“Dopo secoli di conflitti e guerre di religione che hanno lacerato la cristianità e le nostre
chiese, da alcuni decenni, stiamo percorrendo insieme un itinerario di dialogo e di riconciliazione, accogliendoci
reciprocamente con le nostre differenze e rifiutando intolleranze e fondamentalismi”, afferma ancora il messaggio di
pace. E prosegue: “Proprio a Gerusalemme è visibile il segno delle nostre divisioni, ma siamo testimoni che lo
Spirito di Dio opera nelle nostre chiese per trasfigurare la divisione in quell’unità nella diversità che si attua
quando in spirito di dialogo ci si ascolta per scoprire e lenire le ferite che sanguinano negli animi. Anche nelle
terre del Medio Oriente le chiese camminano insieme e noi preghiamo perché possano essere a servizio della pace”.
L'iniziativa ha preso avvio da Yad Vashem, memoriale
dell'Olocausto
torna su Tettamanzi:
«Partire da qui dovrebbe essere la scelta di ogni pellegrinaggio»
Cristiani di confessioni diverse in cammino insieme. Non in un posto
qualsiasi, ma nella città dove balza all’occhio più evidente lo scandalo della divisione. Per dare insieme una
testimonianza di pace nel cuore del conflitto tra israeliani e palestinesi. È l’itinerario del tutto particolare
che un gruppo di 130 milanesi compie dall’altra sera in Terra Santa. Non il classico pellegrinaggio, ma un Cammino
ecumenico di pace dove, oltre che nei Luoghi Santi, si fa tappa tra le «pietre vive» della Terra Santa di oggi, la
gente che nonostante le ferite spera ancora e lancia con coraggio ponti di riconciliazione.
L’iniziativa, organizzata dal Consiglio delle Chiese cristiane di Milano, vede in prima fila l’arcivescovo,
cardinale Dionigi Tettamanzi. «Sono venuto qui – ha spiegato ieri – con l’intenzione di percepire la
drammatica complessità di un conflitto che è tra due cause giuste che però, se vengono perseguite nella logica
dell’inimicizia, anziché del dialogo, finiscono inevitabilmente per produrre ingiustizie e violenze. La mia
preghiera sarà quella di domandare a Dio che in questa terra Israele divenga testimone di pace, in modo che il nome
di Dio possa essere benedetto come Principe della pace persino dalle genti che qui abitano, a cominciare dal popolo
palestinese, e, ancora, che a questa città l’umanità possa guardare avendo nel cuore la percezione che in essa
tutti siamo nati».
Il primo passo è stato ieri mattina a Yad Vashem, il memoriale delle vittime dello sterminio nazista. I cristiani
di Milano hanno sostato insieme in silenzio davanti alla fiamma che arde perenne, insieme hanno attraversato nel
buio il memoriale dei bambini dove una voce ininterrottamente legge i nomi del milione e mezzo di piccole vittime
della Shoà, insieme hanno ricordato figure come don Arrigo Beccari e il pastore Tullio Vinai, che salvarono decine
di ebrei dall’orrore. «Iniziare da qui dovrebbe costituire la normale scelta di ogni pellegrinaggio –
commentava ieri Tettamanzi –. Non entrare a Yad Vashem è non entrare nel cuore di Israele, mettersi nell’impossibilità
di capire la sua realtà di oggi».
Poi la visita al Patriarcato greco ortodosso, casa della comunità cristiana più numerosa di Terra Santa. Al
patriarca Ireneo I, come a tutte le altre personalità religiose e politiche che incontrerà, il gruppo ha
consegnato un messaggio: «Veniamo a mani vuote, perché non abbiamo né parole né proposte da suggerire, perché
desideriamo ascoltarvi per comprendere e condividere». Calorosissima l’accoglienza di Ireneo. «Dieci anni fa –
ha raccontato – ho avuto la fortuna di venerare nella vostra città le reliquie di sant’Ambrogio. Un’esperienza
da cui ho tratto grande forza. Vi auguro che lo stesso accada a voi nei Luoghi Santi».
Alla Knesset e al Parlamento di Ramallah
torna su
Il Cammino ecumenico promosso dalle Chiese cristiane di Milano ha voluto
portare il suo messaggio nei luoghi della politica: la Knesset e il Parlamento di Ramallah
«La pace è possibile, la pace è necessaria, la pace è realizzabile. Ma la
pace ha un prezzo. Ha bisogno anche del coraggio di fare passi indietro». Nel cuore della Knesset, il Parlamento
israeliano, ha fatto risuonare le parole del Papa ieri pomeriggio il cardinale arcivescovo di Milano Dionigi
Tettamanzi.
Con un messaggio rivolto indistintamente a tutti, nella giornata in cui il
Cammino ecumenico di pace promosso dal Consiglio delle Chiese cristiane di Milano ha voluto portare il suo messaggio
nei luoghi della politica: la Knesset, appunto, e il Palestinian legislative council, il Parlamento
palestinese. In mattinata era stato il valdese Gioacchino Pistone, presidente dell'organismo ecumenico milanese, a
guidare una delegazione a Ramallah, dove è avvenuto l'incontro con il presidente della commissione Affari
costituzionali, il cristiano Emil Jarjoui.
Pur non essendo presente di persona perché impegnato in un incontro con il
patriarca armeno di Gerusalemme, Tettamanzi ha voluto precisare di essere presente spiritualmente anche lì: «Ho
chiesto al vescovo ausiliare Coccopalmerio che mi rappresentava - ha precisato - di portare il mio saluto e
l'assicurazione della mia preghiera per la pace».
Alla Knesset i partecipanti al Cammino ecumenico di pace hanno incontrato
rappresentanti della coalizione di governo e i laburisti all'opposizione. Sia quello nei Territori sia quelli a
Gerusalemme sono stati incontri non di maniera. Ciascuno dei politici ha cercato di spiegare le ragioni della
diffidenza nei confronti dell'altra parte. Molto forte, soprattutto, è stata la contrapposizione intorno al tema
del Muro, la barriera di separazione tra israeliani e palestinesi.
«Siamo venuti per conoscere una situazione che è estremamente complessa - ha
risposto Tettamanzi nel suo breve saluto conclusivo -. In questi giorni abbiamo visto tante forme di sofferenza, ma
anche il bisogno sempre più vivo di trovare una strada. Ci rendiamo conto che la complessità non si semplifica coi
sogni. Però venendo qui come sognatori di pace obbediamo alla nostra fede, ma anche a un'istanza che è radicata
nel cuore dell'uomo. E proprio per questo il sogno diventa possibile».
Per dimostrarlo, l'arcivescovo ha voluto far arrivare anche nel luogo della
politica l'eco di storie come quella del Parent's Circle. «Non c'è pace senza dialogo e riconciliazione -
ha ricordato il cardinale -. E le esperienze piccole ma estremamente significative che in questi giorni stiamo
incontrando ci dicono che questa è una strada percorribile».
Ascolto del cardinal Martini e altri testimoni
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Sono 130 i pellegrini milanesi di confessioni cristiane diverse che sono
partiti il 17 giugno per il Cammino ecumenico di pace a Gerusalemme che si concluderà il 24 giugno. Vi partecipa
anche il cardinale Dionigi Tettamanzi, insieme ai rappresentanti di altre confessioni cristiane. In un contesto
significativo dal punto di vista ecumenico, l'Arcivescovo tra l'altro incontra in questi giorni il suo predecessore
cardinale Carlo Maria Martini.
La loro parola e la loro presenza qualificano in modo evidente la validità
dell'iniziativa: il previsto intervento di Martini è incentrato sul senso che ha per i cristiani incontrare Israele
e ascoltare la parola di Dio sulla pace, mentre Tettamanzi commenterà insieme al pastore evangelico Daniele Garrone
le beatitudini, sul monte in Galilea nella giornata di martedì.
In comunione di spirito con le Chiese locali e con chi intercede per la pace a
Gerusalemme i partecipanti al «cammino» stanno vivendo giornate intense e ricche di scambi, insieme a persone
competenti, tra i quali alcuni promotori degli Accordi di Ginevra e l'educatore di pace padre Emile Shoufani (premio
Unesco 2003). Tra le varie associazioni incontrate vi è anche quella dei parenti delle vittime israeliane e
palestinesi.
In particolare, oggi sono previsti a Betlemme gli incontri con Jean Baptiste
Gourion, vescovo ausiliare del Patriarca latino per i cattolici di lingua ebraica, e con alcuni membri del villaggio
«Nevè Shalom - Wahat as Salam» (oasi di pace: villaggio con famiglie israeliane e palestinesi fondato dal padre
domenicano Bruno Hussar). In giornata, una delegazione del Consiglio delle Chiese si reca a Ramallah per incontrare
le Autorità palestinesi, mentre domani a Gerusalemme sarà ricevuta da esponenti del governo e del parlamento
israeliano. Sempre domani è in programma a Gerusalemme anche la visita ai tre Patriarcati - Armeno,
Greco-ortodosso, Latino - e un incontro sul tema «Ebrei, cristiani e musulmani: il dialogo alla base» con la
partecipazione di esponenti ebrei, cristiani e musulmani.
Fuori Gerusalemme, alla visita della Basilica della Natività a Betlemme è
accompagnata anche quella ad alcuni campi profughi, e alla visita agli scavi di Tiberiade un pranzo presso un kibbutz. Infine, si terranno prima della partenza per Milano un incontro conclusivo di valutazione e di impegno e
una preghiera ecumenica di ringraziamento.
Incontro con il Cardinale Martini
torna su
[Il cardinale vive in Israele la sua «intercessione» perché
cresca la concordia tra ebrei e palestinesi- Martini: per i popoli di questa terra segni di speranza, ma non fanno
notizia]
La guida migliore che un gruppo di milanesi possa trovare qui a
Gerusalemme. Non poteva che essere il cardinale Carlo Maria Martini, l'arcivescovo emerito della diocesi ambrosiana
ormai da quasi due anni per lunghi periodi qui nella Città Santa, a spiegare ai partecipanti al Cammino ecumenico
di pace che cosa significa incontrare Israele oggi. Lo ha fatto ieri pomeriggio non senza la prudenza di chi si
definisce «un semplice cristiano che si sforza di vivere in Terra Santa leggendo e studiando la Bibbia in spirito
di fede e di speranza e con un compito di intercessione e di preghiera». Per questo luogo martoriato, ma anche per
la Milano di cui per 22 anni è stato pastore («il breviario che recito è ancora quello ambrosiano e nella Messa
ogni giorno ricordo i nomi di entrambi i vescovi, Michele e Dionigi»).
Come guarda, dunque, oggi il cristiano Martini a questa terra di Israele in cui ormai vive? Con qualcosa di più di
una semplice simpatia umana: incontrare Israele, spiega, è esperienza che va letta con gli occhi della fede.
Significa entrare in sintonia con la «passione amorosa e gelosa di Dio per il popolo da lui eletto, entrare nei
sentimenti con i quali Gesù percorreva queste strade. Questi sentimenti non sono cambiati. Dio ama tuttora il suo
popolo e continuamente lo chiama e vuole incontrarlo. Per questo la premessa per ogni rapporto con Israele è un
amore sincero, un rispetto delicato, che diviene partecipazione alle sue sofferenze, alle sue angosce del passato e
del presente».
Un amore che non distanzia dagli altri popoli, ma alla luce della storia della Salvezza apre gli occhi anche sugli
altri volti di questa terra. Il riferimento è alla situazione del popolo palestinese, «che soffre molto a causa
dell'occupazione dei territori - commenta il porporato - e nella sua legittima aspirazione alla libertà e
all'indipendenza. È importante pregare perché ottenga tutto senza violenza alcuna. Non possiamo approvare nessuna
violenza, di nessuna matrice e di nessun tipo. Ma dobbiamo auspicare e sperare perché siano rimosse le cause della
violenza».
Pregare, auspicare, sperare, prima ancora di pretendere di comprendere. «Per me oggi ritengo importante -
suggerisce Martini - vivere alla lettera la parola evangelica: non giudicate e non sarete giudicati; non condannate
e non sarete condannati». Un passo non all'indietro ma in avanti, di chi appunto intercede, cioè «cammina in
mezzo, non inclinando né da una parte né dall'altra, pregando ugualmente per tutti, per ottenere grazie di pace e
di riconciliazione». Ma che frutti porta questa invocazione? Martini stesso previene l'obiezione. «Si potrebbe
pensare - commenta - che questa preghiera di intercessione non riceva risposta. Infatti attualmente non vediamo
attorno a noi vie d'uscita politiche convincenti dalla dolorosa situazione presente. Eppure chi abita in questi
luoghi sa che vi sono, a livello di piccole realizzazioni, tanti sforzi e tentativi di dialogo, di incontro, di
mutua comprensione, di riconciliazione, di dono autentico di sé, di perdono. Non fanno notizia e per lo più non
giungono al livello politico. Ma sono reali: sono una piccola risposta che il Signore elargisce fin da ora alla
nostra preghiera di intercessione».
Da pastore l'arcivescovo emerito di Milano invita a guardare con attenzione anche alla situazione dei cristiani e
delle Chiese di Terra Santa. «Vivono situazioni non facili - ricorda -. Anche a questo riguardo bisogna guardarsi
dal giudizio troppo rapido e superficiale e dal pettegolezzo». Quanto al biblista Martini, ultimato il lavoro sulla
prima lettera di Pietro, racconta di essere al lavoro sul Padre Nostro: «È il tema del mio prossimo corso di
esercizi e allora sto studiando un po' i testi per predicare e anche scrivere su questo argomento». Intanto è
anche alle prese con lo studio dell'ebraico moderno: «"Propter ingravescentem aetatem" vedo che il
cammino è un po' lungo e faticoso - confessa -, ma sento di doverlo compiere per fedeltà a questa terra e a questo
popolo».
Dichiarazioni del Card. Martini:
torna su
“Ricordo con gioia tutte le esperienze di Milano di tutti questi 22
anni e continuo ad averle nel cuore: ricordo le persone, ricordo gli incontri, ricordo le situazioni e le porto con
me nella preghiera”. Lo ha sottolineato, nei giorni scorsi a Gerusalemme, il cardinale Carlo Maria Martini, già
arcivescovo di Milano, a margine di un incontro con una delegazione delle Chiese cristiane del capoluogo lombardo
giunte in ‘cammino ecumenico di pace’. “Naturalmente - ha proseguito il porporato, che da Milano si è
trasferito a Gerusalemme - non ho nostalgia nel senso che desidero tornare sui miei passi. No, sono qui volentieri”.
Parlando della situazione in Medio Oriente, il cardinale Martini si è limitato a sottolineare che c’è l’urgenza
di un “soprassalto di intelligenza”. Bisogna uscire da questa situazione, ha detto, con “colpi di intelligenza
che il Signore offre alle persone che sono capaci di compiere questi gesti e di guidare queste azioni. Da parte mia
non c’è che la preghiera e l’intercessione”. Intercessione, ha concluso, “significa mettersi in mezzo ai
contendenti senza pretendere né per l’uno, né per l’altro, ma pregando per l’uno e per l’altro che a tutti
sia dato di capire non solo le proprie ragioni ma anche quelle dell’altro. Fare, quindi, dei gesti di pace, di
riconciliazione, delle trattative che possano portare finalmente anche alla pace politica”.
Tettamanzi tra i
profughi torna su
«Dovrei non parlare, ma stare in silenzio, e a lungo». È scosso all'uscita
dal campo profughi di Dheisheh il cardinale Dionigi Tettamanzi. Insieme ai 130 milanesi che partecipano in questi
giorni in Terra Santa al Cammino ecumenico di pace promosso dal Consiglio delle Chiese cristiane di Milano ha appena
attraversato le stradine strette tra le case ammassate in questo angolo alla periferia di Betlemme. Undicimila
abitanti in mezzo chilometro quadrato, Dheisheh è solo uno dei 59 campi sparsi tra Territori palestinesi,
Giordania, Libano dove dal '48 vivono i rifugiati palestinesi che abbandonarono Israele. Oggi sono diventati quattro
milioni stipati in formicai umani. È uno dei volti del conflitto israelo-palestinese che il Cammino ecumenico di
pace ha voluto incontrare, senza sposare una parte ma cercando con ostinazione storie di riconciliazione. Tettamanzi
si ferma tra i bambini, a Dheisheh il 60% della popolazione. Si fa contagiare dal loro sorriso. Osservando sui muri
le foto dei «martiri» dell'Intifada, affiorano le domande. «È possibile qui un ambiente vivibile? - commenta con
i giornalisti -. Che futuro c'è per questi bambini? È una realtà che dura da troppo tempo. A prescindere da
qualsiasi discorso sulle responsabilità, la domanda inevitabile è: cosa è possibile fare? È possibile seminare
semi di speranza o c'è spazio solo per quelli di disperazione?».
Invita a soffermare l'attenzione sui «contrasti gravissimi» che vediamo
scorrere: «La dignità umana così radicalmente umiliata - osserva - all'improvviso la ritrovi intatta sul volto di
una persona o nel sorriso dei bambini che giocano come in ogni altro angolo del mondo». È il filo rosso di una
giornata cominciata a Betlemme, con la visita alla basilica della Natività e l'incontro con le comunità cristiane
che vivono con grande fatica dove Gesù è nato. Ma ieri per i pellegrini milanesi è stato anche il giorno del
«muro», che Israele sta alzando per separare la sua popolazione dai Territori palestinesi. «Venendo da
Gerusalemme - ha detto Tettamanzi ai rappresentanti delle Chiese cristiane locali riunite ieri per l'occasione all'International
Center - sentivo risuonare le parole degli angeli: pace agli uomini che Dio ama, pace a tutti, senza distinzioni. Ma
arrivando a Betlemme ho trovato questo muro e mi sono chiesto: dov'è la pace? Allora mi sono venute in mente le
parole della Croce: Dio mio, perché ci hai abbandonato? Anche in queste situazioni, però, abbiamo trovato realtà
che si sforzano di testimoniare che i cambiamenti sono possibili quando sono le menti e i cuori che cambiano». Un
esempio è proprio l'International Center, dove il pastore luterano Mitri Raheb attraverso l'arte, la cultura, la
comunicazione prova a parlare ai ragazzi palestinesi di futuro. Luci accese da comunità che devono fare i conti con
la gravissima crisi economica creata dal blocco dei Territori e dalla riduzione dei pellegrinaggi. «In questa
vostra situazione - ha detto Tettamanzi ai cristiani di Betlemme - vedo un prolungamento del mistero
dell'incarnazione: come Dio qui ha assunto in tutto e per tutto la nostra umanità, così voi oggi ne seguite
l'esempio. E questo per noi è motivo di tanta ammirazione».
Sul monte delle
Beatitudini torna su
Sul monte da cui Gesù diceva beati coloro che operano per la pace. Quello da
cui predicava che «il regno dei cieli è vicino». Ha raggiunto la sua vetta, ieri, il cammino ecumenico di pace
promosso dal Consiglio delle Chiese cristiane di Milano. Con lo sguardo a spaziare sul lago di Galilea, quello della
tempesta sedata, i 130 partecipanti a questa iniziativa hanno ascoltato il cardinale Dionigi Tettamanzi e il pastore
valdese Daniele Garrone commentare il Vangelo delle beatitudini. Un luogo ideale, dunque, per fare sintesi di queste
giornate che volgono ormai al termine. «Non ci siamo prestati ad alcuna mistificazione - ha riassunto l'arcivescovo
di Milano -, non ci siamo nascosti la realtà contraddittoria e problematica, forse anche deludente e scandalosa di
questa terra santa e lacerata al contempo. Anzi proprio a partire dalle situazioni drammatiche che abbiamo voluto
attraversare, ci siamo aperti alla scoperta impensata e meravigliata di segni promettenti e di indizi del Regno.
Ascoltare chi, pur nel conflitto e nel lutto, non dispera né cerca vendetta, ma si fa testimone di speranza e
costruttore di pace, è stato come toccare con mano la santità di questa terra, che non è la santità di luoghi o di
monumenti di pietra, ma è la santità di pietre viventi in carne ed ossa».
Eminenza, gli chiediamo, cosa ha dato in più a questa iniziativa il fatto di
essere stata voluta, progettata e compiuta insieme dalle diverse confessioni cristiane di Milano? «Ci ha permesso
innanzitutto di riscoprire che qui in Terra Santa ritroviamo le radici vive e vivificanti dell'indivisa fede in Cristo
- risponde -. Penso che sia un elemento fondamentale per cementare di più il dialogo. E poi c'è la sensibilizzazione
sui problemi sociali e politici di chi abita in questa terra. Insieme ci siamo mossi per essere annunciatori e
testimoni del Vangelo della pace. Ho apprezzato molto che nei loro interventi tutti i rappresentanti delle diverse
confessioni abbiano sempre sottolineato con forza che la pace va pregata, è dono di Dio». C'è anche un valore
specifico per le Chiese di Gerusalemme. «Venendo qui - continua Tettamanzi - abbiamo voluto anche portare una
testimonianza di unità alle confessioni cristiane presenti in Terra Santa. Anche loro oggi stanno sentendo in maniera
sempre più forte il problema ecumenico. In questo senso gioca anche la situazione politica: possono pensare di avere
una certa rilevanza solo se si presentano con una voce unanime».
Qui Gesù disse «Beati voi che ora soffrite»; una provocazione quanto mai
attuale. «Il muro che abbiamo visto proprio entrando a Betlemme - commenta l'arcivescovo di Milano - può essere un
simbolo di questa sofferenza, che pone un'obiezione fondamentale al credente. Ripetiamo in qualche modo la parola di
Gesù sulla Croce: "Dio mio, Dio mio perché ci hai abbandonato". In realtà, però, Dio non abbandona. In
Terra Santa oggi ci sono esperienze concrete che sono segnali forti di speranza. Sono piccole, certo, ma le abbiamo
viste coi nostri occhi. Storie di dialogo e riconciliazione».
Tra coloro che soffrono ci sono anche i cristiani di Terra Santa. «Non possiamo
non ammirare queste comunità. Ci parlano con parole vive del mistero dell'incarnazione - sottolinea il cardinale -.
Facendosi uomo Dio si cala pienamente in una realtà di male, sofferenza, ingiustizia. E il prolungamento concreto di
questa esperienza lo vediamo in questi cristiani che sanno rimanere, testimoniare la loro fede. Quante volte, invece,
noi cediamo alla comodità, al compromesso, rifugiandoci in una religione intimista».
È risuonata spesso in questo cammino la parola complessità. «Davvero -
commenta Tettamanzi - la situazione politica di questa regione ci è apparsa difficile da decifrare. La complessità,
però, si risolve non con la semplificazione, ma con un invito a giungere all'essenziale, a ritenere che la pace è
possibile, è necessaria. E a comprendere che la pace chiede realisticamente il coraggio di pagarne il prezzo. Cioè a
riconoscere la sofferenza e i diritti dell'altro».
Al di là delle parole quali immagini l'hanno più colpita? «La porta di
accesso al campo profughi di Dheheishe - risponde l'arcivescovo di Milano -. Una porta ormai inutilizzata, ma il cui
significato è permanente: si è imprigionati prima ancora di entrare nel campo profughi. Eppure anche qui abbiamo
incontrato persone che onorano la loro dignità, bambini vivaci e sorridenti come tutti i bambini di questo mondo. E
poi il luogo del silenzio a Nevé Shalom-Wahat el Salaam (il villaggio dove arabi ed israeliani vivono insieme n.d.r.).
Mi ha colpito la spiegazione che è stata data: qui si entra col silenzio che è una lode a Dio e uno ritrova la pace
con se stesso. Mi sono chiesto: ma è possibile ritrovare la pace con se stessi senza ritrovare la pace con
l'altro?».
Ci racconta della sua visita al Santo Sepolcro («Là dentro mi sono detto che
la vittoria è proprio di Colui che muore per tutti, nessuno escluso, e muore per riconciliare gli uomini col Padre e
tra loro»). E ricorda a tutti che anche se domani lascerà la Terra Santa il cammino di pace continua. «A Milano -
spiega - abbiamo un'occasione particolare, perché dal 5 al 7 settembre si terrà l'incontro interreligioso di
preghiera per la pace "Uomini e religioni"». Un nuovo passo per ricordare che a volte i «muri» passano
anche molto più vicino di quanto pensiamo.
Il valdese G. Pistone: il percorso deve
continuare torna su
In questi giorni è stato lui a consegnare a chiunque la delegazione incontrasse
il messaggio di pace scritto dalle Chiese cristiane di Milano. Un pieghevole che riassume lo spirito dell’iniziativa
e una piccola scultura sul dialogo tra le religioni sono rimasti come segno alla Knesset come al campo profughi, tra
le preziosissime icone dei patriarcati come al memoriale dell’Olocausto.
È toccato sempre al valdese Gioachino Pistone, il presidente di questo
Consiglio che nella città ambrosiana vede riunite 17 confessioni, compiere il gesto ufficiale. Al termine di questo
viaggio è naturale, dunque, chiedere a lui come continuerà ora questa esperienza. «Sono state giornate dalla grande
intensità emotiva – risponde –, abbiamo vissuto incontri che ci hanno scosso. Hanno acceso la voglia di far
conoscere quello che abbiamo visto.
È ancora presto per dire come in concreto questo lavoro andrà avanti. Ma nella
testa e nel cuore c’è il desiderio di compiere qualche gesto per questa terra anche a Milano». Di una cosa Pistone
è convinto: «I benefici di questo cammino si vedranno certamente nella nostra attività di dialogo tra
Chiese».
Infine un motivo particolare di soddisfazione: «Credo sia passato in maniera
chiara in questi giorni il fatto che questo era un cammino ecumenico. Era la prima volta che succedeva e credo sia
stato un fatto importante. Di questo mi sento di ringraziare il cardinale Tettamanzi per la discrezione con cui si è
fatto semplice pellegrino come tutti noi».
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Sui luoghi di Gesù, l’appello del religioso a chi ama
Gerusalemme: «Tornate, riporterete la vita dove c’è morte»
[«Terra Santa, l’ora di guardare avanti». Parla il nuovo Custode della
comunità francescana padre Pierbattista Pizzaballa: «Tra i cristiani parte anche chi possiede un lavoro. Il nostro
compito? Ridare speranza»]
«Custodire oggi la Terra Santa? Certamente per noi francescani non
può significare solo mantenere delle posizioni. Deve voler dire anche proporre uno stile di vita animato dalla
serenità, dalla speranza, dalla libertà di chi guarda al conflitto senza prendere per forza una parte». A poche
settimane dal suo ingresso solenne, descrive così il suo compito il nuovo Custode di Terra Santa, padre Pierbattista
Pizzaballa. Ed è un biglietto da visita che va al cuore del problema numero uno oggi qui a Gerusalemme.
Padre Pizzaballa, la mancanza di speranze è il dato che balza subito all'occhio incontrando la gente di Terra
Santa.
«È un dato preoccupante. Anche se io parlerei più di stanchezza. È vero: il conflitto sta logorando la gente.
E tutti dobbiamo insistere in questo sforzo di portare speranze. Come? Nella Terra Santa di oggi non credo sia una
questione di grandi gesti. Servono forse di più quelli piccoli, più legati ai
nostri atteggiamenti. Ad esempio non lasciarsi condizionare dal conflitto. Non permettergli di scrivere le nostre
vite, di determinare i nostri stati d'animo. C'è una libertà, appunto, da coltivare anche dentro il colfitto».
Che cosa porta in dote la sua esperienza con il mondo ebraico?
«In questo percorso che mi ha portato a lavorare a contatto con il mondo ebraico prima di essere chiamato a
questo compito io leggo un disegno provvidenziale dello Spirito Santo per questa terra che ha così bisogno di aprire
canali di dialogo. Mi rendo conto che è una sfida difficile. E credo di avere molto da imparare anche dalla comunità
araba palestinese, che costituisce la quasi totalità della nostra Chiesa».
C'è chi ha letto nella sua nomina un cambio di rotta rispetto «ai francescani tradizionalmente
filo-palestinesi».
«È una lettura sbagliata. La mia nomina, come sempre, è avvenuta dopo un'elezione compiuta tra i frati della
Custodia. La maggioranza mi ha votato e sulla base di un criterio non politico, ma interno alla nostra fraternità. È
ovvio che sapevano benissimo di che cosa mi ero occupato in questi anni. Ma vorrei anche ricordare che nella nostra
comunità moltissimi frati sono arabi: facendo il mio nome hanno dimostrato un atteggiamento di grande libertà che
personalmente mi ha colpito».
Perché è così importante che a Gerusalemme ci sia anche una comunità cristiana di matrice ebraica?
«È importante non solo per Gerusalemme, ma per la Chiesa universale. Questo piccolo gruppo ci ricorda che le
nostre radici affondano nell'Israele biblico. Ed è una memoria viva, che ci aiuta a comprendere più a fondo chi
siamo».
Assumendo l'incarico di nuovo Custode lei ha dichiarato che i francescani in Terra Santa non devono occuparsi solo
di costruire case e trovare lavoro ai cristiani, ma devono concentrarsi di più sull'evangelizzazione. In che senso?
«Sono stato molto criticato per queste parole, ma credo che vadano comprese bene. So benissimo che la presenza
francescana in Terra Santa ha anche un importanza di tipo sociale che non può essere disattesa. Non smetterò certo
di costruire case per i cristiani che non ce l'hanno. Però il nostro compito primario è evangelizzare. Che non
significa estraniarsi dalle difficoltà che qui stiamo vivendo. Pensiamo al grave problema dell'emigrazione dei
cristiani: non sono solo quelli che non hanno casa o lavoro ad andarsene. Dalla Terra Santa tanta classe media, quelli
che magari potrebbero dare di più, partono semplicemente perché non vedono prospettive per il proprio futuro.
Occorre allora saper dire una parola significativa, evangelica, anche su questo. E aiutare i nostri cristiani a capire
che essere presenti qui in Terra Santa è una missione».
Che impressione ha avuto dai primi contatti avuti con le autorità israeliane?
«Sulle questioni aperte, come quella dei visti, ho trovato buona volontà e ne ho preso atto. Il 5 luglio
riprenderanno le trattative con la delegazione vaticana. È un segno positivo. Certo i problemi rimangono tuttora non
risolti. Ad esempio quello del progetto della metropolitana leggera che chiuderebbe alle auto l'accesso dalla Porta
Nuova, privando così il quartiere cristiano della Città Vecchia dell'unica possibilità di transito. Mi auguro che
questo clima di collaborazione porti presto frutti».
Molta gente in tutto il mondo porta nel cuore la Terra Santa. Cosa si sente di dire loro come nuovo Custode?
«È davvero bello che ci sia tanta gente che sente questo legame. Perché la Terra Santa non è proprietà nostra
e neppure dei suoi abitanti. La Terra Santa è di tutti, perché tutti abbiamo qui le nostre radici. E allora ripeto
ancora una volta l'invito a tornare come pellegrini. Non è solo un modo per sostenerci economicamente. Abbiamo
bisogno della vostra presenza anche perché questa terra ritrovi la vita, il movimento. Oggi è tutto morto. Venendo
qui darete un grosso aiuto anche psicologico a queste comunità che sono le pietre vive della Terra Santa».
Creare un ponte di dialogo tra Israeliani e Palestinesi
torna su
- Intervista con don Gianfranco Bottoni -
Cristiani di diverse confessioni sono da ieri in Terra Santa per ascoltare e
promuovere la pace. Si tratta del Cammino ecumenico di pace a Gerusalemme, promosso dal Consiglio delle Chiese
cristiane di Milano. Un itinerario scandito da momenti di incontro con rappresentanti delle Chiese cristiane, con
esponenti delle autorità israeliane e palestinesi e con coloro che in diverso modo si impegnano per la pace. Lo
conferma don Gianfranco Bottoni, coordinatore dell’iniziativa e responsabile del servizio per l’ecumenismo e il
dialogo della diocesi di Milano, intervistato da Debora Donnini:
R. – I nostri incontri avverranno con le diverse realtà delle Chiese
presenti, ma soprattutto con le autorità delle due realtà, israeliane e palestinesi, oggi in conflitto in quel
Paese. E poi avremo incontri con altre esperienze significative: con l’Associazione dei parenti delle vittime
israeliane e palestinesi, l’incontro con un educatore di pace. In sostanza, con tutte quelle esperienze nelle quali
si è attenti ad educare alla pace, facendosi carico della sofferenza e delle ferite dell’altro. Andremo a visitare
il Centro internazionale di Betlemme, tenuto da un pastore luterano, palestinese, che lavora per creare sentimenti di
pace all’interno dei giovani.
D. – Il vostro viaggio è fatto da cristiani di diverse confessioni e non solo
quindi cattolici: un segno di unità nella diversità che vuole essere un segno concreto per questa popolazione …
R. – Direi proprio di sì. A Gerusalemme è particolarmente visibile il segno
delle nostre divisioni. Noi siamo però anche testimoni che lo Spirito di Dio opera nelle nostre Chiese per
trasfigurare la divisione in quella unità nella diversità, che si attua quando in spirito di dialogo ci si ascolta
per scoprire e lenire le ferite che sanguinano negli animi. La nostra stessa esperienza di Consiglio delle Chiese di
Milano, un tempo impensabile, unisce oggi una decina di Chiese e di confessioni diverse che lavorano per l’appunto
insieme. Se oggi può apparire impossibile la pace a Gerusalemme, noi andiamo per poter testimoniare la nostra
convinzione che nulla è impossibile all’unico Dio, Creatore e Signore del cielo e della terra. E che nulla sia
impossibile lo ricaviamo sia dal Nuovo Testamento, sia dall’Antico Testamento: la Parola di Dio, sia nella Bibbia
ebraica che nella Bibbia cristiana, ha questo punto di forza: tutto è possibile a Dio. La nostra intenzione è
comunque quella di andare e di metterci in atteggiamento di ascolto. Crediamo che dall’una e dall’altra parte ci
siano cause giuste, che restano sicuramente giuste nella misura in cui non vengono ricercate e perseguite nella logica
dell’inimicizia. Vorremmo stare – almeno metaforicamente – “dentro” questo conflitto, con l’atteggiamento
di chi stringe una mano con gli uni e l’altro mano con gli altri e sta lì finché le due parti non si ritrovano
loro stesse nell’atteggiamento dello stringersi la mano.
Documento
programmatico
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Questo cammino è atipico.
Voluto e promosso dal Consiglio delle Chiese cristiane di Milano, programmato dalla direzione di Confronti con
il supporto tecnico dell’agenzia Duomo,
si differenzia da viaggi e pellegrinaggi che solitamente si svolgono nei medesimi luoghi, ma non con gli stessi
obiettivi.
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Non è il viaggio organizzato per soddisfare le legittime esigenze del turista o del cliente.
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Non è la visita culturale e storica, archeologica e artistica alle antichità giudaiche e cristiane.
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Non è il pellegrinaggio ai cosiddetti luoghi santi per praticarvi le pie devozioni popolari.
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Non è l’itinerario biblico sulle orme di Gesù, dei padri o degli apostoli per meditare le Scritture.
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Non è il
corso di esercizi spirituali predicato e pregato nel più suggestivo contesto geografico.
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Non è l’incontro di solidarietà con le diverse comunità e presenze cristiane in medio oriente.
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Non è la missione di pace di una qualche delegazione civile o religiosa per una mediazione politica.
Tutte prospettive più che valide ed opportune, ma che rimandiamo ad altre e differenti iniziative.
È anzitutto un cammino ecumenico.
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Perché pensato e promosso da un organismo ecumenico quale il nostro Consiglio delle Chiese.
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Perché programmato dalla direzione di Confronti, rivista ecumenica e interreligiosa unica in Italia.
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Perché preparato e condiviso da persone appartenenti a confessioni cristiane diverse.
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Perché attento a incontrare popoli che abitano la stessa terra con le loro differenti culture e religioni.
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Perché
provocato da questioni che interpellano non singole Chiese ma l’intera ecumene cristiana.
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Perché vissuto nella reciproca attenzione a non imporre consuetudini e sensibilità confessionali.
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Perché aperto a valorizzare doni e carismi delle altre tradizioni senza ignorare quelli della propria.
Ecumeniche saranno pertanto la conduzione e la rappresentanza ufficiale del nostro cammino.
Ecumenica è la scelta dell’Arcivescovo Card. Dionigi Tettamanzi di essere pellegrino tra noi.
Ecumenici saranno i comuni momenti di preghiera previsti nel fascicolo Shalom.
Ecumenica sarà la possibilità di seguire liberamente la propria prassi confessionale per l’eucaristia.
Vuole essere un cammino di pace a Gerusalemme.
Noi andiamo a camminare in mezzo a situazioni drammatiche,
entro le quali intendiamo incontrare “pietre viventi” e ascoltare persone che vivono un conflitto,
che può apparire uno tra i tanti che insanguinano il nostro pianeta,
ma che per la nostra fede ha una valenza singolare, anzi decisiva riguardo al futuro dell’umanità.
“
Non ci sarà pace sulla terra, finché non ci sarà pace a Gerusalemme ” ripete spesso il Card. Martini,
che non solo ama Gerusalemme, ma ha scelto di abitarla per vivervi la sua intercessione,
il suo collocarsi nel mezzo del conflitto che lacera la città santa per ebrei, cristiani e musulmani.
C’è anche da interrogarsi, nell’ottica della storia della salvezza, sul fatto che la stessa terra sia contesa
tra il popolo che la abita da secoli
e il popolo che vi è ritornato anche in forza di un’antica promessa.
In quella terra pace e giustizia possono oggi apparire meta impossibile, utopia irrealizzabile,
eppure là ci sono coraggiose esperienze di pace e imprevedibili testimonianze di speranza.
Ci metteremo in ascolto di alcuni testimoni, come pure delle prove e delle sofferenze
a cui sono sottoposte le popolazioni vittime di un conflitto che sembrerebbe senza vie d’uscita.
Ma “
la pace è inevitabile” affermava Giorgio La Pira, anzi è l’orizzonte promesso da Dio.
Perciò in quella terra la nostra invocazione del dono della pace sarà costante, intenso, contestuale.
A coloro che incontreremo consegneremo un nostro messaggio di pace
In esso esprimiamo gl’intenti che ci conducono in quella terra.
È un messaggio che è stato elaborato da parte del Consiglio delle Chiese cristiane di Milano.
Esprime la sensibilità e la prospettiva con le quali esso ha promosso questo cammino.
Lo accompagneremo con un medaglione di bronzo che raffigura i simboli delle tre religioni.
Ad alcuni laboratori di pace ed esperienze di dialogo lasceremo anche un segno di solidarietà.
Voi che avete voluto condividere questo cammino avrete in mano una pubblicazione intitolata
Sentieri di pace: una guida per Israele e territori palestinesi, che la direzione di Confronti
ha prodotto in vista di questo viaggio perché ci accompagni nei nostri passi.
Sono pure messi a disposizione altri materiali,
tra cui alcuni commenti di P. Stefani da
Il regno
e un Dossier sul conflitto israeliano-palestinese, pubblicato in InfoCEEP.
Auguro a tutti che quanto cerchiamo in questo cammino non resti un sogno.
Sappiamo di dover partire senza illusioni, senza pretese o attese di risultati.
Cerchiamo invece solo di entrare in un vero e vivo contatto con la situazione come essa è realmente.
Mi congratulo con i giornalisti che hanno intuito la singolarità e l’importanza di questo viaggio.
Ringrazio calorosamente coloro che hanno lavorato alla preparazione di questo cammino,
in particolare Paolo Naso, che con Daniele Garrone e Brunetto Salvarani e con il contributo di altri qualificati
collaboratori si sobbarcheranno la fatica maggiore della sua realizzazione.
Sono lieto che membri del Consiglio e Rappresentanti delle Chiese partecipino al viaggio:
grazie per la loro disponibilità e grazie a chi ha garantito la riuscita dell’iniziativa.
Esprimo riconoscenza ai due Cardinali che si abbracceranno a Gerusalemme:
a Martini che congedandosi dal nostro Consiglio delle Chiese nel luglio 2002 ci invitava a Gerusalemme dove ora ci
accoglierà;
a Tettamanzi che ha desiderato venire in questa terra e incontrare il suo predecessore in un contesto significativo
dal punto di vista ecumenico.
La loro parola e la loro presenza qualificano in modo evidente la validità del nostro cammino.
Infine a nome del comitato di presidenza uscente del Consiglio delle Chiese cristiane di Milano auguro al nuovo
comitato di presidenza, che l’assemblea del Consiglio avrà eletto il 10 giugno, di bene inaugurare il proprio
mandato di rappresentanza delle diverse confessioni cristiane
in questa avvincente avventura che insieme vivremo a Gerusalemme.
Dio Padre benedica i nostri passi sulle vie che il Figlio suo percorse per annunciare l’evangelo del regno: lo
Spirito purifichi le nostre menti e i nostri cuori e ci renda testimoni di speranza e di amore, di giustizia e di
pace.
Milano, 2 giugno 2004
Il Presidente
(Gianfranco Bottoni)
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1. Undici confessioni cristiane unite nel Consiglio
delle Chiese
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Sono undici le delegazioni delle diverse confessioni cristiane
presenti nel capoluogo lombardo che partecipano al Cammino ecumenico di pace in corso in Terra Santa. A
guidare il gruppo è il nuovo presidente del Consiglio delle Chiese cristiane di Milano, il valdese Gioachino
Pistone che da pochi giorni ha raccolto il testimone da don Gianfranco Bottoni alla guida dell'organismo
ecumenico di Milano. Oltre al gruppo dei cattolici, guidato dal cardinale Tettamanzi, sono rappresentate le
comunità evangelica luterana, evangelica battista, evangelica metodista, evangelica valdese, luterana
svedese, ortodossa rumena, ortodossa russa, ortodossa etiope, la Chiesa copta ortodossa eritrea e i
vetero-cattolici. Il Cammino è stato inoltre organizzato in collaborazione con la rivista di ecumenismo e
dialogo Confronti.
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[Fonte: Radio Vaticana 18-19 giugno 2004; "Avvenire" 18,19,22 giugno
2004]