Card. Lubomyr Husar
Il contributo del cristianesimo orientale

Alle soglie di un passo storico per l'Unione Europea, cioè l'allargamento a Est che inizierà nel 2004, dobbiamo dare una risposta alla domanda: siamo una sola Europa o più Europe? L'unificazione politica deve poter contare anche su un'unificazione culturale e religiosa, mentre ancora oggi tra Occidente e Oriente europeo c'è un profondo difetto di conoscenza e comprensione reciproca. Le società dei paesi dell'Est — e l'Ucraina ne è un esempio — soffrono ancora delle ferite di settant'anni di comunismo e delle divisioni confessionali interne. Il card. Lubomyr Husar, arcivescovo maggiore di Lviv degli Ucraini e successore del card. Lubachivsky alla guida della Chiesa greco-cattolica dal 25 gennaio 2001, riflette sulla vocazione della Chiesa cattolica di rito orientale come mediatrice tra le due culture europee: quella bizantina e quella latina.

Il primo momento del mio contributo è una piccola riflessione spirituale, con uno scopo molto preciso: giustificare il titolo del mio intervento, ma anche per approfondire la questione, se sia giusto parlare di Est e di Ovest. Il secondo punto sarà un'informazione sullo stato della società ucraina di oggi. Nel terzo tratterò la situazione ecumenica in Ucraina, mentre l'ultimo punto costituirà una riflessione sulla missione delle Chiese orientali cattoliche.

Parlare di Est e di Ovest

La spiritualità cristiana è una, come alla base di questa spiritualità c'è un solo Vangelo. Così, quando parliamo delle spiritualità orientale e occidentale, queste non sono entità diverse, ma accenti che poniamo. Si pensa che ci sia una grande differenza tra Est e Ovest. Dobbiamo chiederci se è vero o no. Io vorrei presentare le differenze, che sono costituite da determinate caratteristiche, lasciando a voi giudicare se queste differenze siano veramente tali o se, guardando alla nostra propria tradizione non siamo in fondo un'Europa sola.

Paragonando Est e Ovest, si dice che l'Ovest sia molto più predisposto a fare, l'Est invece a ricevere. In Occidente cioè ci si chiede che cosa si debba fare o s'intenda fare (per la Quaresima o per capodanno ci si propone di fare questo e quello), mentre in Oriente c'è più desiderio di ricevere, il che significa che è l'azione di Dio a dominare il pensiero, che cosa fa lui, e come io possa inserirmi o collaborare.

L'Occidente, si dice, è caratterizzato dal desiderio di conoscere in modo cartesiano, di avere pensieri molto chiari e distinti, mentre in Oriente c'è preferenza per il mistero — certa gente lo confonde con nebulosità, ma il mistero non necessariamente è una cosa nebulosa. In Occidente io faccio, e Dio collabora con me, che chiedo la sua benedizione per poter fare quello che io desidero fare. In Oriente Dio fa, e io cerco di collaborare. In Occidente il sacerdote dice: io ti battezzo. In Oriente si dice: il servo di Dio viene battezzato. In Occidente io, monaco, faccio una professione monastica, in Oriente "ricevo" la professione. In Occidente io prego, per tante cose, in senso molto attivo. In Oriente ci si lascia formare da Dio: la famosa preghiera del cuore, o la preghiera di Gesù, significa solo stare in silenzio, non parlare, dire il meno possibile, eliminare anche la memoria, l'immaginazione, escludere me stesso nel modo più perfetto possibile.

In Occidente ogni monastero ha una regola scritta; in Oriente sono poche le regole scritte, e quelle che ci sono, sono scritte male, perché in Oriente la regola è il padre spirituale, che significa il portatore dello Spirito. Io credo che in qualche modo egli sia la bocca dello Spirito Santo, e lui è la mia regola. In Occidente c'è molta insistenza sulle istituzioni, con il corollario di poter controllare, avere una visione molto chiara di quello che succede. Invece in Oriente ci lasciamo guidare dallo Spirito, che non significa poter fare tutto quello che voglio, come se non ci fosse bisogno di un'istituzione o di una regola. L'orientale non nega tutto questo, solo vuol essere diretto dallo Spirito. Queste sono le cosiddette differenze.

Ora, a partire dalla vostra conoscenza, dalla vostra esperienza personale, giudicate se quello che ho presentato sembra una differenza notevole e significativa. Noi ora siamo alla soglia di un'unificazione europea, che significa oltre a un'unificazione politica anche un'unificazione culturale, religiosa, dall'Atlantico non alle frontiere dell'Ucraina, ma agli Urali, il che coinvolge Ucraina e Russia, che sono di cultura religiosa bizantina: siamo un'Europa o siamo due Europe? Questo problema è da risolvere, altrimenti il discorso si riduce all'aspetto politico, e il discorso culturale cade completamente. Ma siamo noi che dobbiamo riflettere, siamo noi a decidere dove comincia e dove finisce l'Europa. Nel senso forse più profondo.

Una società di persone ferite

Un secondo punto attiene alla società ucraina di oggi. Quando parlo della società di oggi devo subito fare la distinzione dell'età: io parlo della gente che oggi ha più di vent'anni, coloro che sono stati formati in un ambiente comunista. O, per essere più precisi, non tanto comunista quanto bolscevico, una differenza della quale dobbiamo essere consapevoli, perché quello di cui si parlava in Unione Sovietica era il comunismo, che in realtà non è mai esistito, mentre esisteva un comunismo molto speciale, specifico, che la parola bolscevismo rende più precisamente.

Nel bolscevismo, dalla scuola materna fino all'ultimo anno dell'università c'erano corsi di ideologia comunista. Come noi amiamo avere il catechismo, la religione insegnata a scuola, loro facevano fare agli studenti per almeno quindici anni gli studi dell'ideologia comunista. Con il risultato che, essendo questa educazione portata avanti in modo molto sistematico, non si poteva evitare di essere in qualche modo condizionati dal modo di pensare proposto dal governo ateo.

Lo scopo di questa educazione era, per usare una bella parola, che suona bene, educare l'uomo nuovo, l'Homo sovieticus. In sostanza era educare degli schiavi. Il problema che ha dovuto affrontato il sistema bolscevico in Unione Sovietica è stato distinguere l'educazione del personale superiore — la nomenklatura — da quelli che dovevano essere solo degli schiavi. A me sembra che una delle difficoltà che hanno portato alla caduta del regime fosse proprio in questo campo. La nobiltà comunista non era dinastica, e per questo l'educazione delle generazioni successive della nomenklatura è diventata un grande problema. Ma quelli che dovevano essere solo gli schiavi, erano educati nell'illusione che che il partito ed il governo avrebbero provveduto a tutto. Naturalmente il partito era onnisciente e infallibile, conosceva non solo la realtà, ma anche in che direzione procedere. Vi è un noto detto di Kruscev: "Il comunismo è all'orizzonte, tutti saremo comunisti tra pochi anni". Il cittadino doveva soltanto godere, e il costo era obbedire.

Questa la teoria, che purtroppo non si è realizzata. Per mantenere il sistema era necessario far vivere la gente nella paura, sotto continua sorveglianza. Spesso pensiamo a quei martiri, a quelle persone che sono state uccise per il loro amore di Dio o della verità. Ma non possiamo neanche immaginare la persecuzione morale alla quale furono esposti i cittadini dell'Unione Sovietica. Dovevano vivere nella paura, nella paura continua. Non ci si poteva fidare di nessuno. Se si fosse avuto un pensiero — meglio non averlo, ma se per caso si fosse avuto — mai dirlo. Se per qualche strana circostanza lo si fosse detto, mai metterlo per iscritto. E se fosse successo che lo si era scritto, mai firmare quello che era stato scritto. È questa la realtà, non è un aneddoto: così si viveva. Avere un'iniziativa propria era pericoloso. Avere un pensiero originale era anche più pericoloso. Prendersi delle responsabilità, rischiosissimo. Per ogni cosa si doveva riferire a un superiore. La moralità comunista, quella che veniva presentata come linea di comportamento, era, per dirla in due parole, che il fine giustifica i mezzi.

Forse non vi sto dicendo cose che non avete mai sentito. Quello che purtroppo in Occidente non si conosce bene è il risultato di questa educazione, che era molto efficiente, perché non si trattava solo della scuola, ma di tutto l'insieme che era su una certa linea, un insieme così raffinato e inclusivo che come già ho accennato nessuno poteva veramente scappare. Come si dice nel Vangelo, i figli delle tenebre sono più furbi dei figli della luce. Se noi cattolici cristiani lavorassimo come hanno lavorato loro, forse il mondo sarebbe differente. Possiamo forse imparare qualcosa da loro. Nessuno poteva completamente sfuggire all'influsso di una tale educazione, sebbene si debba riconoscere che tanta gente non è stata completamente annichilita.

Quale il risultato? Oltre a una confusione mentale, intellettuale, le anime erano ferite. E questo è molto importante, per poter capire l'Oriente slavo di oggi. L'Ucraina orientale è stata sotto il comunismo bolscevico per settant'anni. L'Ucraina occidentale per fortuna solo per quarantacinque anni, ma il danno è stato grave in ambedue le parti del paese. La gente è rimasta senza una chiara idea della moralità, senza un senso della dignità umana, perché bisognava essere solo schiavi. II problema dell'Ucraina di oggi è proprio questo: dobbiamo guardare agli uomini, alla popolazione. Spesso si sente affermare che se ci fosse una struttura veramente democratica, una struttura sociale migliore, se ci fosse il libero mercato, una struttura economica, tutto andrebbe bene. Non è vero. Queste strutture sono assolutamente secondarie. Gli uomini con le anime ferite: questa è la realtà dell'Ucraina, della Russia, di tutti i paesi dell'Unione Sovietica.

Al potere oggi ci sono molte persone senza moralità. Si dice per esempio che in Ucraina e anche in Russia sono al potere gli oligarchi. Ma questi non sono oligarchi nel senso originale della parola. Questi sono solo nouveaux riches. Da noi si parla anche di "nuovi ucraini", "nuovi russi": l'espressione indica persone che si sono arricchite in modi molto strani, che oggi hanno molto denaro, che bramano il potere per proteggere il proprio possesso, che non pensano al bene comune, che non hanno alcun senso della moralità. Questo è il problema che affrontiamo. Per questo dobbiamo essere molto cauti quando si parla della situazione dell'Est europeo. Perché è facile sbagliare, giudicando ingiustamente come "cattive" queste persone. Non sono cattive, sono persone con l'anima ferita. La soluzione sta in un miglioramento della moralità.

La visita del Papa e il desiderio di unità

Devo, per giustizia, anche accennare al fatto che non tutto è così male, perché sebbene il bolscevismo abbia fatto tanto danno, non è riuscito a distruggere gli uomini completamente. Per esempio recentemente abbiamo avuto delle reazioni politiche, dimostrazioni e così via, notevoli e molto visibili. E tra le persone coinvolte c'erano anche molti giovani. Questo significa che c'è ancora gente che chiede giustizia, che ha il senso del giusto, del bene. Così queste dimostrazioni a me sembrano un segnale positivo. Anche la soddisfazione della gente per molte decisioni del governo nazionale e delle amministrazioni locali è un segno che c'è ancora una coscienza del bene, sebbene non possiamo dire che siano persone completamente sane dal punto di vista spirituale.

Che cosa può fare la Chiesa in una tale situazione? Dobbiamo, prima di tutto, capire che la Chiesa dell'Ucraina è composta dagli stessi uomini, uomini con le anime ferite. Non possiamo parlare degli uomini di Chiesa come se fossero angeli venuti dal cielo per aiutare e purificare. No, sono gli stessi uomini, vescovi, sacerdoti, monaci e laici. Dobbiamo tenerne conto. Non c'è dubbio che la Chiesa ha dei mezzi a disposizione per essere di molto aiuto. Per esempio la dottrina sociale che impariamo dalla Chiesa occidentale è una risorsa preziosa, che gli Ortodossi non hanno. Possiamo prendere le encicliche, I documenti conciliari e abbiamo già un programma. E poi contatti con l'Occidente, con il mondo cattolico fuori dalla zona post-comunista. È molto importante, perché ci permette di aiutare sia I fedeli sia la gente in genere.

L'ultimo evento da ricordare: la visita del Papa, concluda due giorni fa. Un evento davvero coinvolgente. Ma altrettanto importante quanto la visita è stato il processo di preparazione, durante il quale abbiamo potuto presentare alla gente molte idee, molti progetti; e quando il Santo Padre è venuto, in un certo senso, su questa preparazione ha messo il suo sigillo, lo ha fatto vivere. Penso che questa visita sia stato un dono straordinario, oltre a tutti i risvolti politici: per la realtà spirituale della nostra gente. Giovanni Paolo II ha fatto quello che noi non potevamo fare. Per esempio ha parlato a tutti. Agli Ortodossi, ai non credenti, che in Ucraina sono circa il 45% della popolazione. Penso che l'atmosfera religiosa in Ucraina cambierà dopo questa visita.

A che cosa puntiamo oggi, quali sono le nostre priorità? Educazione del clero, educazione dei laici. Vi dico sinceramente che, con grande invidia, sto in mezzo a voi in questo momento, perché un convegno come questo da noi non è possibile, per adesso. Voi siete qui, uomini diversi, professioni diverse, parti diverse del paese, ognuno rappresenta una realtà. E quello che vi unisce in questa aula è il vostro interesse cattolico, il vostro sviluppo spirituale. Anche noi abbiamo professionisti, come qualsiasi società umana, ma quello che ci manca è la formazione spirituale, formazione cattolica, cristiana e per quello stiamo lavorando. Nel futuro sarà differente, ma io parlo del momento attuale. Per questo abbiamo tanta difficoltà a organizzare il nostro laicato, specialmente gli intellettuali, perchè purtroppo, non per loro colpa, non hanno avuto alcuna formazione cristiana.

Una terza riflessione riguarda la situazione ecumenica. Quali sono le componenti del quadro religioso ecclesiale ucraino? Abbiamo I cattolici di tradizione bizantina — i cosiddetti greco-cattolici — e i cattolici romani, i cattolici di rito latino. Vi sono ortodossi appartenenti a tre giurisdizioni diverse. Ci sono molti protestanti, e nuove religioni di origine varia; naturalmente ci sono anche gli ebrei e i musulmani. In Ucraina c'è una libertà straordinaria, un pluralismo molto sviluppato, abbiamo 72 organizzazioni religiose registrate dallo Stato.

Abbiamo dunque greco-cattolici e cattolici di rito latino, che in Ucraina sono molti. Ci troviamo di fronte ad un problema molto particolare, che penso in nessun altro paese del mondo esista, cioè l'"ecumenismo cattolico": come vivere in uno stesso paese, sullo stesso territorio, latini e bizantini. Non è facile, ma è anche una benedizione per noi, una sfida, perché così possiamo testimoniare agli ortodossi che per essere cattolici non si deve rinunciare a niente della propria tradizione religiosa, ecclesiale o nazionale. Per essere un cattolico basta essere in comunione con il vescovo di Roma, tutto il resto è secondario. Questa è la difficoltà che non possono superare gli ortodossi, ma noi, una volta che abbiamo veramente normalizzato i rapporti tra cattolici di rito latino e di rito orientale del nostro paese, possiamo diventare una forte dimostrazione di che cosa significa essere cattolici. E può essere un insegnamento anche in Occidente, dove i più identificano l'essere cattolici con il rito latino.

Gli ortodossi in Ucraina vivono una situazione molto complessa, perchè sono divisi tra loro, e i contatti sono difficili, perché in Ucraina non c'è un portavoce dell'Ortodossia. Tutte e tre parti pretendono di essere i veri ortodossi. Ma è necessario capire che la divisione è puramente politica. In alcuni c'è il desiderio, attestato nella tradizione ortodossa, che ogni stato abbia la propria Chiesa autocefala. Altri vogliono rimanere attaccati al Patriarcato di Mosca, e questo causa grande difficoltà per noi che vogliamo in qualche modo fare avanzare la causa dell'unità.

Per noi l'ecumenismo significa tornare all'unità che esisteva nel nostro paese mille anni fa. Un'unità non globale, ma situata nel territorio di una nazione. In qualche senso questo elemento culturale nazionale aiuta, ma è anche causa di qualche difficoltà. I rapporti che abbiamo con gli ortodossi oggi sono ufficialmente corretti, cerco di tenere i contatti con i loro capi, ma non c'è cordialità.

Io penso che la difficoltà principale dell'ecumenismo sia mancanza di un desiderio proprio e sincero di unirsi. Nel 1925 a Bruxelles, in Belgio, al termine di un convegno durante la settimana dell'unità dei cristiani, uno dei membri del comitato organizzativo, che era proprio il nostro metropolita Andrea Sheptytsk nel discorso conclusivo disse così: "Abbiamo parlato della divisione tra cattolici, ortodossi e anglicani. Ma la divisione non è tra cattolici, ortodossi e anglicani, la divisione è tra quelli che vogliono l'unità e quelli che non la vogliono, che siano cattolici, ortodossi o anglicani". E questa, penso, è la difficoltà vera dell'ecumenismo nell'Est europeo. La nostra preoccupazione maggiore in questo campo oggi è proprio di suscitare il desiderio, la voglia di unità, lo dobbiamo fare dalla base. I vescovi possono solo costatare un' unità, non la possono creare. Non possono fare delle dichiarazioni definitive se la gente non la vuole. Se invece è la gente a volerla noi la seguiremo e sarà un'unità piena e stabile.

Perché noi greco-cattolici siamo considerati un ostacolo nella causa dell'ecumenismo? È questo che sostiene il patriarca di Mosca Alessio II, che dice che non può incontrarsi col Santo Padre a causa dei greco-cattolici dell'Ucraina occidentale. Due sono le cause, di proselitismo e di aver distrutto la Chiesa ortodossa in Ucraina occidentale. Ci sono sicuramente dei casi di proselitismo quando un sacerdote, un monaco, una monaca zelanti cercano in modi poco cristiani di attirare gli ortodossi o gli altri alla Chiesa cattolica, magari con aiuti umanitari o altro. Ma sono casi individuali, non è la politica della Chiesa. E questo deve essere chiaro, sia in Ucraina come in Russia.

La seconda accusa che ci viene mossa è di avere distrutto la Chiesa ortodossa. Questo in un certo senso è vero, ma non è avvenuto perché abbiamo ricevuto un comando da Roma o dai nostri vescovi. Nel 1946 la nostra Chiesa è stata liquidata dal governo, una gran parte delle chiese, le canoniche e altri possessi sono stati affidati alla Chiesa ortodossa russa, che per 45 anni ha goduto di un tranquillo possesso. Nel 1989, appena è diventato possibile di nuovo registrare delle comunità greco-cattoliche — cinque giorni prima della visita di Gorbaciov al Santo Padre, poiché il presidente russo voleva avere un biglietto di presentazione per il Santo Padre — in un mese novantadue parrocchie, in un anno oltre mille parrocchie si sono registrate come greco-cattoliche. Naturalmente la diocesi, le eparchie ortodosse sono sparite, a la gente è tornata lì dove era prima.

Io posso capire l'atteggiamento della Chiesa ortodossa russa oggi, che sente come una grande ferita, un grande affronto alla loro Chiesa il fatto che dopo 45 anni tanta gente, oltre mille parrocchie, non sono rimaste ortodosse. Ma oltre a questo gli ortodossi sostengono che noi abbiamo perseguitato e ancora continuiamo a perseguitare gli ortodossi, I famosi "casi di villaggio". Di che cosa si tratta? In un villaggio ci sono due comunità, una cattolica e una ortodossa, e una sola chiesa. In molti riusciamo ad usare la stessa chiesa a turno, ma in oltre trecento casi ancora non si riesce a trovare una convivenza. Ma quello che voglio sottolineare, perché non viene mai detto, è che I conflitti non sono su base religiosa, ma sono conflitti di ambizione personale, del singolo prete, di ambizione familiare, di un certo clan nel villaggio. Io penso che oggi non ci sia neanche un caso tra questi oltre trecento in cui si possa dire che sia un caso di conflitto sulla base di convinzioni religiose: è tutto puramente umano. Così quando ci rivolgono queste accuse adesso abbiamo imparato a chiedere di fornire le prove. E le accuse spariscono. Il fatto è che in questi trecento casi, per il 95% la colpa è degli ortodossi, che non permettono alla nostra gente di entrare nella chiesa. E anche del governo, che non insiste sufficientemente sull'esecuzione delle sentenze giudiziarie.

La Chiesa greco-cattolica ucraina

Siamo chiamati uniati. È un termine peggiorativo. Noi siamo in verità figli di due unioni, quella di Firenze del 1439 e quella di Brest del 1596. Questa unione l'abbiamo voluta, non eravamo spinti da nessuno, l'abbiamo fatta perché serviva, perché ci sentivamo cattolici, dopo l'unione di Firenze che abbiamo accettato in pieno. È stato fatto spontaneamente dall'interno della nostra Chiesa, non era, come si dice spesso, la politica del regno polacco, era una nostra libera decisione.

Ma oggi che cosa significa una tale Chiesa? Come già ho detto prima, siamo di tradizione bizantina ma in comunione con Roma, con il vescovo di Roma. Gli ortodossi dicono che non si può fare così: se uno è russo deve essere ortodosso, se uno è ucraino deve essere ortodosso. E noi diciamo no, si può essere ucraini, buoni cristiani, seguire la propria tradizione, ed essere in comunione con il vescovo di Roma. L'una cosa non impedisce l'altra. In questo senso siamo una testimonianza della cattolicità.

Significa che l'insegnamento di Cristo può inculturarsi in qualsiasi cultura umana e che davanti a Dio tutte le culture sono uguali, e non si deve rinunciare a niente, tranne il peccato.

Questo è molto importante, perché se vogliamo raggiungere una soluzione alla divisione esistente tra tutti noi cristiani, dobbiamo insistere sull'unità della fede, perché questa è data da Dio, e non c'è altro da discutere. Dio ci ha dato il suo insegnamento, la sua rivelazione. Dobbiamo essere in comunione. Nient'altro. Ognuno segue la sua propria tradizione, con i diversi accenti posti dall'Occidente e dall'Oriente, che ho illustrato all'inizio e che forse non sono così lontani l'uno dall'altro e non marcano una sostanziale differenza: né il Filioque né l'immacolata concezione, neanche il primato fa una vera e propria differenza. L'esercizio del primato sì, ma non il primato come tale, in quanto siamo uniti nella fede. Quello che ci vuole oggi è la comunione e noi siamo un esempio vivo — e vorremmo sempre più perfetto — di questa custodia della nostra tradizione orientale, insieme con la comunione al Santo Padre. Quattrocento anni fa papa Clemente diceva: "per vos rutenos orientem convertendum spero". Proselitismo: attraverso voi orientali spero di convertire l'Est. Ma l'Est non è da convertire.

Recentemente l'accento è leggermente cambiato, si parla di noi come di un ponte, in quanto siamo nel punto in cui s'incontrano le due culture, bizantina e latina. A noi questa immagine non piace molto, perché il ponte è tutto passivo e sul ponte si cammina soltanto, non deve fare niente, solo stare lì a resistere. Noi abbiamo una visione un po' differente, vogliamo essere un mediatore. Il mediatore partecipa dell'una e dell'altra identità: come Cristo, che per essere vero mediatore era uomo e Dio nello stesso tempo. Noi a causa della nostra posizione geopolitica siamo proprio su quella linea dove s'incontrano due culture e per la forza della storia abbiamo attinto sia dall'una sia dall'altra. Cerchiamo di essere veramente orientali ma di non essere estranei alla cultura latina, tutt'altro.

Quale sarebbe il nostro scopo? Interpretare l'Est all'Ovest a l'Ovest all'Est. Perché la difficoltà che incontriamo oggi, senza offendere nessuno, è che l'Ovest e l'Est non si conoscono. Noi vorremmo essere come degli interpreti, per poter avvicinare queste due grandi culture. Forse è una pretesa ambiziosa, e non possiamo dire di essere già pronti oggi a farlo, ma vogliamo servire in questo modo. Una volta che questo avvicinamento o forse anche l'unità sarà ristabilita, sarà ristabilita la comunione nel senso pieno della parola. Una volta che questo sarà compiuto non avremo più raison d'être, e vogliamo sparire.

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[Fonte: Il Regno Documenti (Quindicinale di attualità e documenti), supplemento al n. 3 del 1° febbraio 2002]

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