Non è un dogma, è un fatto. La Chiesa è al centro di un attacco
concentrico. E, in mezzo a questo attacco, ci finiscono tutti i
nostri valori, le nostre tradizioni, le nostre radici, la nostra
cultura, la nostra fede. In un tritacarne che non risparmia niente e
nessuno e distorce tutto per attaccare il clero: dal Papa, in giù.
Ma, proprio perché la Chiesa e le nostre radici sono al centro
di questo attacco fortissimo e trasparente - che parte dall’Onu, per
arrivare all’Unione Europea, per finire ai media e al politicamente
corretto come unico metro di valore e di pensiero - sarebbe il caso
che la Chiesa e il clero non si accodassero a quest’opera di
demolizione sistematica delle nostre radici e delle nostre
tradizioni. E invece.
Invece, spesso, quell’opera parte direttamente dai pulpiti, dalle
sacrestie, dagli altari. In una specie di ansia di anticlericalismo
clericale che distrugge tutto e tutti. Spesso, spessissimo in buona
fede. Ma, altrettanto spesso, spessissimo alla disperata ricerca di
visibilità che distrugge le fondamenta su cui sono costruiti quegli
altari.Il caso del rappresentante islamico di Ravenna che si è detto
favorevole ai presepi aboliti anche dai cattolici ravennati «per non
urtare la sensibilità degli islamici», è la cartina di tornasole di
ciò che sta succedendo. Un crescendo che ogni giorno si arricchisce
di nuovi episodi: le moschee nei presepi, ormai, sono la normalità.
Quando abbiamo dato per primi la notizia del sacerdote genovese che
aveva messo una moschea nel suo presepe, non avremmo mai pensato che
non si trattasse di un caso isolato. E invece.
Invece, in pochi giorni, la moschea all’interno del presepe è
diventata una specie di simpatica tradizione. Ce n’è una a Venezia,
un’altra a Sestri Levante, un’altra ancora chissà dove. Come se,
insieme a buoi, asinelli, pastori, don Giuseppe e Marie, fosse
obbligatorio metterci anche un minareto. Ma è mai possibile che non
ci sia una via di mezzo fra dire che non è obbligatorio dichiarare
guerra all’Islam e partire per una nuova Crociata alla ricerca di
una nuova battaglia di Lepanto e piazzare una moschea in ogni
presepe?
A Bergamo, invece, sono più tradizionalisti e la moschea non c’è.
Ma, in compenso, non c’è neppure il bambinello. O, meglio, c’è ma è
fuori dalla grotta, per provocazione nei confronti dei fedeli che
non si prendono cura degli immigrati: «Gesù non ha paura di
avvicinarsi agli emarginati, agli ultimi. E se non si sa accogliere
lo straniero, non si può accogliere Gesù Bambino». Quindi, niente
bambinello nella grotta.
Ora, si può discutere di tutto. Ma resta un fatto: se la Chiesa e la
religione sono sotto attacco, forse varrebbe la pena di non minarle
dall’interno, anche in buonissima fede. Forse, varrebbe la pena di non abdicare al politicamente
corretto, sempre e comunque.
Non vorremmo leggere che la prossima persona licenziata perché
risponde al telefono «Buon Natale» anziché «Buone Feste», come è
capitato in Florida, è la perpetua di un parroco.
© Copyright Il Giornale, 28 dicembre 2008