Benedetto XVI condanna l'attentato in Egitto e
teme un piano mondiale contro i cristiani. Ma l'imam Al-Azhar, una delle
massime autorità religiose sunnite, lo attacca: "Parole inaccettabili, è
un'ingerenza". Per la prima volta il Pontefice parla di una strategia contro
i cristiani. I copti in piazza chiedono vendetta.
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Le parole pronunciate dal Papa in favore dei cristiani perseguitati
rappresentano un «intervento inaccettabile negli affari dell’Egitto». Quella
di Benedetto XVI è «una visione sbilanciata su musulmani e cristiani che
rischiano di essere uccisi in tutto il mondo: perché il Papa non ha chiesto
la protezione dei musulmani quando venivano massacrati in Irak?». C’è da
trasecolare nel leggere le dichiarazioni di Ahmed al Tayeb, gran sceicco
dell’università egiziana Al-Azhar, il più importante e prestigioso centro
dell’islam sunnita. Accusa Ratzinger di ingerenza, perché continua a
richiamare l’attenzione sui cristiani e a invocare l’intervento dei
responsabili delle nazioni in favore della libertà religiosa. Si rimane
stupiti innanzitutto perché lo sceicco di Al-Azhar è considerato un liberale
moderato e dialogante, spesso presente agli incontri interreligiosi, che
proprio ieri ha voluto recarsi di persona dal capo della Chiesa copta,
Shenuda III, esprimendogli le condoglianze per il barbaro attentato che ha
provocato 21 vittime fuori da una chiesa ad Alessandria.
Al-Tayeb ha voluto dunque bollare come eccessivi e sbilanciati gli
interventi papali in favore dei cristiani. Cristiani che, nel caso delle
vittime di Alessandria, non sono cattolici, ma appartengono all’antichissima
comunità precalcedonese copta. Il Papa, insomma, di fronte alle stragi di
Natale e di Capodanno, di fronte alle autobombe nelle chiese o alle bombe
usate per «sfrattare» i cristiani iracheni, non dovrebbe neppure alzare la
voce. O meglio, può anche farlo, basta che si limiti a chiedere preghiere,
ma senza appellarsi alle autorità dei vari Paesi, perché, in questo caso, si
tratterebbe di ingerenza. Che cosa ha detto il Papa? In San Pietro, il
giorno di Capodanno ha invitato l’umanità a non «mostrarsi rassegnata alla
forza negativa dell’egoismo e della violenza » spiegando che «non deve fare
l’abitudine a conflitti che provocano vittime e mettono a rischio il futuro
dei popoli». Ha parlato delle «discriminazioni», dei «soprusi» e delle
«intolleranze religiose, che oggi colpiscono in modo particolare i
cristiani». Ha esortato «tutti a pregare», aggiungendo che per costruire la
pace «non bastano le parole, occorre l’impegno concreto e costante dei
responsabili delle nazioni».
E ieri ha definito «vile gesto di morte» l’attentato di Alessandria come
pure le bombe in Irak, parlando di una «strategia di violenze che mira ai
cristiani». È un po’ difficile leggere questi appelli come un’ingerenza o
come uno «sbilanciamento » del Papa, dato che proprio dalla Santa sede - a
suo tempo peraltro contraria alla guerra contro l’Irak - sono sempre
arrivate condanne per ogni tipo di violenza, non soltanto per gli attacchi
contro i cristiani. Le parole di Benedetto XVI attestano comunque una
preoccupazione crescente nei vertici della Chiesa. Il Papa non aveva mai
parlato così esplicitamente di una «strategia» che mira ai seguaci di Gesù.
Anche per questo colpisce l’annuncio dato tre giorni fa della convocazione
di una riunione ad Assisi dei leader delle religioni mondiali il prossimo
ottobre, per «rinnovare solennemente l’impegno dei credenti di ogni
religione a vivere la propria fede religiosa come servizio per la causa
della pace».
L’occasione è il 25˚ anniversario dell’incontro presieduto da Giovanni Paolo
II nel 1986, un appuntamento sul quale si appuntarono molte critiche per
alcune sbavature e alcuni abusi dovuti alla leggerezza degli organizzatori,
che concessero luoghi di culto cattolici per preghiere tribali. Abusi che
non si ripeterono in occasione delle altre due giornate di Assisi, convocate
sempre da Papa Wojtyla nel 1993 e nel 2002. Tra coloro che avevano prestato
più attenzione alle obiezioni sulle modalità di svolgimento del primo
incontro di Assisi c’era proprio l’allora cardinale Joseph Ratzinger. Il
quale, in un libro, parlò di «pericoli innegabili» e di interpretazioni
errate: la riunione di tutti i leader religiosi poteva dare l’idea che ogni
credo si equivalesse. Ma Ratzinger spiegò anche che queste occasioni devono
restare «solo come un segno in situazioni straordinarie, in cui, per così
dire, si leva un comune grido d'angoscia che dovrebbe riscuotere i cuori
degli uomini e al tempo stesso scuotere il cuore di Dio».
Nell’86 c’era il timore di un conflitto nucleare, nel ’93 la guerra in
Jugoslavia, nel 2002 il rischio dello «scontro di civiltà » dopo l’attentato
alle Torri gemelle. Oggi Benedetto XVI, per ripetere quel gesto, deve
ritenere «straordinaria » la situazione che l’umanità sta vivendo. E di
fronte a chi strumentalizza la religione per fomentare odio, divisione,
terrorismo rilancia al mondo un appello in favore della libertà religiosa,
invitando i leader delle varie fedi a costruire la pace per arginare il
fondamentalismo e i suoi registi occulti.