Sul «Filioque» - Perché la fede cattolica sullo Spirito Santo
non si oppone a quella ortodossa
Da L'Osservatore romano del 13.9.1995 


Adempiendo alla richiesta formulata dal papa il 29 giugno nell'omelia alla presenza del patriarca ecumenico Bartolomeo I, il Pontificio consiglio per la promozione dell'unità dei cristiani chiarisce il Filioque, la clausola che si trova nella versione liturgica latina del Credo niceno in uso in Occidente dal 1014, secondo cui lo Spirito Santo procede "dal Padre e dal Figlio". Ribadita la fede nel Padre come "unica fonte e del Figlio e dello Spirito", la chiarificazione, intitolata Le tradizioni greca e latina a riguardo della processione dello Spirito Santo, identifica la clausola come "tradizione liturgica particolare" in sé legittima e tale da non scalfire "l'identità della fede nella realtà del medesimo mistero confessato" (CCC 248).

 
Nel suo primo rapporto su Il mistero della chiesa e dell'eucaristia alla luce del mistero della santa Trinità , approvato all'unanimità a Monaco il 6 luglio 1982, la Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica romana e la Chiesa ortodossa aveva menzionato la difficoltà secolare tra le due chiese a riguardo dell'origine eterna dello Spirito Santo. 

La Commissione, non potendo ancora trattare in quella prima tappa del dialogo l'argomento in sé, dichiarava: "Senza volere ancora risolvere la difficoltà tra Oriente e Occidente sulla relazione tra il Figlio e lo Spirito, possiamo già dire insieme che questo Spirito, che procede dal Padre (Gv 15,26), come dall'unica sorgente interna alla Trinità, e che è diventato lo Spirito della nostra adozione (Rm 8,15) perché è anche lo Spirito del Figlio (Gal 4,6), ci è comunicato, soprattutto nell'eucaristia, da questo Figlio su cui riposa, nel tempo e nell'eternità (Gv 1,32)". (Per il testo originale francese, cfr. Service d'Information del Segretariato per la promozione dell'unità dei cristiani 16 (1982) 49, 116, I, 6; EO 1/2189).

La chiesa cattolica riconosce il valore conciliare ed ecumenico, normativo e irrevocabile, quale espressione dell'unica fede comune della chiesa e di tutti i cristiani, del simbolo professato in greco dal II concilio ecumenico a Costantinopoli nel 381. Nessuna professione di fede propria a una tradizione liturgica particolare può contravvenire a tale espressione di fede insegnata e professata dalla chiesa indivisa.

Tale simbolo confessa sulla base di Gv 15,26 lo Spirito "tò ek tou Patròs ekporeuomenon" ("che trae la sua origine dal Padre"). Soltanto il Padre è il principio senza principio (arxh anarxos) delle due altre persone trinitarie, l'unica fonte (phgh) e del Figlio e dello Spirito Santo. Lo Spirito Santo trae dunque la sua origine soltanto dal Padre (ek monou tou Patros) in modo principiale, proprio e immediato.[1]

I Padri greci e tutto l'Oriente cristiano parlano a questo riguardo della "monarchia del Padre" e anche la tradizione occidentale confessa, sulla scia di sant'Agostino, che lo Spirito Santo trae la sua origine dal Padre "principaliter" , cioè a titolo di principio ( De Trinitate XV, 25, 47, PL 42, 1094-1095). In questo senso dunque le due tradizioni riconoscono che la "monarchia del Padre" implica che il Padre sia l'unica causa trinitaria (aitia) o principio ( principium ) del Figlio e dello Spirito Santo.

Tale origine dello Spirito Santo a partire dal solo Padre quale principio di tutta la Trinità è chiamata ekporeusis dalla tradizione greca sulla scia dei padri cappadoci. In effetti, san Gregorio Nazianzeno, il Teologo, caratterizza la relazione d'origine dello Spirito a partire dal Padre con il termine proprio di ekporeusis che egli distingue da quello di processione (tò proiénai) che lo Spirito ha in comune con il Figlio: "Lo Spirito è veramente lo Spirito procedente (proion) dal Padre, non per filiazione, poiché non è per generazione, ma per ekporeusis" ( Discorso 39, 12, Sources Chrétiennes 358, 175). Anche se talvolta accade a san Cirillo d'Alessandria di applicare il verbo ekporeuesthai alla relazione d'origine del Figlio a partire dal Padre, egli non l'adopera mai per la relazione dello Spirito al Figlio (cfr. tra l'altro Commento su san Giovanni X, 2, PG 74, 910D; Ep. 55, PG 77, 316D). Anche in san Cirillo il termine ekporeusis a differenza del termine "procedere" (proiénai) può caratterizzare soltanto una relazione d'origine al principio senza principio della Trinità: il Padre.

Per questa ragione l'Oriente ortodosso ha sempre rifiutato la formula tò ek tou Patròs kaì tou Yiou ekporeuomenon e la chiesa cattolica ha rifiutato che sia aggiunto kaì tou Yiou alla formula ek tou Patros ekporeuomenon nel testo greco del simbolo di Nicea-Costantinopoli, anche nel suo uso liturgico da parte dei latini.

Con ciò l'Oriente ortodosso non rifiuta ogni relazione eterna tra il Figlio e lo Spirito Santo nella loro origine a partire dal Padre. San Gregorio Nazianzeno, grande testimone delle nostre due tradizioni, contro Macedonius che chiedeva: "Che cosa manca dunque allo Spirito per essere il Figlio, poiché se non gli mancasse nulla esso sarebbe il Figlio?", precisa: "Non diciamo che non gli manca nulla, poiché nulla manca a Dio; ma è la differenza della manifestazione, se posso dire, o della relazione tra di loro (ths pròs allhla sxéseos diaforon) che crea anche la differenza della loro appellazione" ( Discorso 31, 9, SC 250, 290-292).

Tuttavia l'Oriente ortodosso esprime felicemente tale relazione per mezzo della formula dià tou Yiou ekporeuomenon (che trae la sua origine dal Padre per mezzo o attraverso il Figlio). Già san Basilio diceva dello Spirito Santo: "Per mezzo del Figlio (dià tou Yiou), che è uno, egli si ricongiunge al Padre, che è uno, e completa con se stesso la beata Trinità degna di ogni lode ( Trattato sullo Spirito Santo , XVIII, 45, SC 17 bis, 408). San Massimo il confessore dice: "Per natura (fusei) lo Spirito Santo, nel suo essere (kat' ousian), trae sostanzialmente (ousiodos) la sua origine (ekporeuomenon) dal Padre per mezzo del Figlio generato ( di' Yiou gennhthéntos)" ( Quaestiones ad Thalassium , LXIII, PG 90, 672 C). Ciò si ritrova in san Giovanni Damasceno:"(o Pathr) aeì hn, eon ex eautou th autou logon, kaì dià tou logou autou ex eautou tò Pneuma autou ekporeuomenon", ciò che si traduce con: "Io dico che Dio è sempre Padre avendo egli sempre a partire da se stesso il suo Verbo e per mezzo del suo Verbo avendo egli il suo Spirito proveniente a partire da lui" ( Dialogus contra Manicheos 5, PG 94, 1512B, ed. B. Kotter, Berlino 1981, 354; cf. anche PG 94, 848-849A). Tale aspetto del mistero trinitario è stato confessato anche davanti al VII concilio ecumenico, riunito a Nicea nel 787, dal patriarca di Costantinopoli san Tarasio, che sviluppa il simbolo come segue: "tò Pneuma tò agion, tò Kurion kaì zoopoion, tò ek tou Patròs di' Yiou ekporeuomenon" (Mansi, XII, 1122D).

Tale insieme dottrinale testimonia della fede trinitaria fondamentale così come l'Oriente e l'Occidente l'hanno professata insieme durante l'epoca dei padri. Esso è la base che deve servire alla continuazione del dialogo teologico in corso tra cattolici e ortodossi.
La dottrina del Filioque deve essere compresa e presentata dalla chiesa cattolica in un modo che essa non possa sembrare contraddire la monarchia del Padre né il fatto che egli è la sola origine (arxh, aitia) dell'ekporeusis dello Spirito. Il Filioque si situa infatti in un contesto teologico e linguistico diverso da quello dell'affermazione della sola monarchia del Padre, unica origine del Figlio e dello Spirito. Contro l'arianismo ancora virulento in Occidente, esso era destinato a mettere in risalto il fatto che lo Spirito Santo è della stessa natura divina del Figlio, senza mettere in causa l'unica monarchia del Padre.

Presentiamo qui il senso dottrinale autentico del Filioque sulla base della fede trinitaria del simbolo professato dal secondo concilio ecumenico a Costantinopoli. Diamo tale interpretazione autorizzata nella consapevolezza che il linguaggio umano è inadeguato a esprimere il mistero ineffabile della santa Trinità, Dio unico, che va al di là delle nostre parole e dei nostri pensieri.

La chiesa cattolica interpreta il Filioque in riferimento al valore conciliare ed ecumenico, normativo e irrevocabile della confessione di fede sull'origine eterna dello Spirito Santo così come l'ha definita nel 381 il concilio ecumenico di Costantinopoli nel suo simbolo. Tale simbolo è stato conosciuto e accolto da Roma soltanto in occasione del concilio ecumenico di Calcedonia nel 451. Nel frattempo, sulla base dell'anteriore tradizione teologica latina, i padri della chiesa d'occidente quali sant'Ilario, sant'Ambrogio, sant'Agostino e san Leone Magno, avevano confessato che lo Spirito Santo procede (procedit ) eternamente dal Padre e dal Figlio.[2]

Così come la Bibbia latina (la Volgata e le traduzioni latine anteriori) aveva tradotto Gv 15,26 (parà tou Patròs ekporeuetai) con " qui a Patre procedit ", i latini hanno tradotto l'ek tou Patròs ekporeuomenon del simbolo di Nicea-Costantinopoli con " ex Patre procedentem " (Mansi VII, 112B). Si creava così involontariamente, circa l'origine eterna dello Spirito, una falsa equivalenza tra la teologia orientale dell'ekporeusis e la teologia latina della processio .

L'ekporeusis greca non significa altro che la relazione d'origine in rapporto al solo Padre in quanto principio senza principio della Trinità. Per converso, la processio latina è un termine più comune che significa la comunicazione della divinità consustanziale del Padre al Figlio e del Padre per mezzo e con il Figlio allo Spirito Santo.[3] Confessando lo Spirito Santo " ex Patre procedentem ", i latini non potevano dunque fare altro che supporre un Filioque implicito che sarebbe stato esplicitato più tardi nella loro versione liturgica del simbolo.
Il Filioque è stato confessato in occidente dal V secolo con il simbolo Quicumque (o "atanasiano", H. Denzinger, Enchiridion Symbolorum , edizione bilingue a cura di Peter Hünermann, EDB, Bologna 1995, n. 75), poi dai concili di Toledo nella Spagna visigota tra il 589 e il 693 (Denz 470, 485, 490, 527, 568), per affermare la consustanzialità trinitaria. Anche se tali concili non l'hanno forse inserito nel simbolo di Nicea-Costantinopoli, il Filioque vi si trova certamente sin dalla fine dell'VIII secolo, come ne danno testimonianza gli atti del concilio d'Aquileia-Friuli nel 796 (Mansi XIII, 836Dss) e del concilio di Aquisgrana dell'809 (Mansi XIV, 17). Nel IX secolo tuttavia, in opposizione a Carlomagno, papa Leone III, preoccupato di custodire l'unità con l'Oriente nella confessione di fede, ha resistito a questo sviluppo del simbolo, che si era spontaneamente diffuso in Occidente, salvaguardando nel contempo la verità che il Filioque comporta. Roma lo ha ammesso nella versione liturgica latina del Credo soltanto nel 1014.

Un'analoga teologia si era sviluppata ad Alessandria all'epoca patristica, e a partire da sant'Atanasio. Come nella tradizione latina, essa si esprimeva con il termine più comune di processione (proiénai) designante la comunicazione della divinità allo Spirito Santo a partire dal Padre e dal Figlio nella loro comunione consustanziale: "Lo Spirito procede (proeisi) dal Padre e dal Figlio; è evidente che esso è di sostanza divina, procedendo (proion) sostanzialmente (ousiodos) in essa e da essa (san Cirillo d'Alessandria, Thesaurus , PG 75, 585A).[4]

Nel VII secolo i Bizantini si scandalizzarono per una confessione di fede del papa che comportava il Filioque a proposito della processione dello Spirito Santo, processione che essi traducevano in modo inesatto con ekporeusis. San Massimo il confessore scrisse allora da Roma una lettera che articola insieme i due modi di intendere - cappadoce e latino-alessandrino - l'origine eterna dello Spirito: il Padre è il solo principio senza principio (in greco aitia) del Figlio e dello Spirito; il Padre e il Figlio sono fonte consustanziale della processione (tò proiénai) di quello stesso Spirito. "Sulla processione essi [i romani] si sono appellati alle testimonianze dei padri latini, oltre naturalmente a quella di san Cirillo di Alessandria nel sacro studio che egli fece sul vangelo di san Giovanni. Partendo da tali testimonianze, hanno mostrato che essi stessi non fanno del Figlio la causa (Aitia dello Spirito - sanno infatti che il Padre è la causa unica del Figlio e dello Spirito, dell'uno per generazione e dell'altro per ekporeusis -, ma essi hanno spiegato che quest'ultimo proviene (proiénai) attraverso il Figlio e hanno così mostrato l'unità e immutabilità dell'essenza" ( Lettera a Marino di Cipro , PG 91, 136AB). Secondo san Massimo, che a questo proposito rispecchia il pensiero di Roma, il Filioque non riguarda l'ekporeusis dello Spirito proveniente dal Padre in quanto sorgente della Trinità, ma manifesta il suo proiénai ( processio ) nella comunione consustanziale del Padre e del Figlio, escludendo un'eventuale interpretazione subordinazionista della monarchia del Padre.

Il fatto che nella teologia latina e alessandrina lo Spirito Santo proceda (proeisi dal Padre e dal Figlio nella loro comunione consustanziale non significa che sia l'essenza o la sostanza divina a procedere nello Spirito Santo, ma piuttosto che essa gli è comunicata a partire dal Padre e dal Figlio che l'hanno in comune. Questo punto è stato confessato dogmaticamente nel 1215 dal IV concilio del Laterano: "(La sostanza) non genera, non è generata, non procede, ma è il Padre che genera, il Figlio che è generato, lo Spirito che procede; in tale modo le distinzioni sono nelle persone e l'unità nella natura. Benché dunque "altro ( alius ) sia il Padre, altro il Figlio, altro lo Spirito Santo, essi non sono tuttavia realtà diverse ( aliud )": ma ciò che è il Padre lo è il Figlio e in modo del tutto uguale lo è lo Spirito Santo; così secondo la vera fede cattolica, noi crediamo che essi sono consostanziali. Il Padre, infatti, generando il Figlio eternamente, gli ha dato la sua sostanza (...). È chiaro, quindi, che il figlio, nascendo, ha ricevuto senza alcuna diminuzione la sostanza del Padre, e quindi il Padre e il Figlio hanno la medesima sostanza. Così il Padre e il Figlio sono la stessa cosa e ugualmente lo Spirito Santo che procede dall'uno e dall'altro" (Denz 804-805).

Nel 1274 il concilio di Lione ha confessato che "lo Spirito Santo procede eternamente dal Padre e dal Figlio non come da due principi, ma come da uno solo ( tamquam ex uno principio )" (Denz 850). È chiaro, alla luce del concilio del Laterano, il quale ha preceduto il II concilio di Lione, che l'essenza divina non può essere "l'unico principio" della processione dello Spirito Santo. Il Catechismo della chiesa cattolica , nel n. 248, interpreta come segue tale formula: "L'ordine eterno delle persone divine nella loro comunione consustanziale implica che il Padre sia l'origine prima dello Spirito in quanto "principio senza principio" (Denz 1331), ma pure che, in quanto Padre del Figlio unigenito egli con lui sia "l'unico principio dal quale procede lo Spirito Santo" (cf. II concilio di Lione, Denz 850)".

Per la chiesa cattolica "la tradizione orientale mette soprattutto in rilievo che il Padre, in rapporto allo Spirito, è l'origine prima. Confessando che "lo Spirito procede dal Padre (ek tou Patròs ekporeuomenon cfr. Gv 15,26)", afferma che lo Spirito procede dal Padre attraverso il Figlio. La tradizione occidentale dà maggiore risalto alla comunione consustanziale tra il Padre e il Figlio affermando che lo Spirito procede dal Padre e dal Figlio ( Filioque ) (...). Questa legittima complementarità, se non viene inasprita, non scalfisce l'identità della fede nella realtà del medesimo mistero confessato" ( CCC 248). Consapevole di ciò, la chiesa cattolica ha rifiutato che sia aggiunto un kaì tou Yiou alla formula ek tou Patròs ekporeuomenon del simbolo di Nicea-Costantinopoli nelle chiese, anche di rito latino, che l'utilizzano in greco; l'uso liturgico di questo testo originale è in effetti rimasto sempre legittimo nella chiesa cattolica.

Il Filioque della tradizione latina, se situato in un corretto contesto, non deve condurre a una subordinazione dello Spirito Santo nella Trinità. Anche se la dottrina cattolica afferma che lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figlio nella comunicazione della loro divinità consustanziale, essa riconosce tuttavia la realtà della relazione originale che lo Spirito Santo intrattiene con il Padre in quanto persona, relazione che i Padri greci esprimono con il termine ekporeusis.[5]

Allo stesso modo, anche se nell'ordine trinitario lo Spirito Santo è consecutivo alla relazione tra il Padre e il Figlio poiché esso trae la sua origine dal Padre in quanto quest'ultimo è Padre del Figlio unigenito,[6] tale relazione tra il Padre e il Figlio raggiunge essa stessa la sua perfezione trinitaria nello Spirito. Allo stesso modo che il Padre è caratterizzato come Padre dal Figlio che egli genera, lo Spirito, traendo la sua origine dal Padre, lo caratterizza in modo trinitario nella sua relazione al Figlio e caratterizza in modo trinitario il Figlio nella sua relazione al Padre: nella pienezza del mistero trinitario essi sono Padre e Figlio nello Spirito Santo.[7]

Il Padre genera il Figlio soltanto spirando (in greco proballein) per mezzo di lui lo Spirito Santo, e il Figlio è generato dal Padre soltanto nella misura in cui la spirazione (in greco probolh) passa attraverso di lui. Il Padre è Padre del Figlio unigenito soltanto essendo per lui e per mezzo di lui l'origine dello Spirito Santo.[8]

Lo Spirito non precede il Figlio, poiché il Figlio caratterizza come Padre il Padre dal quale lo Spirito trae la sua origine, ciò che costituisce l'ordine trinitario.[9] Ma la spirazione dello Spirito a partire dal Padre si fa per mezzo e attraverso (sono i due sensi di dia' in greco) la generazione del Figlio che essa caratterizza in modo trinitario. In questo senso san Giovanni Damasceno dice: "Lo Spirito Santo è una potenza sostanziale, contemplata nella sua propria ipostasi distinta, la quale procede dal Padre e riposa nel Verbo" ( Fede ortodossa I, 7, PG 94, 805B, ed. B. Kotter, Berlino 1973, 16; Dialogus contra Manicheos 5, PG 94, 1512B, ed. B. Kotter, Berlino 1981, 354).[10]

Qual è questo carattere trinitario che la persona dello Spirito Santo apporta alla stessa relazione tra il Padre e il Figlio? Si tratta della funzione originale dello Spirito nell'economia in rapporto alla missione e all'opera del Figlio. Il Padre è l'amore nella sua sorgente (cfr. 2Cor 13,13; 1Gv 4,8.16), il Figlio è "il Figlio del suo amore" (Col 1,14). Cosicché una tradizione risalente a sant'Agostino ha visto nello "Spirito Santo l'amore di Dio che è stato riversato nei nostri cuori" (Rm 5,5), l'amore come dono eterno del Padre al suo "Figlio diletto" (Mc 1,9; 9,7; Lc 20,13; Ef 1,6).[11]

L'amore divino che ha la sua origine nel Padre riposa nel "Figlio del suo amore" per esistere consustanzialmente per mezzo di questi nella persona dello Spirito, il dono d'amore. Ciò rende conto del fatto che lo Spirito Santo orienta attraverso l'amore tutta la vita di Gesù verso il Padre nel compimento della sua volontà. Il Padre invia il Figlio (Gal 4,4) quando Maria lo concepisce per opera dello Spirito Santo (cfr. Lc 1,35).

Quest'ultimo manifesta Gesù come Figlio del Padre al battesimo, riposando su di lui (cfr. Lc 3,21-22; Gv 1,33). Sospinge Gesù al deserto (cfr. Mc 1,12). Gesù ne ritorna "ricolmo di Spirito Santo" (Lc 4,1), poi inizia il suo ministero "con la potenza dello Spirito" (Lc 4,14). Esulta di gioia nello Spirito benedicendo il Padre per il suo benevolo disegno (cf. Lc 10,21). Sceglie i suoi apostoli "sotto l'azione dello Spirito Santo" (At 1,2). Scaccia i demoni per mezzo dello Spirito di Dio (Mt 12,28). Offre se stesso al Padre "con uno Spirito eterno" (Eb 9,14). Sulla croce egli "rimette il suo Spirito" nelle mani del Padre (Lc 23,46). "In esso" egli discende agli inferi (1Pt 3,19) ed è per mezzo suo che è risuscitato (cfr. Rm 8,11) e "costituito Figlio di Dio con la sua potenza" (Rm 1,4).[12] Tale funzione dello Spirito, nel più intimo dell'esistenza umana del Figlio di Dio fatto uomo, deriva da un rapporto trinitario eterno con il quale lo Spirito caratterizza, nel suo mistero di dono d'amore, la relazione tra il Padre, come sorgente d'amore, e il Figlio suo diletto.

Il carattere originale della persona dello Spirito come dono eterno dell'amore del Padre per il Figlio suo diletto manifesta che lo Spirito, pur derivando dal Figlio nella sua missione, è quello che introduce gli uomini nella relazione filiale di Cristo a suo Padre, poiché tale relazione trova soltanto in lui il suo carattere trinitario: "Dio ha inviato nei nostri cuori lo Spirito di suo Figlio che grida: Abbà, Padre!" (Gal 4,6). Nel mistero di salvezza e nella vita della chiesa, lo Spirito fa molto di più che prolungare l'opera del Figlio. Infatti, tutto ciò che Cristo ha istituito - la rivelazione, la chiesa, i sacramenti, il ministero apostolico e il suo magistero - richiede la costante invocazione (epiklhsis) dello Spirito Santo e la sua azione (enérgeia) affinché si manifesti "l'amore che non avrà mai fine" (1Cor 13,8) nella comunione dei santi alla vita trinitaria.

Note:

[1] Si tratta dei termini adoperati da san Tommaso d'Aquino nella Summa theologica , Ia q. 36 a.3, 1o e 2o .

[2] È stato Tertulliano a porre le fondamenta della teologia trinitaria nella tradizione latina, sulla base della comunicazione sostanziale del Padre al Figlio e per mezzo del Figlio allo Spirito Santo: "Cristo dice dello Spirito: "Esso prenderà del mio" (Gv 16,14), come lui dal Padre. Così la connessione del Padre nel Figlio e del Figlio nel Paraclito rende i tre coerenti l'uno a partire dall'altro. Essi sono una realtà sola ( unum ) non uno solo ( unus ) a causa dell'unità della sostanza e non della singolarità numerica" ( Adv. Praxean XXV, 1-2). Tale comunicazione della consustanzialità divina secondo l'ordine trinitario è espressa da Tertulliano con il verbo " procedere " ( ivi VII, 6). Si ritrova la stessa teologia in sant'Ilario di Poitiers che dice al Padre: "Che io ottenga il tuo Spirito che è a partire da te per mezzo del Figlio tuo unigenito" ( De Trinitate XII, PL 10, 471). Egli fa rilevare: "Se si crede che vi sia una differenza tra ricevere dal Figlio (Gv 16,15) e procedere ( procedere ) dal Padre (Gv 15,26), è certo che è una sola e stessa cosa ricevere dal Figlio e ricevere dal Padre" ( ivi , VIII, 20, PL 10, 251A). In questo senso della comunicazione della divinità per mezzo della processione, sant'Ambrogio da Milano formula per primo il Filioque : "Lo Spirito Santo, quando procede ( procedit ) dal Padre e dal Figlio non si separa dal Padre, non si separa dal Figlio" ( De Spiritu Sancto , I, 11, 120, PL 16, 733A = 762D). Sviluppando la teologia del Filioque , sant'Agostino prenderà tuttavia la precauzione di salvaguardare la monarchia del Padre in seno alla comunione consustanziale della Trinità: "Lo Spirito Santo procede dal Padre a titolo di principio ( principaliter ) e, per mezzo del dono intemporale di questi al Figlio, dal Padre e dal Figlio in comunione ( communiter )" ( De Trinitate , XV, 25, 47, PL 42, 1095; san Leone, Sermone LXXV, 3, PL 54, 402; Sermone LXXVI, 2, ivi , 404).

[3] Tertulliano adopera per primo il verbo procedere in un senso che è comune al Verbo e allo Spirito in quanto essi ricevono la divinità dal Padre: "Il Verbo non è stato proferito a partire da qualcosa di vuoto e di vano e non manca di sostanza, lui che è proceduto (processit) da una tale sostanza [divina] e ha fatto tante sostanze [create]" ( Adv. Praxean , VII, 6). Sant'Agostino, a seguito di sant'Ambrogio, riprende tale concezione più comune della processione: "Tutto ciò che procede non nasce affatto, anche se tutto ciò che nasce procede" ( Contra Maximinum , II, 14, 1, PL 42, 770). Molto più tardi, san Tommaso d'Aquino farà notare che: "la natura divina è comunicata in ogni processione che non è ad extra ( Summa theologica Ia, q. 27, a. 3, 2o ). Per lui, come per tutta questa teologia latina che adopera il termine processione sia per il Figlio che per lo Spirito "la generazione è una processione che fa accedere la persona divina al possesso della natura divina" ( ivi Ia, q. 43, a. 2, c) poiché "il Figlio procede da tutta l'eternità per essere Dio" ( ivi ). In modo analogo, egli afferma che "con la sua processione, lo Spirito Santo riceve la natura dal Padre, allo stesso modo del Figlio" ( ivi Ia, q. 35, a. 2, c). "Tra le parole che si riferiscono a una qualsivoglia origine, la parola processione è la più generale. Noi ne facciamo uso per designare una qualunque origine; si dice ad esempio che la retta procede dal punto, che il raggio procede dal sole, il fiume dalla sua sorgente, come in ogni specie di altri casi. Così, dal fatto che si ammette l'una o l'altra di queste parole che evocano l'origine, si può concludere che lo Spirito Santo procede dal Figlio" ( ivi , Ia, q. 32, a. 2, c).

[4] San Cirillo testimonia con ciò di una dottrina trinitaria comune a tutta la scuola d'Alessandria da sant'Atanasio, il quale scriveva: "Come il Figlio dice "tutto quello che il Padre possiede è mio" (Gv 16,15), così troveremo che, per mezzo del Figlio, tutto ciò è anche nello Spirito" ( Lettere a Serapione , III, 1, 33, PG 26, 625B). Sant'Epifanio di Salamina ( Ancoratus , VIII, PG 43, 29C) e Didimo il Cieco ( Trattato dello Spirito Santo , CLIII, PG 34, 1064A) coordinano il Padre e il Figlio con la stessa proposizione ek nella comunicazione allo Spirito Santo della divinità consustanziale.

[5] "Le due relazioni del Figlio al Padre e dello Spirito Santo al Padre ci obbligano a porre nel Padre due relazioni, riferendo l'una al Figlio e l'altra allo Spirito Santo" (san Tommaso d'Aquino, Summa theologica Ia, q. 32, a. 2, c).

[6] Cfr. Catechismo della chiesa cattolica , n. 248.

[7] San Gregorio Nazianzeno afferma che "lo Spirito Santo è un termine medio (méson) tra il non generato e il generato" ( Discorso 31, 8, SC 250, 290). Cfr. anche, in una prospettiva tomista, G. Leblond, "Point de vue sur la procession du Saint-Esprit", Revue Thomiste 86(1978)78, 293-302).

[8] San Cirillo d'Alessandria dice che "lo Spirito Santo discende dal Padre nel Figlio (en toi Yioi)" ( Thesaurus , XXXIV, PG 75, 577A).

[9] San Gregorio di Nissa scrive: "Lo Spirito Santo è detto del Padre ed è attestato che esso è del Figlio: "Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, dice san Paolo, non gli appartiene" (Rm 8,9). Dunque lo Spirito che è di Dio [il Padre] è anche lo Spirito di Cristo. Tuttavia il Figlio che è di Dio [il Padre] non si dice che è dello Spirito: la consecuzione della relazione non può essere capovolta" (Frammento In orationem dominicam , citato da san Giovanni Damasceno, PG 46, 1109BC). E san Massimo afferma nello stesso modo l'ordine trinitario quando scrive: "Come il Pensiero [il Padre] è principio del Verbo, così esso lo è anche dello Spirito per mezzo del Verbo. E, come non si può dire che il Verbo [la Parola] è della voce [il Soffio], così non si può dire che il Verbo è dello Spirito" ( Quaestiones et dubia , PG 90, 813B).

[10] San Tommaso d'Aquino, che conosceva la Fede ortodossa , non vede opposizione tra il Filioque e la seguente espressione di san Giovanni Damasceno: "Dire che lo Spirito Santo riposa o dimora nel Figlio non esclude che esso proceda da lui; poiché si dice anche che il Figlio dimora nel Padre, sebbene egli proceda dal Padre" ( Summa theologica Ia, q. 36, a. 2, 4o ).

[11] Sulla scia di sant'Agostino, san Tommaso d'Aquino scrive: "Se si dice dello Spirito Santo che esso dimora nel Figlio, è nel modo in cui l'amore di colui che ama si riposa nell'amato" ( Summa theologica Ia, q. 36, a. 2, 4o ). Questa dottrina dello Spirito Santo come amore è stata armoniosamente accolta da san Gregorio Palamas all'interno della teologia greca dell'ekporeusis a partire dal solo Padre: "Lo Spirito del Verbo altissimo è come un indicibile amore del Padre per questo Verbo generato indicibilmente. Amore che questo stesso Verbo e Figlio amato dal Padre usa (xrhtai) nei confronti del Padre: ma in quanto egli possiede lo Spirito proveniente con lui (sunproelthonta) dal Padre e che riposa connaturalmente in lui" ( Capita physica XXXVI, PG 150, 1144B-1145A).

[12] Cf. Giovanni Paolo II, lett. enc. Dominum et vivificantem , nn. 18-24, AAS 78(1986), 826-831; EV 10/487-503. Cf. anche CCC 438, 689, 690, 695, 727.

[13] Il documento, nella versione pubblicata su L'Osservatore romano, reca questa sigla. La nota che precisa che " la chiarificazione... è pubblicata a cura del Pontificio consiglio per la promozione dell'unità dei cristiani " compare in un riquadro (ndr).

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