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LA CATECHESI DEL PAPA
1. "Un solo Dio Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti" (Ef 4,6). Alla luce di queste parole della Lettera dell’Apostolo Paolo ai cristiani di Efeso, vogliamo quest’oggi riflettere su come testimoniare Dio Padre in dialogo con tutti gli uomini religiosi. In questa nostra riflessione avremo due punti di riferimento: il Concilio Vaticano II con la Dichiarazione Nostra aetate su "Le relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane" e la meta ormai vicina del grande Giubileo. La Dichiarazione Nostra aetate ha gettato le basi di un nuovo stile, quello del dialogo, nel rapporto della Chiesa con le varie religioni. Da parte sua, il grande Giubileo del Duemila rappresenta un’occasione privilegiata per testimoniare questo stile. Nella Tertio Millennio Adveniente ho invitato ad approfondire, proprio nel presente anno dedicato al Padre, il dialogo con le grandi religioni, anche mediante incontri in luoghi significativi (cfr. n. 52-53). 2. Nella Sacra Scrittura il tema dell’unico Dio rispetto all’universalità dei popoli che cercano la salvezza si va progressivamente sviluppando fino al vertice della piena rivelazione in Cristo. Il Dio di Israele, espresso con il Tetragramma sacro, è il Dio dei patriarchi, il Dio apparso a Mosè nel roveto ardente (cfr. Es 3) per liberare Israele e renderlo il popolo dell'alleanza. Nel Libro di Giosuè è raccontata l'opzione per il Signore compiuta a Sichem, dove la grande assemblea del popolo sceglie il Dio che si è mostrato benevolo e provvido nei suoi confronti e abbandona tutti gli altri dei (cfr. Gs 24). Questa scelta, nella coscienza religiosa dell'Antico Testamento, si precisa sempre di più nel senso di un monoteismo rigoroso e universalistico. Se il Signore Dio d’Israele non è un Dio tra tanti, ma l'unico vero Dio, ne deriva che da lui devono essere salvati tutte le genti "fino all’estremità della terra" (Is 49,6). La volontà salvifica universale trasforma la storia umana in un grande pellegrinaggio di popoli verso un solo centro, Gerusalemme, senza tuttavia che le diversità etnico-culturali vengano annullate (cfr. Ap 7,9). Il profeta Isaia esprime suggestivamente questa prospettiva attraverso l’immagine di una strada che congiunge l’Egitto all’Assiria, sottolineando che la benedizione divina accomuna Israele, l’Egiziano e l’Assiro (cfr. Is 19, 23-25). Ciascun popolo, conservando pienamente la propria identità, è chiamato a convertirsi sempre di più al Dio unico, rivelatosi a Israele. 3. Questo afflato ‘universalistico’, presente nell’Antico Testamento, si sviluppa ulteriormente nel Nuovo, il quale ci rivela che Dio "vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla piena conoscenza della verità" (1 Tm 2,4). La convinzione che Dio stia effettivamente preparando tutti gli uomini alla salvezza fonda il dialogo dei cristiani con gli uomini religiosi di diversa credenza. Il Concilio ha così delineato l'atteggiamento della Chiesa riguardo alle religioni non cristiane: "La Chiesa considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle dottrine che, quantunque in molti punti differiscano da quanto essa stessa crede e propone, tuttavia non raramente riflettono un raggio di quella Verità che illumina tutti gli uomini. Essa però annuncia, ed è tenuta ad annunziare incessantemente Cristo che è ‘la via, la verità e la vita’ (cfr. Gv 14,6), in cui gli uomini trovano la pienezza della vita religiosa e nel quale Dio ha riconciliato a sé tutte le cose" (NAe. 2). Negli anni passati, da parte di qualcuno si è opposto il dialogo con gli uomini religiosi all’annuncio, dovere primario della missione salvifica della Chiesa. In realtà il dialogo interreligioso è parte integrante della missione evangelizzatrice della Chiesa (cfr CCC, 856). Come più volte ho ribadito, esso è fondamentale per la Chiesa, esprime la sua missione salvifica, è un dialogo di salvezza (cfr. Insegnamenti VII/1 [1984], pp. 595-599). Nel dialogo interreligioso non si tratta perciò di abdicare all’annuncio, ma di rispondere ad un appello divino perché lo scambio e la condivisione conducano ad una mutua testimonianza della propria visione religiosa, ad una approfondita conoscenza delle rispettive convinzioni e ad un’intesa su taluni valori fondamentali. 4. Il richiamo alla comune ‘paternità’ di Dio non risulterà allora un vago richiamo universalistico, ma sarà vissuto dai cristiani nella piena consapevolezza di quel dialogo salvifico che passa attraverso la mediazione di Gesù e l’opera del suo Spirito. Così, ad esempio, raccogliendo da religioni come quella musulmana la potente affermazione dell’Assoluto personale e trascendente rispetto al cosmo e all’uomo, possiamo, dal nostro canto, offrire la testimonianza di Dio nell'intimo della sua vita trinitaria, chiarendo che la trinità delle Persone non attenua ma qualifica la stessa unità divina. Così pure, dagli itinerari religiosi che portano a concepire la realtà ultima in senso monistico, come un ‘Sé’ indifferenziato in cui tutto si risolve, il cristianesimo raccoglie l’appello a rispettare il senso più profondo del mistero divino, al di là di tutte le parole e i concetti umani. E tuttavia non esita a testimoniare la trascendenza personale di Dio, mentre ne annuncia la paternità universale e amorosa che si manifesta pienamente nel mistero del Figlio crocifisso e risorto. Possa il grande Giubileo costituire un'occasione preziosa perché tutti gli uomini religiosi si conoscano di più per stimarsi ed amarsi in un dialogo che costituisca per tutti un incontro di salvezza! Nei giorni gaudiosi del tempo pasquale, si prolunga, purtroppo, la passione di numerosi popoli del mondo. Oltre al dramma che continua nel Kosovo, desidero oggi ricordare le tante "guerre dimenticate" che insanguinano l’Africa. Dall’Angola ai Grandi Laghi, dal Congo-Brazzaville alla Sierra Leone, dalla Guinea Bissau alla Repubblica Democratica del Congo, dal Corno d’Africa al Sudan è una lunga e amara sequela di conflitti interni e fra Stati che colpiscono soprattutto le popolazioni innocenti e sconvolgono la vita delle comunità cattoliche. Dolore e rammarico ha suscitato, in particolare, la notizia dell’arresto di S.E. Mons. Augustin Misago, Vescovo di Gikongoro, in Rwanda. Cristo Risorto non cessa di ripetere ai nostri fratelli, così duramente provati: "Pace a voi" (cfr. Gv 20,19). Possa la sua voce divina farsi udire da coloro che tenacemente resistono all’accoglienza del suo messaggio di vita! Possa Egli illuminare la cecità di quanti si ostinano a percorrere le vie tortuose dell’odio e della violenza, convincendoli ad optare definitivamente per un dialogo, sincero e paziente, che porti a soluzioni benefiche per tutti! Nella certezza che la potenza della Risurrezione è più forte del male, imploriamo il Vincitore del peccato e della morte affinché diventi presto consolante realtà l’aspirazione di un’Africa pacifica e fraterna. 1. Il dialogo interreligioso che la Lettera Apostolica Tertio Millennio Adveniente incoraggia come aspetto qualificante di quest'anno particolarmente dedicato a Dio Padre (cfr. nn. 52-53), riguarda innanzitutto gli ebrei, "i nostri fratelli maggiori", come li ho chiamati in occasione del memorando incontro con la comunità ebraica della città di Roma il 13 aprile 1986 (cfr. Insegnamenti IX/1, p. 1027). Riflettendo sul patrimonio spirituale che ci accomuna, il Concilio Vaticano II, specie nella Dichiarazione Nostra Aetate, ha dato un nuovo orientamento ai nostri rapporti con la religione ebraica. Occorre approfondire sempre di più quell’insegnamento ed il Giubileo del Duemila potrà rappresentare una magnifica occasione di incontro, possibilmente, in luoghi significativi per le grandi religioni monoteistiche (cfr. TMA, 53). È noto che purtroppo il rapporto con i fratelli ebrei è stato difficile, a partire dai primi tempi della Chiesa fino al nostro secolo. Ma in questa lunga e tormentata storia non sono mancati momenti di dialogo sereno e costruttivo. Va ricordato in proposito che la prima opera teologica con il titolo "Dialogo" è significativamente dedicata dal filosofo e martire Giustino nel secondo secolo al suo confronto con l'ebreo Trifone. Così pure va segnalata la dimensione dialogica fortemente presente nella letteratura contemporanea neoebraica, la quale ha profondamente influenzato il pensiero filosofico-teologico del ventesimo secolo. 2. Questo atteggiamento dialogico tra cristiani ed ebrei non esprime solo il valore generale del dialogo tra le religioni, ma anche la condivisione del lungo cammino che porta dall'Antico al Nuovo Testamento. C'è un lungo tratto della storia della salvezza a cui cristiani ed ebrei guardano assieme. "A differenza delle altre religioni non cristiane, infatti, la fede ebraica è già risposta alla Rivelazione di Dio nella Antica Alleanza" (CCC, 839). Questa storia è illuminata da un'immensa schiera di persone sante, la cui vita testimonia il possesso, nella fede, delle cose sperate. La Lettera agli Ebrei mette appunto in risalto questa risposta di fede lungo il corso della storia della salvezza (cfr. Eb 11). La testimonianza coraggiosa della fede dovrebbe anche oggi segnare la collaborazione di cristiani ed ebrei nel proclamare e attuare il disegno salvifico di Dio a favore dell'intera umanità. Se questo disegno è poi diversamente interpretato rispetto all'accoglienza di Cristo, ciò comporta ovviamente una divaricazione decisiva, che è all'origine del cristianesimo stesso, ma non toglie che molti elementi restino comuni. Soprattutto rimane il dovere di collaborare per promuovere una condizione umana più conforme al disegno di Dio. Il grande Giubileo, che si richiama proprio alla tradizione ebraica degli anni giubilari, addita l'urgenza di tale impegno comune per ripristinare la pace e la giustizia sociale. Riconoscendo la signoria di Dio su tutto il creato e in particolare sulla terra (cfr. Lv 25), tutti i credenti sono chiamati a tradurre la loro fede in impegno concreto per proteggere la sacralità della vita umana in ogni sua forma e difendere la dignità di ogni fratello e sorella. 3. Meditando sul mistero di Israele e sulla sua "vocazione irrevocabile" (cfr. Insegnamenti IX/1 [1986], p. 1028), i cristiani esplorano anche il mistero delle loro radici. Nelle sorgenti bibliche condivise con i fratelli ebrei, trovano elementi indispensabili per vivere e approfondire la loro stessa fede. Lo si vede, ad esempio, nella Liturgia. Come Gesù, che ci viene presentato da Luca mentre nella sinagoga di Nazaret apre il libro del profeta Isaia (cfr. Lc 4,16ss), così la Chiesa attinge dalla ricchezza liturgica del popolo ebraico. Essa ordina la liturgia delle ore, la liturgia della parola e perfino la struttura delle preghiere eucaristiche secondo i modelli della tradizione ebraica. Alcune grandi feste come la Pasqua e la Pentecoste evocano l'anno liturgico ebraico, e rappresentano eccellenti occasioni per ricordare nella preghiera il popolo che Dio ha scelto ed ama (cfr. Rm 11,2). Oggi il dialogo implica che i cristiani siano più consapevoli di questi elementi che ci avvicinano. Come si prende atto della "alleanza mai revocata" (cfr. Insegnamenti, 1980 [III/2], pp. 1272-1276), così si deve considerare il valore intrinseco dell’Antico Testamento (cfr. Dei Verbum, 3), anche se esso acquista il suo senso pieno alla luce del Nuovo Testamento e contiene promesse che si adempiono in Gesù. Non fu forse la lettura attualizzata della Sacra Scrittura ebraica fatta da Gesù ad accendere "il cuore nel petto" (Lc 24,32) ai discepoli di Emmaus, permettendo loro di riconoscere il Risorto mentre spezzava il pane? 4. Non solo la comune storia di cristiani ed ebrei, ma particolarmente il loro dialogo deve mirare all’avvenire (cfr. CCC, 840), diventando, per così dire, "memoria del futuro" (Noi ricordiamo: una riflessione sulla Shoah, in: L'Osservatore Romano 16-17-marzo 1998, p. 4). Il ricordo dei fatti tristi e tragici del passato può aprire la via ad un rinnovato senso di fraternità, frutto della grazia di Dio, e all'impegno perché i semi infetti dell’antigiudaismo e dell'antisemitismo non mettano mai più radice nel cuore dell'uomo. Israele, popolo che edifica la sua fede sulla promessa fatta da Dio ad Abramo: "sarai padre di una moltitudine di popoli" (Gn 17,4; Rm 4,17), addita al mondo Gerusalemme quale luogo simbolico del pellegrinaggio escatologico dei popoli, uniti nella lode dell'Altissimo. Auspico che agli albori del terzo millennio il dialogo sincero tra cristiani ed ebrei contribuisca a creare una nuova civiltà, fondata sull’unico Dio santo e misericordioso, e promotrice di una umanità riconciliata nell’amore. 1. Approfondendo il tema del dialogo interreligioso, riflettiamo oggi sul dialogo con i musulmani, che "adorano con noi un Dio unico, misericordioso" (Lumen Gentium, 16; cfr. CCC, 841). Ad essi la Chiesa guarda con stima, convinta che la loro fede in Dio trascendente concorre alla costruzione di una nuova famiglia umana, fondata sulle più alte aspirazioni del cuore umano. Anche i musulmani, come gli ebrei e i cristiani, guardano alla figura di Abramo come a un modello di incondizionata sottomissione ai decreti di Dio (Nostra Aetate, 3). Sull’esempio di Abramo, i fedeli si sforzano di riconoscere nella loro vita il posto che spetta a Dio, origine, maestro, guida e fine ultimo di tutti gli esseri (Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, Messaggio ai musulmani per la fine del Ramadan, 1417/1997). Questa disponibilità ed apertura umana alla volontà di Dio si traduce in atteggiamento di preghiera, che esprime la situazione esistenziale di ogni persona davanti al Creatore. Sulla traiettoria della sottomissione di Abramo al volere divino si trova la sua discendente, la Vergine Maria, Madre di Gesù che, specialmente nella pietà popolare, viene anche dai musulmani invocata con devozione. 2. Con gioia noi cristiani riconosciamo i valori religiosi che abbiamo in comune con l’Islam. Vorrei oggi riprendere quello che alcuni anni fa dissi ai giovani musulmani a Casablanca: "Noi crediamo nello stesso Dio, l'unico Dio, il Dio vivente, il Dio che crea i mondi e porta le sue creature alla loro perfezione" (Insegnamenti, VIII/2 [1985], p. 497). Il patrimonio dei testi rivelati della Bibbia parla con voce unanime dell’unicità di Dio. Gesù stesso la ribadisce, facendo sua la professione di Israele: "Il Signore Dio nostro è l’unico Signore" (Mc 12,29; cfr. Dt 6,4-5). È l’unicità affermata anche in queste parole di lode che sgorgano dal cuore dell'apostolo Paolo: "Al Re dei secoli incorruttibile, invisibile e unico Dio, onore e gloria nei secoli dei secoli. Amen" (1 Tm 1, 17). Sappiamo che alla luce della piena rivelazione in Cristo, tale unicità misteriosa non è riducibile ad un'unità numerica. Il mistero cristiano ci fa contemplare nell'unità sostanziale di Dio le persone del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo: ciascuna in possesso dell’intera e indivisibile sostanza divina, ma una distinta dall'altra in forza della reciproca relazione. 3. Le relazioni non attenuano minimamente l'unità divina, come spiega il Concilio Lateranense IV (1215): "Ciascuna delle tre Persone è quella Realtà, cioè sostanza, essenza o natura divina ... Essa non genera, non è generata e non procede..." (DS, 804). La dottrina cristiana sulla Trinità, sancita dai Concili, è esplicita nel rigetto di ogni "triteismo" o "politeismo". In questo senso, ossia in riferimento all'unica sostanza divina, c'è una significativa corrispondenza tra Cristianesimo e Islam. Tale corrispondenza, però, non deve far dimenticare le diversità tra le due religioni. Sappiamo infatti che l’unità di Dio si esprime nel mistero delle tre divine Persone. Essendo infatti Amore (cfr. 1 Gv 4,8), Dio è da sempre Padre che si dona interamente generando il Figlio, entrambi uniti in una comunione d’amore che è lo Spirito Santo. Questa distinzione e compenetrazione (pericóresi) delle tre Persone divine non si aggiunge alla loro unità ma ne è l'espressione più profonda e caratterizzante. D’altra parte, non va dimenticato che il monoteismo trinitario tipico del cristianesimo resta un mistero inaccessibile all’umana ragione, che tuttavia è chiamata ad accettare la rivelazione dell’intima natura di Dio (cfr. CCC, 237). 4. Grande segno di speranza è il dialogo interreligioso che conduce ad una più profonda conoscenza e stima dell'altro (Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso. Messaggio ai musulmani per la fine del Ramadan 1418/1998). Le due tradizioni, cristiana e musulmana, hanno una lunga storia di studio, riflessione filosofica e teologica, arte, letteratura e scienza, che ha lasciato le sue impronte nelle culture occidentali e orientali. L’adorazione verso l’unico Dio, Creatore di tutti, c'incoraggia ad intensificare in futuro la nostra reciproca conoscenza. Nel mondo di oggi, segnato tragicamente dalla dimenticanza di Dio, cristiani e musulmani sono chiamati a difendere e promuovere sempre, in uno spirito d'amore, la dignità umana, i valori morali e la libertà. Il comune pellegrinaggio verso l'eternità deve esprimersi nella preghiera, nel digiuno e nella carità, ma anche in un solidale impegno per la pace e la giustizia, per la promozione umana e la protezione dell'ambiente. Camminando insieme sulla via della riconciliazione e rinunciando nell'umile sottomissione alla volontà divina ad ogni forma di violenza come mezzo per risolvere le differenze, le due religioni potranno offrire un segno di speranza, facendo risplendere nel mondo la sapienza e la misericordia di quell'unico Dio che ha creato e governa la famiglia umana. 1. Il libro degli Atti degli Apostoli riporta un discorso di san Paolo agli Ateniesi, che si rivela di grande attualità per l’areopago del pluralismo religioso del nostro tempo. Per presentare il Dio di Gesù Cristo, Paolo prende le mosse dalla religiosità dei suoi ascoltatori, con parole di apprezzamento: "Cittadini ateniesi, vedo che in tutto siete molto religiosi. Passando infatti e osservando i monumenti del vostro culto; ho trovato anche un'ara con l’iscrizione: al Dio ignoto. Quello che voi adorate senza conoscere, io ve lo annunzio" (At 17,22-23). Nel mio pellegrinaggio spirituale e pastorale attraverso il mondo di oggi, ho espresso ripetutamente la stima della Chiesa verso "quanto è vero e santo" nelle religioni dei popoli. Ho aggiunto, sulla scorta del Concilio, che la verità cristiana serve a far "progredire i valori spirituali, morali e socio culturali che si trovano in essi" (Nostra Aetate, 2). La paternità universale di Dio, manifestatasi in Gesù Cristo, spinge al dialogo anche con le religioni al di fuori del ceppo abramitico. Tale dialogo si configura ricco di stimoli e sfide se si pensa, per esempio, alle culture asiatiche, profondamente penetrate dallo spirito religioso, oppure alle religioni tradizionali africane che costituiscono per tanti popoli una fonte di sapienza e di vita. 2. Alla base dell’incontro della Chiesa con le religioni mondiali vi è il discernimento del loro specifico carattere, ossia del modo con cui esse si avvicinano al mistero di Dio Salvatore, Realtà definitiva della vita umana. Ogni religione infatti si presenta come una ricerca di salvezza e propone itinerari per giungere ad essa (cfr. CCC, 843). Presupposto del dialogo è la certezza che l’uomo, creato ad immagine di Dio, è anche "luogo" privilegiato della sua presenza salvifica. La preghiera, come riconoscimento adorante di Dio, gratitudine per i suoi doni, implorazione di aiuto, è via speciale d’incontro, soprattutto con quelle religioni che, pur non avendo scoperto il mistero della paternità di Dio, tuttavia "tengono, per così dire, le braccia tese verso il cielo" (Paolo VI, Evangelii nuntiandi, 53). Più difficile invece il dialogo con alcune correnti della religiosità contemporanea, in cui spesso la preghiera finisce per essere un ampliamento del potenziale vitale, scambiato per salvezza. 3. Varie sono le forme e i livelli del dialogo del cristianesimo con le altre religioni, a partire dal dialogo della vita, con cui "le persone si sforzano di vivere in uno spirito d'apertura e di buon vicinato, condividendo le loro gioie e le loro pene, i loro problemi e le loro preoccupazioni umane" (Pont. Cons. per il Dialogo Interreligioso e Cong. per l'Evangelizzazione dei Popoli, Istr. Dialogo e annuncio: riflessioni e orientamenti, 19 maggio 1991, n. 42). Particolare importanza assume il dialogo delle opere, tra cui si devono evidenziare l'educazione alla pace e al rispetto per l'ambiente, la solidarietà verso il mondo della sofferenza, la promozione della giustizia sociale e dello sviluppo integrale dei popoli. La carità cristiana che non conosce frontiere si incontra volentieri con la testimonianza solidale dei membri di altre religioni, rallegrandosi per il bene da essi operato. Vi è poi il dialogo teologico in cui gli esperti cercano di approfondire la comprensione delle loro rispettive eredità religiose e di apprezzarne i valori spirituali. Gli incontri tra specialisti di varie religioni non possono tuttavia limitarsi alla ricerca di un minimo denominatore comune. Essi hanno lo scopo di prestare un coraggioso servizio alla verità evidenziando sia aree di convergenza che differenze fondamentali, nello sforzo sincero di superare pregiudizi e malintesi. 4. Anche il dialogo dell'esperienza religiosa va acquistando sempre maggiore importanza. L’esercizio della contemplazione risponde all'immensa sete d'interiorità propria delle persone spiritualmente in ricerca e aiuta tutti i credenti a penetrare più profondamente nel mistero di Dio. Alcune pratiche provenienti da grandi religioni orientali esercitano una certa attrazione sull'uomo d'oggi. Ad esse i cristiani devono applicare un discernimento spirituale, per non perdere mai di vista la concezione della preghiera, come è illustrata dalla Bibbia lungo tutta la storia della salvezza (cfr. Cong. per la Dottrina della Fede, Lettera Orationis formas, su alcuni aspetti della meditazione cristiana, 15 ottobre 1989: AAS 82 [1990], II, pp. 362-379). Questo doveroso discernimento non impedisce il dialogo interreligioso. In realtà da diversi anni gli incontri con gli ambienti monastici di altre religioni, improntati a cordiale amicizia, aprono vie per condividere reciprocamente le ricchezze spirituali in ciò che "riguarda la preghiera e la contemplazione, la fede e le vie della ricerca di Dio e dell'Assoluto" (Dialogo e annuncio, 42). Tuttavia la mistica non può mai essere invocata per favorire il relativismo religioso, in nome di un'esperienza che riduca il valore della rivelazione di Dio nella storia. Quali discepoli di Cristo sentiamo l’urgenza e la gioia di testimoniare che proprio in Lui Dio si è manifestato, come ci dice il Vangelo di Giovanni: "Dio nessuno l'ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, Lui lo ha rivelato" (Gv 1,18). Questa testimonianza va resa senza reticenza alcuna, ma anche con la consapevolezza che l’azione di Cristo e del suo Spirito è già misteriosamente presente in quanti vivono sinceramente la loro esperienza religiosa. E con tutti gli uomini autenticamente religiosi la Chiesa compie il suo pellegrinaggio nella storia verso l’eterna contemplazione di Dio nello splendore della sua gloria. Note: [1] UDIENZA GENERALE Mercoledì 21 aprile 1999 [2] UDIENZA GENERALE Mercoledì 28 aprile 1999 [3] UDIENZA GENERALE Mercoledì 5 maggio 1999 [4]
UDIENZA GENERALE Mercoledì 19 maggio 1999
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