«Il cervello non ci
spiega chi siamo»
Lucetta Scaraffia su
l'Osservatore Romano 25 aprile 2009
neuro-mania
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Non è facile leggere sui giornali un
buon articolo di divulgazione scientifica, che cioè non gridi subito
alla scoperta sensazionale e non tiri precipitose conclusioni da piccoli
passi in avanti nella conoscenza del funzionamento della natura, e
soprattutto del corpo umano. Infatti, se manca l'enfasi, o l'apparente
novità, dov'è la notizia? Ma questo tipo di divulgazione esasperata - se
pure serve a creare effimere celebrità scientifiche e, forse, ad
attirare finanziamenti alla ricerca in questione - ha un effetto
pericoloso sui lettori, perché li convince che sono stati trovati
farmaci miracolosi, o che ogni stato emotivo e mentale dell'essere umano
si spiega con la biologia. E crea illusioni che conteranno molto quando
si dovranno affrontare questioni che da bioetiche sono diventate
biopolitiche, contribuendo a influenzare in modo decisivo la loro idea
di essere umano e di vita umana. Come, per fare un esempio, la ricerca
sulle staminali embrionali.
Proprio per questi rilevanti motivi è di grande interesse la lettura del
libro di Paolo Legrenzi e Carlo Umiltà (uno psicologo cognitivo e un
neuropsichiatra) intitolato Neuro-mania (Bologna, il Mulino, 2009,
pagine 125, euro 9), che passa al vaglio critico proprio quella
letteratura divulgativa, oggi tanto diffusa, che si occupa del cervello
pretendendo di spiegare il funzionamento della mente umana. E, su questa
base, tratta delle nuove ricerche e discipline che tendono ad abusare
del prefisso neuro-, una aggiunta che - lo provano ricerche mirate -
aumenta la credibilità dell'informazione presso il lettore inesperto.
Siamo passati da un eccesso a un altro, scrivono gli autori: se negli
anni Settanta ogni comportamento umano veniva spiegato con motivazioni
socio-economiche, oggi la stessa cosa avviene con quelle biologiche; la
chiave riduttiva è la stessa, ed è dovuta al fatto che le spiegazioni
monocausali sono le più efficaci e le più credibili. Tutto però nasce da
un reale progresso della ricerca perché oggi, effettivamente, cominciamo
a conoscere da vicino le connessioni tra la mente e il corpo.
Gli scienziati hanno scoperto che determinate aree presiedono alle
funzioni specifiche di un dato compito: come, per esempio, la ricerca
visiva di un volto noto, oppure la moltiplicazione mentale di due numeri
a una cifra. Naturalmente, in queste operazioni si attivano anche aree
"generiche", che presiedono a funzioni comuni a molti compiti, e cioè
quelle visive, acustiche, motorie. La divulgazione scientifica, però,
tende a mettere in rilievo di volta in volta una sola area, quella
privilegiata, e a dare l'impressione che essa sia l'unica deputata a una
particolare funzione o, addirittura, che sia la causa di quel
determinato effetto psicologico.
È nata così l'idea di poter vedere direttamente il cervello al lavoro,
che tanto entusiasma i non esperti. Ma si tratta di un'idea fuorviante:
ciò che si vede è il risultato di un artificio grafico che trasforma
probabilità casuali in colori sovrapposti a una riproduzione schematica
del cervello. Ci sono sempre altre funzioni, altri sistemi più complessi
e ancora in parte sconosciuti che operano. Ma questo non fa notizia. Si
diffondono così sia la certezza che ormai sappiamo tutto sul
funzionamento del cervello sia l'idea che gli stati d'animo e le
sensazioni mentali siano effetto di processi biochimici.
La vita quotidiana sarebbe allora riconducibile a una realtà sottostante
di natura biologica, in quanto l'uomo, inteso come corpo, fa parte a
pieno titolo della natura. Viene in questo modo legittimata la speranza
che se, in futuro, si riuscisse ad analizzare in dettaglio il
funzionamento di tutte le parti del corpo umano, avremmo una
corrispondenza biunivoca tra quanto scoperto dagli psicologi
sperimentali e quanto emerge dall'esame di meccanismi biologici
elementari. In altre parole, un unico linguaggio, quello della
fisica-chimica e della biologia, sarebbe la spiegazione di tutti i
fenomeni conosciuti dell'universo, dal moto dei corpi celesti alle
particelle elementari, dal naturale al sociale. Certo, si tratta di
un'utopia affascinante. Ma non funziona.
Anch'essa è frutto di una moda, nata negli anni Cinquanta per effetto
delle scoperte dei fisici. Oggi si vuole imitare il loro metodo di
ricerca, riconducendo il complesso al semplice e cercando di ingabbiare
il sapere in modelli matematici. Una moda che può perfino indurre a
parlare, come è stato scritto recentemente su autorevoli quotidiani, di
una neuroteologia: cioè, anche se Dio viene pensato dall'uomo nei modi
più diversi, questi avrebbero un prerequisito comune, neuronale.
Nasceremmo insomma con un cervello predisposto a credere.
È evidente che una divulgazione di questo tipo ha l'effetto di
cancellare ogni possibilità di scelta e ogni responsabilità dell'essere
umano, e di conseguenza ogni possibilità di evoluzione morale. Anche se
non è questo il problema messo a fuoco dai due scienziati, il libro è
utile per la sua funzione critica nei confronti di una divulgazione
spesso irresponsabile
Copyright © - L'Osservatore Romano 25 aprile 2009
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