La Chiesa cattolica italiana ha aperto una riflessione sul proprio futuro in
Internet dove da tempo è presente con propri siti e contenuti. L'auspicio è di
ricostruire la 'relazione tra virtuale e reale'. Lo fa con un convegno dal
titolo 'Chiesa in rete 2.0', aperto oggi, 19 gennaio, al centro convegni della
Cei che intende dare risposte alle domande sul rapporto tra identità e
linguaggio: se esiste, cioè, un modo, per agire sulla rete senza perdere la
propria 'lingua' e la propria identità. (Ansa)
Pompili: Un appuntamento per fare il punto sulle nuove tecnologie. Tre
domande
Un appuntamento per “rifare il punto” sulle nuove tecnologie.
Così don Domenico Pompili, direttore dell'Ufficio Cei per le comunicazioni
sociali, ha spiegato il senso del convegno nazionale “Chiesa in rete 2.0” che,
su iniziativa dello stesso Ufficio Cei e del Servizio informatico, si apre oggi
a Roma (fino a domani). Pompili ha ricordato i precedenti incontri sul tema,
tenuti ad Assisi nel 2000, a Roma nel 2001 e a Milano nel 2002. In questi anni,
ha sottolineato, “non sono mancati pertinenti pronunciamenti da parte del
Magistero. Ultimo in ordine di tempo, l’annunciato messaggio per la
prossima
Giornata mondiale delle comunicazioni sociali (Nuove tecnologie, nuove
relazioni. Promuovere una cultura di rispetto, di dialogo, di amicizia) che
lascia chiaramente immaginare – e in modo dichiaratamente pro-positivo – che in
questo ambito si gioca una partita importante dell’umano”. Oggi, ha spiegato il
direttore dell’Ufficio Cei, “siamo di nuovo insieme perché siamo ormai al tempo
del Web 2.0”, ossia “siamo giunti alla realizzazione di un «reale universo
virtuale», non necessariamente alternativo al mondo fisico reale. Era dunque
tempo di rivedersi, anche se solo dopo pochi anni, ma quasi un’era geologica in
questo ambito”.
“Noi non siamo dei «digital native», come tutti i bambini che
sono nati dopo la diffusione di Internet, in pratica i nostri teenagers. Noi
siamo probabilmente le ultime generazioni dell’era Gutemberg – appunto degli
«immigranti digitali» – perché non siamo nati in una società multischermo e non
siamo cresciuti, alimentandoci a questa nuova modalità di «fare esperienza», che
plasma l’intelligenza e orienta la stessa dinamica affettivo-relazionale”.
Questa, ha chiarito don Pompili, la “consapevolezza” con cui “faremo il punto”
sul “Web 2.0”. Ai partecipanti al convegno “Chiesa in rete 2.0”, il direttore
dell’Ufficio Cei ha ricordato che ciò che “potrebbe essere uno svantaggio – e in
parte tale rimane – potrebbe però rivelarsi, a ben guardare, un vantaggio per
entrare in maniera più critica e avvertita dentro un mondo decisivo”. Secondo
Pompili, “proprio la nostra condizione di immigranti digitali ci aiuterà a
valutare meglio questa nuova condizione”, confermando che “essere davvero
contemporanei richiede una sorta di distanza dall’oggetto, senza lasciarci
appiattire su di esso”.
“È giusto continuare a contrapporre il virtuale al reale? E, d’altra parte,
in che modo le due esperienze, obiettivamente diverse, possono integrarsi?”.
Questo il primo interrogativo, cui don Domenico Pompili si augura che il
convegno “Chiesa in rete 2.0” possa aiutare alla riflessione e “a dipanare
qualche matassa”. “Non vi è dubbio – ha detto Pompili introducendo questa
mattina i lavori dell’incontro – che ci siano in giro difensori entusiasti del
virtuale che tendono a minimizzare il suo impatto, così come vi sono ostinati
detrattori del virtuale che vorrebbero descriverlo necessariamente come antitesi
all’umano”. Un secondo interrogativo riguarda il “nuovo individualismo che
cresce”: “In che modo questo individualismo interconnesso ridisegna il
territorio umano e, dunque, la dinamica relazionale?”. Infine, un’ultima domanda
– “e qui mi spingo dichiaratamente dentro il contesto ecclesiale” – “è quella
che si muove tra identità e linguaggi”: “In che modo è possibile avere in Rete
una fisionomia riconoscibile senza per questo assumere linguaggi scontati o
peggio indecifrabili? Non vi è dubbio – ha spiegato Pompili – che è cresciuto il
rapporto con la Rete, ma la domanda resta: come dobbiamo essere noi stessi, fino
in fondo, senza per questo assumere uno stile linguistico desueto, quando non
tautologico, cioè ripetitivo?”.
“È giusto continuare a contrapporre il virtuale al reale? E, d’altra parte, in
che modo le due esperienze, obiettivamente diverse, possono integrarsi?”. Questo
il primo interrogativo, cui don Domenico Pompili si augura che il convegno
“Chiesa in rete 2.0” possa aiutare alla riflessione e “a dipanare qualche
matassa”. “Non vi è dubbio – ha detto Pompili introducendo questa mattina i
lavori dell’incontro – che ci siano in giro difensori entusiasti del virtuale
che tendono a minimizzare il suo impatto, così come vi sono ostinati detrattori
del virtuale che vorrebbero descriverlo necessariamente come antitesi
all’umano”. Un secondo interrogativo riguarda il “nuovo individualismo che
cresce”: “In che modo questo individualismo interconnesso ridisegna il
territorio umano e, dunque, la dinamica relazionale?”. Infine, un’ultima domanda
– “e qui mi spingo dichiaratamente dentro il contesto ecclesiale” – “è quella
che si muove tra identità e linguaggi”: “In che modo è possibile avere in Rete
una fisionomia riconoscibile senza per questo assumere linguaggi scontati o
peggio indecifrabili? Non vi è dubbio – ha spiegato Pompili – che è cresciuto il
rapporto con la Rete, ma la domanda resta: come dobbiamo essere noi stessi, fino
in fondo, senza per questo assumere uno stile linguistico desueto, quando non
tautologico, cioè ripetitivo?”.
Mons. Crociata: "Cosa ci allontana, cosa ci avvicina?"
"Comprendere e conoscere" ed "educare e accompagnare". Sono questi i “due
compiti” che oggi mons. Mariano Crociata, segretario generale della Conferenza
episcopale italiana, ha affidato ai partecipanti al convegno nazionale, promosso
dall'Ufficio per le comunicazioni sociali e dal Servizio informatico della Cei,
sul tema "Chiesa in rete 2.0" (Roma, 19-20 gennaio). "L'esigenza della
competenza – ha spiegato mons. Crociata – è di primaria grandezza". Occorre
"aggiornarsi in un mondo in costante crescita". Al tempo stesso, ha aggiunto, è
necessario "educare e accompagnare nella Chiesa, oltre che nella società tutta,
per essere presenti e vivere da credenti" l'esperienza del Web. Mons. Crociata
si è anche soffermato sui rapidi cambiamenti che hanno riguardato "il mondo di
Internet negli ultimi 15 anni". Cambiamenti che sono tuttora in atto. "Ciò – ha
detto – conferma il contesto accelerato in cui siamo chiamati a operare".
Nonostante tale evoluzione, "siamo in presenza ancora di un'oscillazione tra
esaltazione e diffidenza rispetto a Internet, tra paura e idolatria, tra senso
di minaccia e adesione ingenua e indiscriminata. Al di là dell'atteggiamento in
un senso o nell'altro, ciò che sta avvenendo è una presa di coscienza": questo
mondo “ha sempre di più il carattere del linguaggio di un ambiente e meno quello
di uno strumento”.
“Nell’ambiente del Web – ha proseguito mons. Crociata – siamo chiamati a
vivere perché la sua forza ci condiziona e non possiamo tirarci fuori". Da qui
l'esigenza di "alcuni criteri", di "alcune piste" per "interpretare questo
mondo" e per proporre delle "regole da seguire". Un primo aspetto, secondo mons.
Crociata, riguarda il piano antropologico: "Il mondo del Web ci invita e ci
impone a rivedere il rapporto tra immediatezza e mediazioni. Cosa allontana e
cosa avvicina? Cosa rende più diretto il rapporto e cosa lo rende lontano?". Una
seconda prospettiva emerge dalla "teologia della creazione": occorre "non
perdere mai di vista l'irriducibilità dell'esistenza personale". Ciò rimanda
all'Incarnazione che "per noi credenti, che viviamo nel mondo del Web, è un
orizzonte da non smarrire mai". Una terza prospettiva è di "natura
ecclesiologica" e riguarda "l'irriducibilità della dimensione sacramentale.
Tutto deve essere ricondotto alla dimensione sacramentale del nostro essere
Chiesa". Con "queste attenzioni", ha concluso il segretario generale della Cei,
può diventare importante e significativa la nostra presenza nel mondo virtuale.
La Chiesa ha assunto in modo diretto – e la mia presenza oggi qui è una conferma
– il proprio impegno in tale senso".