Cattolici e ortodossi si ritrovano insieme per discutere del primato
del Papa, tema nevralgico sulla via della riunificazione. Ed infatti a qualcuno
saltano i nervi.
Non dentro la riunione ma fuori. L’undicesima Assemblea plenaria della
Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa
cattolica e la Chiesa ortodossa è stata disturbata dalle contestazioni di un
gruppo tradizionalista. All’inizio dei lavori qualche decina di monaci e
sacerdoti ortodossi ha inscenato una plateale manifestazione per protestare
contro quella che ritengono « una vergognosa sottomissione al Papato» .
Si sono schierati attorno alla piccola chiesa di San Giorgio, nei pressi
dell’omonimo hotel dove era in corso la riunione, decisi ad impedire la
celebrazione liturgica da parte dei delegati cattolici che, per non cadere
nella provocazione, hanno detto Messa in un salone dell’albergo.
«Hanno cercato d’intimidire i rappresentanti ortodossi che hanno mostrato
qualche imbarazzo. Ma poi si sono ripresi dall’inevitabile choc ed hanno
riaffermato con forza la loro volontà di procedere nei lavori », ci dice
monsignor Eleuterio Fortino, co-segretario della Commissione mista e figura
storica del dialogo ecumenico. Insomma, la protesta si è risolta in un
boomerang. L’arcivescovo di Cipro, Chrysostomos II, si è arrabbiato tantissimo
e ha annunciato che nei riguardi di questi « fanatici » verranno prese delle
sanzioni. Sul caso ha preso posizione anche l’assemblea dei delegati. «
Consideriamo unanimemente le reazioni negative al dialogo da parte di alcuni
circoli ortodossi come totalmente infondate, false ed ingannevoli – si può
leggere nel comunicato finale –. Tutti i membri ortodossi della Commissione
hanno riaffermato che il dialogo continua nella fedeltà alla Verità ed alla
Tradizione della Chiesa » .
Un dialogo fraterno e amichevole nell’ambiente solare di uno splendido hotel
affacciato sul mare da cui, dice la leggenda, nacque Venere.
Vescovi e metropoliti in mezzo a turisti in maglietta, non è spettacolo di tutti
i giorni. Ma qui a Pafos c’è stato un dialogo serio, impegnativo e difficile. Lo
si può intuire già dal tema dell’incontro, « Il ruolo del vescovo di Roma nella
comunione della Chiesa nel primo millennio » .
Lo ammette chiaramente l’arcivescovo Hilarion che guida la delegazione russa: «
ci sono divergenze non solo fra cattolici e ortodossi ma anche al nostro interno
» . Se a Ravenna nel 2007 si trovò l’accordo sul fatto che nella Chiesa antica
il vescovo di Roma era il « protos » , il primo nell’ordine canonico, qui a a
Pafos si è entrati nel vivo della questione, esaminando i testi patristici ed i
canoni apostolici. Appare evidente « l’influsso speciale » esercitato sulla
Chiesa dal vescovo di Roma ma sono nate divergenze sull’interpretazione del suo
ruolo. «Non ci può essere comunione e sinodalità nella Chiesa senza primato. E
parliamo di un primato non semplicemente d’onore. Il primato implica una
responsabilità, non è una semplice questione organizzativa ma riguarda
l’essenza della Chiesa » . A dirlo non è un vescovo cattolico ma un metropolita
ortodosso, Ioannis di Pergamo, co-presidente della Commissione mista insieme
con il cardinale Kasper ed uno dei più autorevoli teologi viventi.
Parlando con lui ci si accorge di come siano ormai alle spalle i tempi in cui il
primato del Papa era considerato negli ambienti ortodossi come una bestemmia o
una forma d’imperialismo ecclesiastico.
Ma la strada del dialogo è ancora lunga. « E i nostri lavori procedono troppo
lentamente, bisogna cambiare andatura » si lamenta il metropolita Gennadios di
Sassima, co-segretario di parte ortodossa della Commissione.
Dopo una settimana di riunioni, ci dice, « abbiamo affrontato solo la metà del
testo-base sottoposto alla discussione dell’assemblea» . Si è quindi deciso di
continuare i lavori a Vienna l’anno prossimo, a settembre. « Il dialogo è una
strada senza ritorno » affermano tutti i delegati. E qui a Pafos, ospiti della
Chiesa più antica dopo quella di Gerusalemme, l’ecumenismo è ormai di casa.
L’isola di Cipro si prepara ad accogliere nel giugno del 2010 Benedetto XVI. Una
visita che rilancerà il dialogo con l’intero mondo ortodosso.
© Copyright Avvenire, 24 ottobre 2009
A Paphos ortodossi e cattolici dialogano, con qualche screzio
di Paolo Rodari
A Paphos, la spiaggia cipriota dalla cui spuma nacque Afrodite, c’è il
bellissimo hotel Saint George: vista sul mare, piscina, spiaggia privata,
piano bar e camerieri in livrea che, bello e malinconico assieme, provano a far
rivivere ai turisti (tantissimi gli inglesi) i fasti di Famagosta la bella, la
città fino agli inizi degli anni Settanta meta indiscussa della movida
mediorientale e oggi tragicamente ridotta a fantasma dall’indebita occupazione
dei militari turchi.
A Paphos, all’hotel Saint George, è il Patriarca ortodosso di Cipro,
Chrysostomos II, il padrone di casa. E’ lui che in questi giorni, come fosse un
preparativo dell’attesissima visita papale di giugno nella Cipro situata al di
qua (ovvero nella parte meridionale) dell’ultimo muro d’Europa (quello che
spezza in due la capitale Nicosia), accoglie i confratelli delle diverse chiese
ortodosse e, con loro, i cattolici (sessanta delegati in tutto) appartenenti
alla commissione mista di dialogo incaricata di continuare i lavori svoltisi a
Ravenna nel 2007. Lo scopo è uno: trovare motivi d’unità tali da arrivare
all’abbattimento delle divisioni. Scopo arduo ma non impossibile, soprattutto in
questi tempi nei quali altri separati e altri scismatici (anglicani e
lefebvriani) non sono poi così lontani dal tornare sotto Pietro. Soprattutto se
si osserva, per quanto riguarda i rapporti ortodossi-cattolici (l’hanno fatto a
Ravenna e lo stanno facendo a Cipro), l’ecclesiologia del Primo millennio,
quando lo scisma non era ancora stato consumato e le due chiese erano, pur con
qualche divergenza, in piena comunione.
Già, le divergenze. Le chiese ortodosse non sono nuove a screzi. Anche tra loro.
A Ravenna fu la chiesa russa che s’impuntò e non firmò il documento finale: lo
fece per ripicca verso il patriarcato ecumenico di Costantinopoli che aveva
voluto ai lavori la chiesa estone, chiesa che i russi non riconoscono. Acqua
passata, viene da dire. Ma poi mica tanto. Perché gli screzi sono sempre
all’ordine del giorno. L’ha ricordato in questi giorni a Paphos il metropolita
di Pergamo Giovanni Zizioulas. Questi, copresidente assieme al cardinale Walter
Kasper della commissione mista, eminente teologo e figura carismatica, ha detto
che non solo nel mondo dell’ortodossia, ma pure nella chiesa cattolica, vi sono
esponenti imbrigliati in un “eccessivo razionalismo dogmatico, e vogliono che
nulla sia cambiato”. Parole pesanti. Che, forse, si riferiscono anche a quella
decisione di Roma poco digerita in Oriente, almeno dalle chiese che si
riconoscono nella pentarchia: l’annullamento del titolo di patriarca d’occidente
per il Papa.
Paphos, dunque. Qui vi sono anche i monaci ortodossi tradizionalisti e i
sacerdoti ortodossi di Larnaca – città cipriota – che proprio in questi giorni
si sono palesati a Paphos per disturbare l’incontro della commissione mista
domandando all’arcivescovo Chrysostomos di fermarla. Essi reputano che il
dialogo fra le due chiese miri esclusivamente a “sottomettere l’ortodossia al
Papa di Roma”. Un discorso, questo, fatto proprio anche dai monaci del Monte
Athos. Anche loro contestano, anzitutto al patriarcato ecumenico, di cedere a
Roma sulla questione del primato petrino.
Non solo primato petrino, a Paphos. Si parla pure di ecumenismo. Al centro la
domanda delle domande: è un’eresia? Zizioulas, ad AsiaNews, ha risposto così:
“Da parte di chi fra gli ortodossi partecipa al dialogo ecumenico non mi risulta
alcuna deviazione dai princìpi della fede. Saper dialogare con chi è contrario
al proprio credo non ti rende eretico. Il dialogo non ha nulla da nascondere e
il cammino è ancora lungo”.
Pubblicato sul Foglio giovedì 22 ottobre 2009
La festa dei santi Pietro e Paolo nella tradizione bizantina
Ali della conoscenza di Dio e braccia della croce
di Manuel Nin
La festa degli apostoli Pietro e Paolo è celebrata il 29 giugno in tutte le
Chiese cristiane d'oriente e occidente, e in alcune tradizioni orientali è
preceduta da un digiuno di durata variabile che inizia il lunedì dopo la
domenica di Tutti i santi, successiva a Pentecoste. Collegata alla festa, è il
giorno seguente la celebrazione dei Dodici apostoli, testimoni di Cristo e
predicatori del Vangelo.
L'iconografia rappresenta l'abbraccio fraterno tra Pietro e Paolo, o i
due apostoli che sorreggono la Chiesa. I tratti sono quelli tradizionali: Pietro
con capelli ricci, fronte bassa e barba corta e tonda; Paolo calvo, con la
fronte alta, la barba lunga e liscia. Questa fedeltà permette di riconoscerli
nelle icone della Pentecoste, della Dormizione della Madre di Dio e della
comunione degli apostoli, dove Cristo su un lato dà il suo corpo a Pietro e a
cinque apostoli, e sull'altro porge il calice con il suo sangue a Paolo e ad
altri cinque apostoli. Queste icone, dalla chiara simbologia, vogliono
sottolineare il ruolo centrale dei due apostoli nella vita della Chiesa.
L'ufficiatura vespertina celebra i due apostoli come "primi tra i divini
araldi", "bocche della spada dello Spirito", strumenti dell'opera di salvezza
che Cristo porta a termine: "Essi sono le ali della conoscenza di Dio che hanno
percorso a volo i confini della terra e si sono innalzate sino al cielo; sono le
mani del vangelo della grazia, i piedi della verità dell'annuncio, i fiumi della
sapienza, le braccia della croce".
Per entrambi il martirio è la meta per raggiungere Cristo: "L'uno, inchiodato
sulla croce, ha fatto il suo viaggio verso il cielo, dove gli sono state
affidate da Cristo le chiavi del regno; l'altro, decapitato dalla spada, se ne è
andato al Salvatore". Pietro è invocato anche come "sincero amico di Cristo Dio
nostro", e Paolo come "araldo della fede e maestro della terra". L'innografia li
collega a Roma, dove resero la loro testimonianza, "stupendi ornamenti" della
città: "O Pietro, pietra della fede, Paolo, vanto di tutta la terra, venite
insieme da Roma per confermarci".
Nel mattutino Pietro è celebrato come "primo", "capo della Chiesa e grande
vescovo", ma anche teologo in quanto ha confessato Gesù come Cristo: "Sulla
pietra della tua teologia, il sovrano Gesù ha fissato salda la Chiesa". Il
pescatore viene paragonato al mercante in cerca di perle preziose: "Lasciato, o
Pietro, ciò che non è, hai raggiunto ciò che è, come il mercante: e hai
realmente pescato la perla preziosissima, il Cristo". E la Pasqua è per lui
manifestazione del risorto e perdono: "A te che eri stato chiamato per primo e
che intensamente lo amavi, a te come insigne capo degli apostoli, Cristo si
manifesta per primo, dopo la risurrezione dal sepolcro. Per cancellare il
triplice rinnegamento il sovrano rinsalda l'amore con la triplice domanda dalla
sua voce divina".
Paolo invece è presentato come predicatore e maestro, chiamato a portare alle
genti il nome di Cristo: "Tu hai posto come fondamento per le anime dei fedeli
una pietra preziosa, angolare, il Salvatore e Signore". Il suo essere portato
fino al terzo cielo significa il dono della professione di fede trinitaria:
"Levato in alto nell'estasi, hai raggiunto il terzo cielo, o felicissimo, e,
udite ineffabili parole, acclami: Gloria al Padre altissimo e al Figlio sua
irradiazione, con lui assiso in trono, e allo Spirito che scruta le profondità
di Dio".
E verso la Chiesa svolge il ruolo di chi la porta a Cristo: "Tu hai fidanzato la
Chiesa per presentarla come sposa al Cristo sposo: sei stato infatti il suo
paraninfo, o Paolo teoforo; per questo, com'è suo dovere, essa onora la tua
memoria".
Insieme, Pietro e Paolo sono "i primi corifei", cioè coloro che occupano il
primo posto e "i primi nella dignità" (prototroni). Per "intercedere presso il
sovrano dell'universo perché doni alla terra la pace, e alle anime nostre la
grande misericordia".
(©L'Osservatore Romano - 28 giugno 2009)