsabili e con farmaci efficaci e garantiti
in modo gratuito ai poveri. È stata ed è quest’ultima affermazione a
suonare scandalosa – in particolare, in terra di Francia – agli orecchi
di reattivi ministri e portavoce governativi, di pensosi intellettuali,
di solerti professoroni. Non facciamo mica polemica, continuano ad
assicurare. Ma poi sgranano raffiche d’indignazione contro
un’affermazione che sarebbe « cinica » e « pericolosa » e addirittura
gravida di « drammatiche conseguenze » . E tuonano sui giornali, ai
microfoni, davanti alle telecamere: s’informi il Papa , prima di
parlare.
Naturalmente consultando loro o, magari, gli esperti della case
farmaceutiche e, naturalmente, quei benefattori dell’umanità che sono i
produttori di condom.
Al Papa importa della vita e della dignità di milioni di uomini e di
donne d’Africa che è andato a incontrare e con i quali le disarmate «
forze » della Chiesa cattolica condividono la prima linea d’ogni giorno.
Mentre a loro, ai soloni d’Oltralpe (e d’Oltrereno e d’Oltremanica e
d’Oltreoceano...), sembra premere soprattutto l’affermazione di un
mirabolante principio: il profilattico è liberatorio e salvifico.
Forse come alibi per le coscienze di un Occidente ricco e
sentenzioso, più che mai chino a contemplare l’ombelico delle proprie
convinzioni e a dissimulare i propri egoismi. Di certo non per la
dolente umanità di un continente piagato.
La realtà è evidente: non è stato e non sarà il mito di un asettico
scudo di lattice a promuovere la giustizia e a restituire salute e pace
all’Africa. Cinico, drammatico e pericoloso è non capirlo.
© Copyright Avvenire, 25 marzo 2009
Il Papa in Africa: perché e come fare
l’evangelizzazione
Nicola Bux - Salvatore Vitiello
Il primo viaggio apostolico di Benedetto XVI in Africa si è concluso.
I media, oltre all’enfasi sulla contrarietà al preservativo e all’aborto
come strumenti di controllo delle nascite – poteva andare diversamente?
– hanno qua e là sottolineato lo sforzo del Santo Padre nel comprendere
il senso religioso degli africani e le antiche culture, nell’esortare
alla riconciliazione e alla pace, nel confermare nella fede i cattolici.
Tuttavia non è ancora questo il centro del suo viaggio né della missione
cristiana.
Il Pontefice aveva voluto ricordarlo nell'Angelus della domenica
precedente la partenza: “Parto per l’Africa con la consapevolezza di non
avere altro da proporre e donare a quanti incontrerò se non Cristo e la
Buona Novella della sua Croce, mistero di amore supremo, di amore divino
che vince ogni umana resistenza e rende possibile persino il perdono e
l’amore per i nemici. Questa è la grazia del Vangelo capace di
trasformare il mondo; questa è la grazia che può rinnovare anche
l’Africa, perché genera una irresistibile forza di pace e di
riconciliazione profonda e radicale. La Chiesa non persegue dunque
obbiettivi economici, sociali e politici; la Chiesa annuncia Cristo,
certa che il Vangelo può toccare i cuori di tutti e trasformarli,
rinnovando in tal modo dal di dentro le persona e le società” (Angelus,
15 marzo 2009).
Il decreto del Concilio Vaticano II sulla missione afferma che il fine
specifico dell’attività missionaria è l’evangelizzazione e la fondazione
della Chiesa, ora “Il mezzo principale per questa fondazione è la
predicazione del Vangelo di Gesù Cristo” (Ad gentes, 6).
Impiantare la Chiesa serve a salvare l’uomo.
Tutti comprendono come il malato di Aids abbia bisogno di essere salvato
dalla malattia, e magari si pensa che le missioni cattoliche – come
tante agenzie umanitarie – siano chiamate soprattutto a fare questo.
Certo, come il Samaritano, si prendono cura dell’uomo ammalato, tuttavia
c’è innanzitutto un male più profondo che esse sono chiamate a curare:
quel peccato che è la radice ultima di ogni altro male, nel mondo e
nella persona. Se si pensasse che la Chiesa, in primis il Papa, è
chiamata ad annunciare al mondo la salvezza dal peccato che Cristo ci ha
guadagnata, non ci si scandalizzerebbe dell’affermazione che solo la
castità prematrimoniale, il dominio delle passioni, in specie con la
penitenza, salvano l’uomo dal male fisico e, soprattutto, morale. La
Chiesa ha a cuore la salvezza di “tutto” l’uomo, corpo e anima, entrambi
destinati alla vita eterna ed entrambi, dice Gesù, esposti al rischio di
“finire nel fuoco inestinguibile della Geenna” se si cede al peccato e
al tentatore.
Ecco cosa fanno i missionari, cosa devono fare, cosa il Santo Padre è
andato a fare: a dire la verità di Dio sull’uomo perché sia salvato.
Questa è la volontà di Dio. Verità e salvezza sono il pane che nutre
l’uomo, il vino e l’olio che guariscono, sono i sacramenti di Gesù
Cristo.
La Chiesa va in missione perché la missione è necessaria alla
salvezza (cfr Lumen gentium 14, citato in Ad gentes 7). I missionari
cattolici non sono funzionari di agenzie umanitarie non governative, ma
membra del corpo mistico di Cristo che è la Chiesa, mossi dalla carità
divina: “per cui amano Dio e per cui desiderano condividere con tutti
gli uomini i beni spirituali della vita presente e della vita futura”
(Ivi).
La missione della Chiesa – si badi che non è mai di un singolo fedele,
anche se il missionario è prete o religioso – si svolge tra la prima
venuta di Cristo, duemila anni fa, e l’ultima alla fine dei tempi (cfr
Ivi 9): pertanto è carica di tale tensione che rende ogni pur giusta
preoccupazione umanitaria sempre relativa ad un’altra ben più importante
perché definitiva: la santità. Innanzitutto in questa, ha auspicato il
Papa, lasciando il Camerun, “la Chiesa qui e dappertutto in Africa possa
continuare a crescere”.
© Copyright (Agenzia Fides 26/3/2009)
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